Il rapporto sulla competitività
Draghi: avanti con le RIFORME, riducono il ‘dramma’ dei 700-800 miliardi e lo rendono realistico
In un incontro con il think tank Bruegel, Draghi sostiene che la realizzazione delle riforme porterà un aumento della competitività e la cifra monstre degli investimenti avrà una dimensione più realistica. Non va polarizzato il dibattito sul debito comune e serve una politica industriale europea. Ed europea deve essere la sovranità perché troppo deboli sono le sovranità nazionali.

MARIO DRAGHI EX PRESIDENTE CONSIGLIO DEI MINISTRI E EX PRESIDENTE BCE
La mole del ‘bazooka’ di 700-800 miliardi di investimenti aggiuntivi l’anno per rilanciare la competitività europea è, sicuramente, di forte impatto come forti sono gli interrogativi che pone su come finanziarli. Eppure è solo una stima conservativa. Ma “se facciamo le necessarie riforme, la produttività aumenterà” e “questa specie di dramma politico percepito prenderà una dimensione più realistico”. Non ha dubbi l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, sulla necessità ineludibile di avviare un percorso di riforme incisive nell’Unione europea per imprimere una sterzata e invertire la rotta di un inesorabile declino. Un messaggio che è il cuore del Rapporto sulla Competitività nella Ue presentato due settimane fa e che Draghi rilancia con forza in un incontro con il think tank Bruegel, ieri a Bruxelles. “Questo importo deriva da un calcolo effettuato in modo indipendente dalla Commissione europea e dalla Banca centrale europea e si basa sugli investimenti legati al Repower Eu, il digitale, il 5G, gli obiettivi per la banda larga, l’impegno del 3 per cento in ricerca e sviluppo in Europa, e gli impegni del 2 per cento del Pil in difesa richiesto dalla Nato. Arriviamo a questa cifra, 700-800 miliardi, un po’ meno del 5 per cento del Pil europeo. Per inciso, questi numeri sono una stima relativamente conservativa, perché non includono l’adattamento e la protezione del clima, che, come purtroppo vediamo tutti, diventano sempre più necessari. Non includono gli investimenti nell’istruzione, nella formazione delle competenze, che saranno necessari, come sostiene il rapporto. E potrebbero non includere altri aspetti”.
“Ma questo importo così elevato è solo un importo totalmente aggiuntivo? Non credo. Se il settore privato è così agile da riorientare i propri investimenti verso i settori a più alta produttività, se saremo anche collettivamente reattivi e con una mentalità comune per riformare le strutture del mercato unico e integrarci fra noi il prima possibile, sicuramente l’ammontare dei finanziamenti pubblici necessari si ridurrà di molto. Questa è la migliore linea d’azione e, tra l’altro, è essenziale: prima la facciamo, meglio è”, avverte Draghi. E mette anche in chiaro: “c’è un punto che devo sottolineare. Avremo comunque bisogno di denaro pubblico, e questo ha a che fare con il fatto che molti di questi grandi investimenti, soprattutto quelli più importanti, sono investimenti in beni pubblici. E sappiamo che il settore privato tende a sottofinanziare gli investimenti in beni pubblici per una serie di ragioni, una delle quali è che hanno molte ricadute”. Reti elettriche, reti digitali, conoscenza, clima: è qui, incalza l’ex numero uno della Bce, che l’Europa ha bisogno per “colmare il gap di cui soffre” in investimenti in infrastrutture, dove il Capex, il Capital Expenditure è più basso rispetto a Usa e Cina.
Nelle tlc, dice Draghi, “non abbiamo bisogno di 27 monopoli nazionali. Quello che il rapporto vuole è un certo numero di soggetti paneuropei che competano ferocemente nei mercati nazionali”, spiega. Sul versante energetico, i Paesi dell’Unione europea devono sostenere con sussidi pubblici le varie industrie per la produzione di energia “pulita”. “Sulle energie pulite le nostre industrie si trovano in una situazione di concorrenza non paritetica con la Cina. E in prospettiva, se vogliamo che il 100% dell’energia venga da fonti rinnovabili e pulite, e se non vogliamo ripetere la situazioni in cui eravamo con la Russia, in cui dipendevamo per la l’energia da qualcuno con cui potevamo diventare nemici, questa è la ragione per sussidiare la produzione di energia verde”, ha detto. “E ci sta un’altra considerazione. Perché la nostra dipendenza dalla Cina non è soltanto su prodotti finiti, ma anche su materie prime critiche. E per questo credo che dovremmo incoraggiare e promuovere tutte le tecnologie pe rimpiazzare queste materie prime con altre”.
Attenzione, poi, puntualizza Draghi, a non polarizzare il dibattito sull’emissione di debito comune per finanziare le transizioni digitale, verde, nelle difesa e sicurezza: è sì uno strumento importante che diminuirebbe i costi finanziamento ma “non è il fattore principale, l’ingrediente essenziale del Rapporto sulla competitività, Non centrerei oggi la discussione su questo perché adesso è importante avere una valutazione comune delle sfide cui si trova fronteggiare la Ue e un accordo sulla strada da percorrere”, dice Draghi.
Sono tre i messaggi che Draghi ribadisce al think tank Bruegel: la necessità di uno sforzo comune per aumentare la crescita della produttività, di completare il mercato unico e di una politica industriale europea. “L’obiettivo europeo deve essere non solo mantenere lo standard di vita ma di assicurare i valori europei di prosperità, indipendenza, sicurezza in un contesto geopolitico cambiato. Questa deve essere la nuova importante priorità della Ue”, afferma Draghi. Il completamento del mercato unico è il presupposto per consentire la crescita di scala delle aziende innovative e assicurare i finanziamenti: “troppe ora le barriere e le regole nazionali. Non c’è alcun Paese che da solo sia in grado di affrontare le sfide della competizione globale e della sicurezza’ continentale. ‘La concorrenza dall’esterno è guidata dall’innovazione e anche da una forte asimmetria nelle politiche industriali e per questo sostenere che sono i paesi singoli che decidono quali tecnologie, quali industrie sostenere significa solo difendere campioni nazionali’. E dietro a questi messaggi, ce n’è soprattutto un altro: “il concetto di sovranità, sotteso a questo rapporto, è una sovranità europea e non la sovranità nazionale. Tutto quello che vediamo oggi dimostra che la sovranità nazionale è troppo debole”.
Ma sovranità europea non significa chiusura né arroccamento su posizioni protezionistiche per fronteggiare la concorrenza dei principali competitor. Per Draghi, “L’Unione è un’economia aperta. Siamo diversi dagli Usa: non possiamo erigere un muro protezionista. Non potremmo farlo neanche se lo volessimo, perché ci danneggeremmo da soli”.