PROGETTO CORALE / 20

La sicurezza nella rigenerazione urbana è complessa ma necessaria: la sfida è combinare misure fisiche, sociali e tecnologiche. L’esempio dell’Agenzia del Demanio

12 Nov 2025 di Maria Cristina Fregni

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Il 22 Aprile del 2017 è entrata in vigore una legge che, alla luce del successo odierno della Rigenerazione Urbana, varrebbe la pena riprendere e riesaminare in alcuni suoi aspetti innovativi e interessanti.

Parliamo della Legge 48/2017, conversione del DL 14/2017, recante Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città.

Ci interessa in relazione al fatto che, sempre più spesso, negli intenti della Rigenerazione Urbana viene inserita anche la “sicurezza”, spesso abbinata ad espressione che richiamano l’inclusività, l’equità e simili. Quando però si va a vedere la traduzione di questi concetti in progetti, la sicurezza pare concepita più come “sicurezza pubblica”, ovvero come disciplina che si occupa prevalentemente dell’incolumità dei cittadini e della tutela della proprietà e che si concretizza in sistemi di videosorveglianza e diffusi impianti di illuminazione. (…)

 

Se andiamo invece a leggere l’articolo 4 della legge 48, troviamo questa definizione:“… si intende per sicurezza urbana il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione e recupero delle aree o dei siti più degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile”.

Questa ricchissima e preziosa definizione rende manifesto il fatto che la sicurezza urbana è finalizzata a garantire una buona qualità della vita ai cittadini, anche, ma non solo, attraverso il pieno godimento dello spazio urbano, e la sua realizzazione implica la sinergia tra più aspetti, da quelli tecnici dello spazio fisico a quelli dell’inclusione sociale e della riqualificazione socio-culturale.

Promuovere la “sicurezza urbana” all’interno di processi di rigenerazione è dunque quantomai calzante, ma altrettanto complesso, in quanto rende necessaria una combinazione di misure fisiche, sociali e tecnologiche, come la riqualificazione urbana, la promozione della coesione sociale, l’integrazione di tecnologie come la videosorveglianza e l’attivazione della cittadinanza. Questo approccio integrato mira non solo a contrastare la criminalità, ma anche a migliorare il decoro, la convivenza civile e la qualità della vita generale. 

A livello internazionale, esistono procedure e soluzioni progettuali codificate, che guidano i progettisti dello spazio nel disegno di ambienti “abilitanti” alla sicurezza urbana. Il metodo più famoso è quello racchiuso dall’acronimo CPTED, che sta “Crime Prevention Through Environmental Design” (prevenzione del crimine attraverso la progettazione ambientale), un approccio che utilizza la progettazione di spazi fisici per scoraggiare la criminalità. Questo metodo interdisciplinare in realtà va ben oltre il freno alla criminalità e propone soluzioni che, integrando architettura, urbanistica, sociologia e criminologia, consentono di creare ambienti che favoriscono la sicurezza attraverso principi come la sorveglianza naturale, il controllo degli accessi e l’evidente senso di proprietà e cura. 

Ma la vera Rigenerazione Urbana può e deve spingersi oltre queste metodologie, abbracciando da subito i vari aspetti che la sicurezza, come detto in precedenza, porta con sé.

In quest’ottica, sono davvero interessanti le iniziative messe in campo dal Demanio per la realizzazione di alcuni grandi interventi pubblici, che, potenzialmente, per le funzioni affrontate potevano decisamente proporre un approccio “poliziesco” alla progettazione e che, invece, hanno scelto tutt’altra linea di sviluppo. 

Ci riferiamo al Parco della Giustizia di Bari, ancora al Parco della Giustizia di Bologna e al concorso per la Cittadella della Sicurezza di Rimini. Ciò che accumuna queste iniziative non è solo il riuso a scopi pubblici di importanti aree dismesse all’interno delle città, ma proprio l’approccio che il Demanio ha voluto dare alla trasformazione: nonostante le funzioni previste abbiano forti caratteri legati alla protezione, al controllo e alla segretezza, in tutti e tre i casi la scelta è stata quella di improntare il progetto all’apertura, alla trasparenza e alla vivibilità. Non a caso per Bari e Bologna si parla di “Parco”: gli edifici dei tribunali e delle funzioni ad essi collegate non dovranno costituire una sorta di “fortino” chiuso su se stesso, bensì dovranno essere collocate all’interno di aree pubbliche attraversabili e verdi, che ospitano funzioni aggregative aperte alla città. Stesso approccio portato avanti per la Cittadella della Sicurezza a Rimini, in cui tutte le sedi di Prefettura, Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza saranno riunite in un unico grande ambito connesso visivamente e funzionalmente al tessuto urbano.

Questa scelta, significativa già in sé, risulta ancora più forte se si pensa che in tutti questi casi si parla di aree – ex caserme – da sempre chiuse alla città, spesso perimetrate da muri invalicabili e quindi mai percepite dai cittadini come parte della loro vita urbana nella quotidianità. L’apertura e l’inserimento di funzioni pubbliche aggregative acquisisce dunque un forte valore anche simbolico, di riappropriazione di uno spazio urbano e di trasparenza e vicinanza delle istituzioni ai cittadini, istituzioni che operano per la sicurezza e la giustizia con un approccio collaborativo, educativo e preventivo prima ancora che punitivo.

Anche nei termini scelti per raccontarsi queste rigenerazioni sembrano voler ricercare una integrazione tra sicurezza, difesa e comunità. Non a caso la Staveco è diventata il “nuovo portico per Bologna”, proprio a dare l’idea di un percorso protetto, familiare e identitario, con cui il cittadino bolognese può attraversare per la prima volta l’area e condividerne con positività le funzioni.

Ancora più forte la scelta di Bari: il “muro” che da sempre circonda le ex caserme oggetto di intervento è diventato “Murà”, un gigantesco murales di 300 metri inaugurato ad ottobre sul perimetro del cantiere del futuro Parco della Giustizia, concepito come arte partecipata che celebra i valori della giustizia, della legalità, dell’inclusione e della sostenibilità ambientale, realizzata con il contributo di scuole, associazioni, istituti penitenziari e artisti.

Questo è proprio il “da subito” di cui le iniziative di Rigenerazione hanno bisogno, per fare della sicurezza non un rimedio a posteriori, quanto invece un ingrediente prezioso che informa la trasformazione, genera attaccamento nelle comunità e stimola la riscoperta e la riattivazione dei luoghi.

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