IN SINTESI
Boeri è una figura di archistar abbastanza atipica nel senso che la sua fama è legata a un solo edificio molto amato e, insieme, molto criticato: il Bosco verticale. Si tratta di una delle operazioni di comunicazione architettonica più brillanti ed efficaci del secolo. A cominciare dal nome che ha catturato l’attenzione e stimolato la fantasia del pubblico e messo una sorta di copyright su tutti gli edifici verdi della storia dell’architettura. Che da allora sono diventati parenti, vicini o lontani, di questa costruzione la cui nascita la Storia sembrava aspettare. Ma l’aspetto più importante del Bosco verticale consiste nel dare l’impressione che, finalmente, il problema dei problemi della nostra condizione metropolitana può essere risolto: si possono costruire grattacieli e insieme si può essere ecologici; è finito il tempo dello o/o, per quello dello e/e. E difatti il Bosco verticale sembra piacere soprattutto in tutte le realtà urbane in via di rapido sviluppo se non di vertiginosa espansione: per esempio in Oriente.
Alcuni detrattori hanno notato che le torri del Bosco Verticale non differirebbero da un edificio speculativo con grandi balconi e capienti vasi per il verde. Non considerando che è proprio il suo carattere unitario e un po’ esagerato che lo fa apparire come un simbolo, che vuol dire essere molto di più che una semplice soluzione tecnica. Non importa a questo punto che per provvedere alla cura delle piante la rata del condominio sia salata, ciò che importa è che il Bosco verticale sia diventato una delle icone di Milano, insieme alla Madonnina e al Pirellone. Sembra dire: nella Capitale Morale si può costruire senza timore, perché siamo in grado di far quadrare speculazione edilizia e coscienza ecologica. Per costruire basta infatti risarcire il territorio con una certa quantità di verde, che ovviamente può essere verticale ma anche un parco orizzontale come prevede il progetto ForestaMI per la piantumazione entro il 2030 di tre milioni di alberi .
Il lettore attento intuirà che sto per arrivare al punto: le recenti vicende giudiziarie che, in questo periodo, occupano le pagine dei giornali. Dovrà però avere un po’ di pazienza anche e perché ci occorre una altra premessa.
Boeri, diversamente da altre archistar, quasi esclusivamente o prevalentemente orientate alla attività professionale, ha una intensa vita accademica e culturale. È professore ordinario al Politecnico di Milano, ha insegnato in Università straniere prestigiose quali Harvard, ha fondato nel 2000 l’agenzia di ricerca Multiplicity, ha ruoli importanti nelle istituzioni culturali, per esempio alla Triennale di Milano di cui è presidente dal 2018. È stato inoltre direttore di riviste internazionali quali Domus (dal 2004 al 2007) e Abitare (dal 2007 al 2010).
Si è mosso cioè lungo una direzione – essere insieme politico, professionista, promotore di cultura, accademico- ampiamente collaudata da personaggi quali Marcello Piacentini, Ernesto Nathan Rogers, Gio Ponti, Paolo Portoghesi, Vittorio Gregotti e, più recentemente, Marco Casamonti. Una occupazione ad ampio raggio di spazi disponibili dove ogni ruolo serve a supportare l’altro.
Da qui una doppia posizione. Di sostenitore della sperimentazione architettonica in quanto accademico e direttore di istituzioni culturali. Di interlocutore del potere in quanto politico e professionista: sia come militante ( dal 2011 al 2013 è stato Assessore alla Cultura del Comune di Milano) sia come architetto di fiducia del Principe (si pensi ai progetti per il G8 alla Maddalena o alla nomina di Consulente Esperto di Pianificazione Urbana dal Commissario Straordinario del Governo per la Ricostruzione, relativamente ai territori colpiti dal terremoto del 2016).
Questa doppia posizione ha generato un atteggiamento ibrido tra cultura e politica con notevoli invenzioni, come per esempio il Festarch in Sardegna e a Perugia, dove la migliore architettura contemporanea era proposta attraverso eventi freschi, spigliati, attuali. Eventi che, parallelamente, servivano a supportare importanti idee architettoniche di trasformazione del territorio con relativi progetti commissionati, come è successo in Sardegna con il governatore Renato Soru, a architetti del gotha internazionale.
Nuovissimo, per la sua apertura al mondo contemporaneo, e antichissimo, per la sua abilità di dialogo con il potere, Boeri non poteva che diventare l’esponente di maggior spicco della cultura architettonica milanese. Pare che si riferisse a lui Luca Bernardo, suo avversario per il centro destra , quando ha affermato “non credo che Milano debba essere in mano a solo due costruttori e solo a un architetto”. Non solo a Milano: Boeri è un consulente ricercato dalle molte giunte di centro sinistra, che, in un periodo come questo caratterizzato dalla mancanza di visioni, hanno bisogno di idee nuove per la città e alle quali fa piacere sentirsi risolvere i problemi, ricorrendo a ampie cure di verde urbano. Questo è avvenuto anche a Roma dove Boeri è stato chiamato per una consulenza per il futuro della città. L’iniziativa, come era da aspettarsi, è stata percepita dai locali come un ennesimo tentativo di colonizzazione del Nord sul Sud e ha sollevato il putiferio. La vicenda credo sia stata risolta inserendo nel workshop di progettazione giovani studi romani. I risultati, che volevano esprimere un approccio fresco e giovanile, sono stati a dir poco deludenti. Non ci voleva certo Boeri per dire che sarebbe bello che il Tevere diventi navigabile e balneabile, il raccordo anulare sia inserito all’interno di una fascia ecologica e Ostia diventi lo sbocco al mare della città.
Da qui il sospetto che la sperimentazione boeriana a volte non vada oltre la banalità. In fondo anche il Bosco Verticale è un’idea elementare di convivenza tra cemento e piante e di molti progetti dello studio Boeri colpisce la estrema diagrammaticità delle proposte.
Torniamo a Milano. In questi giorni, sfogliando i giornali, ricorre con crescente frequenza il nome del Nostro. I magistrati ipotizzano, infatti, che a Milano si sia sviluppato un costume diffuso di corruzione che investe la struttura tecnico amministrativa e una élite di professionisti, che pare usassero il tema del rinnovamento come pretesto per operazioni poco chiare, se non criminose.
Se ci sono responsabilità penali o meno decideranno i magistrati. Da critico di architettura non posso non notare che Boeri ha contribuito a dare al modello Milano una sua forma e, nonostante gli appunti che abbiamo sollevato in precedenza, non priva di interesse. Sarà una città invasa dalla speculazione, ma, con tutti i suoi limiti, Milano è uno dei laboratori di architettura più rilevanti d’Italia in cui la sperimentazione, la comunicazione, i nuovi temi dell’ambiente giocano un ruolo importante. Tornare indietro, come se nulla fosse successo, sarebbe un errore. Vorrebbe dire preferire l’immobilismo delle altre città italiane, Roma in testa, molto più caute nell’interpretare le norme urbanistiche. Ovviamente occorre anche essere scettici sul valore taumaturgico dei Boschi verticali e guardarsi dal credere in toto alle affermazioni dei progettisti e degli imprenditori di questa nostra epoca di turboecologismo. Il greenwashing, cioè la astuzia di nascondere gli aspetti speculativi dietro ai valori limpidi dell’ambientalismo, è sempre in agguato.
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