PROGETTO CORALE / 16

Nessuno potrà mai toglierci quello che abbiamo ballato (anche a Città nel Futuro): la rigenerazione urbana come danza intricata, il grande fermento è appena cominciato

Jane Jacobs usava le espressioni “sidewalk ballet” e “dancing streets” per descrivere le interazioni complesse, impreviste e vitali che si verificano negli spazi pubblici di una città. Questo concetto si riferisce alla “danza intricata” di persone diverse – vicini, acquirenti, bambini e sconosciuti – che si muovono in un quartiere, creando un senso di sicurezza e ordine sociale attraverso un’attività costante e diversificata.

Scopo delle Rigenerazione Urbana dovrebbe proprio essere la riattivazione di queste complesse relazioni, da far esprimere sul palcoscenico di quartieri ambientalmente sostenibili grazie ad un rinnovato rapporto tra uomo e natura.

A sua volta, dunque, la Rigenerazione Urbana, soprattutto per come è andata in scena nella “tre giorni” romana di Città nel Futuro, dal 7 al 9 ottobre scorso presso il Maxxi, può essere vista come una danza, una coreografia contemporanea composta di molteplici fattori, di dinamismo e perseveranza, di esperimenti e repertorio.

15 Ott 2025 di Maria Cristina Fregni

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Nessuno potrà mai toglierci quello che abbiamo ballato (anche a Città nel Futuro): la rigenerazione urbana come danza intricata, il grande fermento è appena cominciato

Superman, coreografie di Sara Monari e Martina Ronchetti. Interpreti: Formazione professionale ModenaDanza. Fotografia: Alessandro Grandini

 

Dietro ad ogni esibizione di una compagnia di danza si celano un duro lavoro e una grande ricerca: musica e movimento devono dialogare e sostenersi vicendevolmente, la coreografia deve avere un suo storytelling, deve risultare esteticamente attrattiva, nonostante alla base ci sia tanta tecnica, tanto esercizio e tanti gesti provati e poi abbandonati, rivisti, perfezionati.

Ogni danzatore ha un suo ruolo, nella coreografia e nell’esibizione: chi dà forza e sostiene il gruppo, chi organizza il movimento sul palco, chi crea il contesto all’intorno e chi si stacca per un breve passo solista. Il ruolo dipende dalle caratteristiche del danzatore, dal messaggio che si intende lanciare, dagli equilibri fisici, tecnici e relazionali all’interno della compagnia.

La fluidità del movimento, il rispetto dei tempi, l’efficacia comunicativa dipendono strenuamente dall’intesa e dalla fiducia reciproca tra i danzatori e dalla generosità di ognuno, che sul palco porta tutto se stesso come individuo, ma lo mette al servizio del gruppo e dell’esibizione. E se una volta qualcuno manca, o un danzatore è infortunato, i movimenti e gli equilibri si modificano e si adattano, in una resilienza che è fatta di flessibilità e sostegno reciproco.

Oltre a chi sta sul palco, poi, c’è ovviamente il coreografo, cui spetta l’ideazione ma anche la garanzia della fattibilità dell’opera e l’accettazione che venga interpretata in modo anche diverso dalla idea iniziale, ci sono i costumi e le luci, e poi c’è il contesto: ogni esibizione si modifica anche in ragione della dimensione, della scivolosità e della pendenza del palco, della tipologia di pubblico o di giuria. E per tutti questi motivi ogni esibizione è unica, anche se la coreografia è la stessa.

A Roma sono andate in scena tante esperienze, tanti attori, tante sperimentazioni, e si è percepito un senso di genuino e reale interesse per la Rigenerazione Urbana, fondato per ognuno su motivazioni diverse, spesso ovviamente soggettive ma non per questo da scartare. Altrettanto, a onor del vero, si è evidenziata la necessità di una regia chiara e di quadri procedurali e normativi definiti, e di strumenti per imparare ad “andare oltre” la propria specifica sfera di competenza, cimentandosi nel confronto, nel dialogo e nell’interazione tra ambiti disciplinari e imprenditoriali differenti. C’è sicuramente ancora molto da fare sulla fiducia reciproca tra gli attori della Rigenerazione, abbandonando presunti primati – di rappresentatività, di peso economico, di competenza tecnologica – a favore di esperienze collaborative basate sulla reale condivisione degli obiettivi e sul rispetto dei ruoli. C’è molto da fare, ancora, nel connettere le iniziative di rigenerazione al dinamismo degli stili di vita e alla evoluzione delle necessità dell’abitare, attingendo dal repertorio delle prassi consolidate ma con il coraggio di provare strade nuove fondate su una conoscenza profonda dei bisogni e delle aspettative.

Ma in ogni caso il grande fermento emerso a Roma va protetto, coltivato e condiviso, come ha ben intuito DIAC, che, con la conferenza di giovedì 9 (si veda qui il video dell’evento), ha evidenziato potenzialità e sinergie esistenti e potenziali da non disperdere. Infatti, mettere a fattor comune quanto sperimentato da ogni soggetto fin qui è una delle chiavi per rafforzare il senso delle trasformazioni rigenerative, che, oltre che progetti, sono prima di tutto processi.

Proprio come una esibizione di danza, che, quando si chiude, con o senza applausi, non esaurisce il proprio valore – i ballerini hanno imparato a lavorare insieme e sostenersi come gruppo, ogni membro ha approfondito le proprie skill e debolezze, il produttore ha sperimentato un format, il pubblico si è arricchito di una esperienza di bellezza e umanità – i processi di Rigenerazione Urbana hanno in sé un grande valore dinamico professionalizzante e civicamente arricchente, che va oltre il risultato sul singolo luogo.

Come, in fondo, ci ricorda sempre il celebre adagio argentino “Nadie nos quita lo bailado”. (nessuno potrà mai toglierci quello che abbiamo ballato)

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