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A chi serve il Piano Casa?
Nella stagione che stiamo vivendo emerge in tutta evidenza un bisogno da affrontare urgentemente: il soddisfacimento sempre più difficile del Diritto costituzionale alla Casa. Se lo osserviamo bene e lo analizziamo nelle sue varie ricadute ci possiamo rendere conto facilmente che la risposta a questo problema urgente potrebbe essere una occasione preziosa.
Intanto dobbiamo dire che quel diritto essenziale si intreccia e si sovrappone con quello che abbiamo di recente scoperto essere anch’esso costituzionale del Diritto alla Città nella riflessione di Giovanni Maria Flick come luogo di formazione dell’individuo.
Lo è anche però nel dibattito pubblico di questi giorni quando si discute delle connessioni tra costo della vita, emergenza abitativa e fuga dal centro. Appare allora evidente che l’accesso per tutti ad un alloggio è una condizione essenziale di cittadinanza.
Nel 2024 con il prof. Francesco Manfredi abbiamo seguito i tavoli di confronto attivati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ragionato a lungo sui modelli da applicare e aperto uno sguardo sullo scenario europeo per comprendere come allineare l’Italia (il cui patrimonio di Casa sociale è un decimo dell’Olanda) alle migliori pratiche contemporanee e alle grandi tradizioni di Social Housing del continente. Negli incontri e nei dialoghi che abbiamo avuto mi ha abbastanza impressionato una verifica sul campo fatta con i responsabili di Legacoop abitanti in Lombardia (e che ho riscontrato nella collaborazione con le realtà modenesi) nell’ambito della proprietà indivisa e dell’affitto permanente.
Mi dicevano che quello che vedono di recente è un preoccupante ampliarsi della domanda. Mi dicevano che se pochi anni fa venivano da loro infermieri e maestri d’asilo oggi arrivano da un lato giovani medici e ricercatori universitari e dall’altro famiglie bisognose sulla soglia di povertà.
La casa sociale non è più solo quindi la risposta a quella che un tempo veniva definita fascia grigia, ovvero chi non riusciva ad ottenere una Casa Pubblica ma non riusciva neanche ad accedere al libero mercato. La casa sociale è oggi una necessità per tantissime persone di varia estrazione che tocca ambiti sociali e professionali sempre più larghi e sempre più diffusi. Lo è non solo quindi verso l’alto ma anche verso il basso. Da un lato i livelli di povertà stanno crescendo in maniera spaventosa: nel 2024 i dati della Caritas parlano di quasi 270.000 famiglie prese in carico e numeri molto maggiori con problematiche crescenti. Se la condizione di povertà è passata dal 3,6 al 6,4% negli ultimi 15 anni il disagio abitativo tocca il 5,7% della popolazione. Dall’altro le opportunità occupazionali si scontrano con il costo della vita soprattutto nelle aree più industrializzate e l’impossibilità di molti lavoratori di insediarsi nei territori più competitivi.
Le nuove dinamiche sociali giovanili, l’immigrazione e l’invecchiamento della popolazione chiedono poi di immaginare nuove forme dell’abitare solidale e collaborativo mentre cresce l’esigenza di distribuire sul territorio presìdi sociali e i servizi sanitari più semplici per creare condizioni diffuse di assistenza e alleviare gli ospedali degli accessi meno necessari.
Leggiamo quindi da più parti segnali differenti di bisogni e di opportunità da riordinare in una risposta coordinata. Ci sembra allora di poter individuare una serie di bisogni rispondendo ai quali sarà forse possibile dare tante risposte a tanti profili.
La casa sociale serve a molti soggetti che hanno bisogni di varia natura. Serve in primis come ovvio alle fasce fragili e al crescente ambito di persone in difficoltà economica, dai nuovi poveri alla classe media in crisi. Serve, nello specifico, ai lavoratori pubblici e privati che vedono crescere, soprattutto nelle grandi città, gli affitti e i rischi di essere progressivamente espulsi verso le frange più esterne degli ambiti metropolitani. Serve agli enti pubblici, agli ospedali e alle università per poter essere attrattivi per funzionari, personale delle forze dell’ordine e sanitario, lavoratori di varia natura e studenti. Serve per radicare le presenze e stabilizzare le assunzioni che spesso oggi durano poco. Sappiamo infatti che, pochi mesi dopo la presa di servizio, si vedono frequenti trasferimenti in mobilità verso altri contesti più accessibili per l’impossibilità di sostenere i costi della vita con affitti troppo elevati.
Serve alle imprese e alle aziende che non riescono a trovare lavoratori qualificati e che potrebbero crescere in alcune aree del Paese in maniera molto più sostenuta se potessero garantire loro un’offerta praticabile di alloggi a canoni contenuti. Serve alla tenuta sociale dei territori non solo come risposta al disagio abitativo ma anche per il ruolo che la Casa Sociale oggi può svolgere come magnete di relazioni nel momento in cui gli spazi condominiali divengono sale civiche e luoghi collettivi aperti ai quartieri. Serve quindi a rafforzare la cooperazione sociale, un sistema in forte crescita e di grande valore, che rappresenta una risorsa essenziale per riaggregare le comunità urbane di una società in forte rimescolamento e in condizioni evidenti di disgregazione.
Serve poi al settore delle costruzioni con il suo indotto – come sappiamo un settore trainante l’economia del Paese – che può investire le proprie competenze e le proprie risorse a fronte di adeguate garanzie, sviluppando quella partnership Pubblico Privato che appare oggi, in un momento di scarse risorse pubbliche disponibili, condizione decisiva per ogni concreto processo di rigenerazione urbana. Serve quindi alla fine di conti alla società nelle sue difficoltà demografiche e occupazionali, alle città e ai territori nelle loro complessità insediative, economiche e sociali e alle politiche perché siamo effettivamente democratiche, organiche ed efficienti.