L'ARCHITETTURA VISTA DA LPP / 29

La generazione degli architetti 30-40enni: eleganza ma senza azzardi, creatività sopravvissuta nei dettagli. I casi Balance, Didoné e Comacchio Architects, Simone Subissati

27 Ott 2025 di Luigi Prestinenza Puglisi

Condividi:

Ogni tre o quattro anni qualcuno decide di fare il punto sulla giovane architettura italiana. È un rito laico, quasi scaramantico: come se nominare i “nuovi” servisse a farli esistere, a esorcizzare la paura che l’architettura italiana si sia fermata per sempre al dopoguerra o, nella migliore delle ipotesi, ai maestri degli anni Novanta. Nascono così libri, cataloghi, ricognizioni, mappature, che promettono di ritrarre lo stato dell’arte del nostro presente progettuale.

Sono operazioni utili, benché parziali: per ogni architetto selezionato, ce ne sono vari dimenticati, per ogni progetto incluso, altri restano nel cassetto.

Ma, come accade con ogni antologia, la parzialità non è un difetto, bensì il prezzo da pagare per avere uno sguardo, un punto di vista.

Viaggio in Italia 2, curato da Marcello Bacchini, Martina Esposito e Alessia Pagano, si inserisce in questa tradizione. È un volume che raccoglie trenta studi italiani di architettura, scelti con l’intento di raccontare una generazione. Segue idealmente Viaggio in Italia 1 – Itinerari di architettura contemporanea, a cura di Roberto Bosi e Mattia Pavarotti, che già aveva individuato una ventina di studi emergenti. Alcuni tornano anche in questa seconda edizione, a testimoniare la continuità di un discorso che non si è interrotto.

L’intento è chiaro: tracciare una mappa di quella fascia d’età – tra i trenta e i quaranta anni – che oggi rappresenta il cuore operativo dell’architettura italiana. Tuttavia, come spesso accade, le età dichiarate non coincidono con quelle anagrafiche. Alcuni dei progettisti selezionati superano la soglia, segno di una condizione cronica del nostro paese: in Italia si resta “giovani” fino ai cinquant’anni, almeno finché non si ottengono incarichi importanti.

Il sistema non funziona. Mancano i concorsi, mancano le politiche di sostegno, manca quella rete di promozione che in Francia, per esempio, ha permesso a intere generazioni di costruire presto e bene. Da noi, i giovani sono lasciati ai margini, a progettare case, interni, piccole ristrutturazioni. Il risultato è che la creatività sopravvive nei dettagli più che nei grandi gesti.

Eppure Viaggio in Italia 2 dimostra che qualcosa si muove. I trenta studi selezionati sono competenti, colti, attenti. Le loro opere sono raffinate, ben costruite, misurate. Una qualità diffusa, quasi artigianale, che riconcilia con l’idea di un mestiere praticato con serietà. Ma, come spesso succede, la virtù può diventare limite.

L’Italia di oggi sembra aver trovato la sua cifra estetica nell’eleganza. È una scelta prudente, controllata, rassicurante. Bella, certamente. Ma anche, a volte, un po’ vuota.

Come diceva Edoardo Persico, “gli architetti italiani non credono a niente di preciso”. E quando non si crede a nulla, si finisce per credere nella bellezza. L’eleganza, in fondo, è il rifugio dell’incertezza: quando il pensiero vacilla, ci si aggrappa alla forma, al disegno impeccabile, all’intonaco perfetto.

C’è anche una ragione più concreta. In un mercato fragile, dove ogni commessa è un miracolo, nessuno può permettersi il rischio dell’azzardo. Meglio proporre un abito su misura per il cliente, sobrio e ben cucito, piuttosto che un vestito visionario che rischi di restare sull’attaccapanni.

Così l’eleganza diventa un atteggiamento difensivo, una forma di sopravvivenza. In architettura significa prediligere forme semplici, superfici pulite, un dialogo attento con il contesto. Evitare lo stridore, la dissonanza, il conflitto. È il dominio del “modernismo educato”: geometrie rigorose ma non rigide, proporzioni controllate, materiali naturali, colori neutri.

Chi cerca la sorpresa troverà poco: niente di paragonabile alle torsioni di Zaha Hadid, alle fratture di Frank O. Gehry, ai teoremi concettuali di Rem Koolhaas o all’ascetismo radicale di Kazuyo Sejima. Qui domina il realismo gentile, fatto di misura e di umanità, di attenzione ai luoghi, ai materiali, alla luce. La virtù del “giusto mezzo”.

Eppure, dentro questa coralità elegante, emergono alcune voci più nitide. Tra tutte, quella di Balance, lo studio che nel volume presenta la sede operativa di IDT Spa – BRANDS DISTRIBUTION. Un progetto torinese che interpreta con lucidità il tema dello spazio produttivo contemporaneo. Post-industriale ma non nostalgico, trasparente ma non freddo, l’edificio disegna un ambiente versatile, luminoso, accogliente. È un’architettura che profuma insieme di industria e di ecologia, di rigore e di leggerezza. La sua eleganza non è manierismo, ma misura: la capacità di fare tanto con poco, di costruire spazi aperti al cambiamento.

Diversi altri progetti raccontati nel libro sono abitazioni private, spesso ville unifamiliari. Da sempre la casa è il terreno privilegiato della sperimentazione architettonica. Non solo perché è più facile trovare un committente disposto a rischiare con un giovane progettista, ma perché nella casa si concentra un investimento affettivo ed economico che nessun altro edificio conosce.

Del resto, l’intera storia dell’architettura moderna è costellata di case-manifesto: dalla Villa Savoye di Le Corbusier alla Tugendhat di Mies, dalla Casa sulla cascata di Frank Lloyd Wright alla Villa Mairea di Alvar Aalto.

Tra le abitazioni presentate in Viaggio in Italia 2, due meritano una menzione particolare.

La prima è la House NF di Didoné e Comacchio Architects, esempio di una semplicità studiata con rigore quasi ascetico. Dove tutto è chiaro, calibrato, essenziale: materiali naturali, geometrie pure, luce diffusa.

La seconda, invece, si distingue proprio perché interroga questa misura. È la Casa di Confine di Simone Subissati Architects, forse il punto più alto del volume. Subissati rilegge la forma archetipica della casa – il tetto a falde, il volume compatto – ma la sottopone a una serie di tagli, variazioni, inversioni, scavi che la rendono nuova. L’archetipo è messo in crisi, ma senza abbandonarlo. È un’architettura che dialoga con la memoria senza cedere alla nostalgia, che ritrova la forza poetica della tradizione ma la aggiorna con un linguaggio contemporaneo.

C’è un’eco metafisica. Una compostezza che si apre alla sperimentazione. Si intravede una possibile via d’uscita dal cul-de-sac dell’eleganza: la capacità di unire misura e tensione, chiarezza e inquietudine.

In definitiva, Viaggio in Italia 2 è un buon libro. Non perché dica qualcosa di assoluto sull’architettura italiana, ma perché restituisce un frammento, un campione significativo del suo presente. È una fotografia scattata con luce naturale, senza filtri drammatici né grandangoli deformanti. Ci mostra una generazione seria, colta, consapevole, ma ancora troppo prudente.

Forse è il riflesso del paese stesso: immobile, pieno di talento ma povero di opportunità. Un’Italia che preferisce non sbagliare piuttosto che rischiare.

 

A cura di Marcello Bacchini, Martina Esposito, Alessia Pagano, Viaggio in Italia 2. Itinerari di architettura contemporanea, LetteraVentidue, Siracusa, 2025.

Argomenti

Argomenti

Accedi