DAL 30 MAGGIO AL 26 OTTOBRE
Modelli di architettura, luoghi identitari del tifo e fulcro di rigenerazione. Gli stadi in mostra al MAXXI, Orazi: “Un viaggio inedito, che ispiri la politica italiana”
54 impianti tracciano il percorso dall’Ottocento a oggi.
Un’indagine, un viaggio dall’Ottocento a oggi. Un racconto tanto inedito quanto necessario per capire come sono evoluti nel tempo gli stadi in Italia, in Europa e nel mondo. Inaugurata il 30 maggio, a 40 anni esatti dalla notte della tragedia dell’Heysel, la mostra al Maxxi di Roma è intitolata Stadi. Architettura e mito. “Abbiamo scelto 54 esempi – racconta a Diac Manuel Orazi, uno dei tre curatori – che rappresentano il cambiamento di questi impianti, dalla tipologia mista che prevaleva nell’Ottocento alla fase di passaggio in cui lo sport da élite è divenuto di massa”. Tanti modelli che anche oggi differenziano le regioni del mondo e le singole città. “Anche a seconda dell’uso dei materiali e delle forme. In Inghilterra si sviluppano gli stadi rettangolari, in Italia quelli con le curve che diventano luoghi di identità grazie al tifo organizzato”. Oggi invece abbiamo gli stadi di proprietà: “sempre più brandizzati, mono-funzionali sul calcio”, spiega Orazi. Differentemente rispetto al Novecento “quando erano anche luoghi per spettacoli, visite di Stato, grandi eventi da teatro di massa”. Insomma, luoghi di spettacolo e musica (i Beatles furono i primi a esibirvisi, a New York nel 1965) e politica, per rivendicare qualcosa o mandare un messaggio al proprio popolo di riferimento, ma anche moda e cerimonie religiose. Anche se adesso si va verso il modello degli stadi che possano vivere ogni giorno, tutti i giorni. “Sì, la retorica è questa. Dipende dai singoli casi quanto poi possa tradursi in realtà”. Di sicuro, aggiunge Manuel Orazi, “l’industria del calcio ha ampliato sempre più i confini del singolo evento sportivo con spettacoli prima e dopo la gara che fanno inevitabilmente aumentare il prezzo del biglietto e perdere così la natura popolare”.
Sicuramente, ci racconta, “gli stadi sono grandi edifici, comportano il raduno di tantissime persone e per questo coinvolgono la società. Tanti stadi ad esempio hanno inglobato al loro interno le residenze per anziani per far sì che il trambusto della partita non li lasci isolati. Dunque, gli stadi possono essere raccontati e di fatto sono esempi non solo di speculazione edilizia. E in quanto tali attraggono investimenti”. Quelli che servirebbero in Italia, soprattutto da soggetti privati. Anche perché, dice l’ultimo report calcio della Figc, l’82,7% degli stadi è in mano pubblica. Investimenti, tra l’altro, che se reindirizzati su queste infrastrutture potrebbero incidere su altri numeri messi in luce nel percorso della mostra: secondo il rapporto Capgemini, al 2023 il 69% degli intervistati (77% gen Z) preferisce seguire lo sport a distanza anziché presso gli impianti. Dal 2019 al 2023 l’uso dello smartphone per la fruizione è cresciuto dal 40 al 70%.
Guardando a Oriente, Orazi prende spunto dall’esempio del Qatar dove alcuni stadi per i Mondiali di calcio del 2022 sono stati realizzati utilizzando dei container per immaginare “costruzioni temporanee oppure che vengano reindirizzate verso altri usi subito dopo la competizione, evitando così la proliferazione del fenomeno delle cattedrali nel deserto. E’ successo anche nell’antichità, pensiamo alla piazza anfiteatro di Lucca”, ricorda. “Una volta era lo stadio della città e poi fu inglobato nella costruzione della città”. Mentre il miglior esempio di stadio multiuso, resistente al tempo e alla storia è ovviamente il Colosseo.
Tornando all’oggi e all’Italia, il problema dell’ammodernamento degli impianti è la spada di Damocle connessa al più generale problema dei ritardi burocratici e delle difficoltà nel reperire nuovi investimenti. “Ogni città ha i sui problemi specifici”, dice Orazi. “Gli stadi italiani hanno anzitutto un problema di mancato allineamento alle normative Uefa per disputare le partite, prima di qualunque discorso di progetto edilizio”. Più dell’80% degli stadi della penisola risalgono agli anni Trenta-Quaranta “e anche quelli più recenti fatti per i mondiali di Italia ’90 oggi hanno tanti problemi di manutenzione”. A livello amministrativo, “i Comuni spesso fanno difficoltà a gestirli, a prescindere dalla dimensione perché è un discorso che vale anche per impianti piccoli come le piscine”, aggiunge. Dunque, problemi che riguardano Roma, Torino, Milano ma non solo. “Anche tante città piccole, per questo speriamo che i temi di questa mostra entrino nel dibattito politico”, si augura Manuel Orazi. Che poi toccando gli esempi dei due progetti in ballo a Roma per la squadra giallorossa e la Lazio dice: “L’ipotesi dello stadio a Pietralata è sensata perché è vicina a un punto di ingresso della città. Mentre sul Flaminio vedremo se sarà possibile intervenire sui posti a sedere, sulle curve. E anche sulla logistica occorre valutare quanto possa essere un’area ben servita”.
Guardando ai prossimi anni, l’Italia dovrà inevitabilmente accelerare sull’ammodernamento degli stadi (verso Euro2032) e qualcosa a livello politico si muove. “Ma serve una vera legge, non basta un decreto”, avverte Orazi. Che ricorda, infine, come il tema delle infrastrutture sportive riguardi il calcio ma anche il tennis e tanti altri sport. “Per non parlare delle palestre delle scuole: su questo un esempio da seguire può essere quello delle cittadelle sportive”, utilizzabili appunto anche dagli istituti. Come quelle di Bagno a Ripoli della Fiorentina (Viola Park) e quella del Sassuolo.
La speranza, allora, è che questa rassegna non resti confinata ad una mostra ma possa davvero far aprire gli occhi e tradursi in nuovi esempi concreti di rigenerazione sportiva, urbana e sociale nelle città italiane.