DIARIO POLITICO

Meloni-Draghi mai così distanti: la Premier preferisce Trump all’Europa e rinnova il “no” all’abolizione del diritto di veto

27 Ott 2025 di Pol Diac

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“Quasi ogni principio su cui si fonda l’Unione è sotto attacco”, ha detto Mario Draghi la scorsa settimana. L’ex Premier, già Presidente della Bce, in occasione della cerimonia per il conferimento del Premio Princesa de Asturias per la cooperazione internazionale ancora una volta non si è limitato a una severa diagnosi ma si è fatto carico di indicare la terapia che parte dall’imperativo di superare l’immobilismo: “Siamo una Confederazione che non riesce più ad affrontare le sfide” e per questo serve cambiare rapidamente, puntando su un “federalismo pragmatico” capace di agire al di fuori “dei meccanismi più lenti del processo decisionale dell’Unione” perché per quanto desiderabile sia “una vera federazione, essa richiederebbe condizioni politiche che oggi non esistono.

 

E le sfide che affrontiamo sono troppo urgenti per aspettare che emergano”. E dunque il superamento, o meglio l’aggiramento del diritto di veto su interessi strategici condivisi, è l’unico  modo “per consentire all’Europa di tornare protagonista”.

Sarà responsabilità di una “coalizione di volenterosi” farsene carico, è la proposta di Draghi che usa forse non a caso lo stesso termine – volenterosi – adottato da Macron sulla difesa dell’Ucraina.

Una posizione opposta a quella di Giorgia Meloni che quasi in contemporanea è tornata invece a rivendicare il “no” italiano all’abolizione del diritto di veto (“Non sono favorevole ad allargare il voto a maggioranza, in luogo dell’unanimità, all’interno delle istituzioni europee”) spacciando questa scelta come difesa dell’interesse nazionale.

Una scelta miope ma consapevole. La Premier è infatti convinta che i suoi alleati non siano Francia e Germania, Paesi con cui l’Italia ha il maggior interscambio commerciale e con i quali ha costruito il continente che ancora oggi – vale la pena ricordarlo soprattutto di questi tempi – è il più ricco al mondo e dove la tutela dei diritti, il sistema di sicurezza sociale sono i più evoluti dell’intero pianeta.

Il principale alleato dell’Italia a guida Meloni sono gli Stati Uniti di Donald Trump e gli altri estimatori del leader americano: dall’argentino  Milei all’ungherese  Orban, che abusa come nessun altro del diritto di veto e oggi sarà ricevuto a Palazzo Chigi. E’ questa la chiave di lettura con cui interpretare le scelte dell’attuale Governo. Le scelte con la esse maiuscola, dal confronto sui dazi (siamo passati dallo zero tariffe al magnificare la stangata sulle nostre esportazioni) al posizionamento su Gaza ma anche su Kiev, con la Premier sempre molto critica con i “volentersosi” che vedono Gran Bretagna, Francia, Germania e Polonia in prima fila.

Il resto, a partire dalla manovra che comincia il suo percorso parlamentare, sono quisquiglie. Comprese le scaramucce tra i suoi due vice – Tajani e Salvini –  che si sono distinti per aver disconosciuto questa o quella misura come se non avessero partecipato al Consiglio dei ministri che ha approvato la legge di bilancio. Non che sia una novità. E come sempre qualche contentino arriverà durante la discussione che comincerà al Senato nei prossimi giorni, a partire dal ripristino di alcune poste al MIT. Ma niente di più.

Anche quest’anno non ci sarà una terza lettura e dunque il testo di Palazzo Madama sarà quello definitivo, incorporato nel maxiemendamento del Governo. L’obiettivo principale del resto è assicurare che i conti siano  in ordine così da mantenere basso il costo per ripagare il nostro debito e ottenere l’uscita dalla procedura d’infrazione e quindi qualunque modifica dovrà essere a saldi invariati.

L’unico momento di suspence – se così si può dire – saranno le regionali in Veneto e Campania a novembre (23 e 24). Si voterà anche  in Puglia ma il risultato, la vittoria dell’ex sindaco di Bari del Pd, Antonio Decaro, è ritenuto più che scontato. Anche in Veneto la vittoria del leghista Alberto Stefani non è in discussione.

Quello su cui si concentra l’attenzione è però il risultato che otterrà la Lega, finora il partito più penalizzato dai test di queste regionali e che in caso di flop rischia di entrare in fibrillazione con inevitabili ricadute anche sul clima interno alla maggioranza durante l’esame della manovra.

Quanto alla Campania le quotazioni dell’ex presidente della Camera M5s i Roberto Fico sono altalenanti. Il centrodestra crede nella remontada, tant’è che Meloni ha voluto schierare un suo big come Edmondo Cirielli, attuale viceministro degli Esteri e coordinatore dell’Esecutivo di Fdi.  Se si realizzasse il colpaccio mandando il centrosinistra all’opposizione sarebbe l’ennesimo successo per la leader della destra. Ma se anche arrivasse la sconfitta non ci sarebbero grandi rammarichi. Il futuro dell’Italia comunque si decide altrove.

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