LA CONGIUNTURALE DEL CRESME

Crolla il Superbonus ma il recupero nel 2024 fa ancora il 73% dei 292 miliardi di produzione edilizia

Da aprile 2024 il crollo del Superbonus ha portato a un calo della riqualificazione abitativa del 16,9%. Nonostante questo, il settore del recupero complessivamente inteso (compresi 51,5 miliardi di manutenzione ordinaria) rappresenta ancora la parte di gran lunga prevalente, il 73%, dei 292 miliardi di euro di produzione edilizia.  Dal lato della domanda, invece, quello della casa rimane un problema storico che si è andato aggravando negli ultimi tempi. La legge Fanfani del 1949, la 457 del 1978 e le case dell’Istituto Autonomo Case Popolari rappresentano le uniche eccezioni positive, in un contesto che vede pesare anche i censimenti lacunosi. Tutti i fattori che incidono e la ricetta che servirebbe.

04 Dic 2024 di Mauro Giansante

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Crolla il Superbonus ma il recupero nel 2024 fa ancora il 73% dei 292 miliardi di produzione edilizia

Costruzioni significano investimenti ma anche manutenzione. Il Cresme, nel suo rapporto congiunturale giunto alla XXXVII edizione, lo dice chiaramente. “E’ una voce importante nelle attività e nei fatturati delle imprese” e invece viene sempre considerata come spesa annuale.

Per ragionarci bene basta guardare agli interventi fatti in questi anni di superbonus. Che come si vede dal primo grafico qui sotto è in totale crollo da marzo ad oggi.

C’è il valore del mercato delle costruzioni che dal 2023 al 2024 è sceso del 6% da 311 a 292 miliardi di euro. E, all’interno, c’è il valore della manutenzione ordinaria per tutti i settori edilizi: 51,5 miliardi di euro quest’anno, con un +0,4% rispetto a quello passato.

 

 

“Per avere un’idea della sua importanza spesso trascurata, basterà dire che gli investimenti in nuove abitazioni sono stati pari a 21,8 miliardi di euro (22,6 miliardi nel 2023), il 42% della manutenzione ordinaria”, scrive il Cresme nel rapporto.

Nonostante una flessione di 18,2 miliardi tra le manutenzioni straordinarie nel residenziale del periodo 2023-2024, il valore di questi interventi rimangono in testa alle voci di mercato con il 33%. Contando anche il non residenziale e il Genio Civile si arriva al 55,2%. Poi, insieme alla manutenzione ordinaria si sale appunto al 72,9% contro il 24,7% del nuovo. Numeri non trascurabili, tutt’altro, nell’era della riqualificazione che dovrà dare una seconda vita alle nostre abitazioni. Con o senza superbonus.

Il problema della casa è una malattia storica dell’Italia

Quello della casa, però, è in generale uno dei malanni storici e mai curati dall’Italia. La diagnosi chiarissima è quella che vien fuori da un focus contenuto nello stesso XXXII° rapporto congiunturale del Cresme. Partendo dalle poche eccezioni legislative, l’analisi ricorda come soltanto la legge Fanfani del 1949, la 457 del 1978 e le case Iacp (Istituto autonomo case popolari) per lavoratori abbiano provato a garantire l’esercizio del diritto alla casa. Meno efficaci, invece, sono risultati gli strumenti post 2008 e del cosiddetto housing sociale.

Detto che c’è anche un tema di censimenti lacunosi su quante abitazioni ci sono e quante se ne costruiscono in Italia, lamentato nel rapporto Cresme, i fattori che in primis incidono sul progressivo aumento del disagio abitativo sono riconducibili ai redditi e al lavoro precario, all’aumento dei prezzi degli affitti, la diminuzione di abitazioni dal mercato locativo, l’aumento degli studenti fuori sede, il “dilagante fenomeno” degli affitti brevi in case vacanza, l’aumento del pendolarismo. Tanti elementi che gravano soprattutto sui giovani.

I fattori più incisivi

Sono i giovani, infatti, che anzitutto lavorano con più difficoltà rispetto agli over 50. Dal 2011 al 2022, dice il Cresme, sono andati persi 2,4 milioni di 15-49enni con la conseguenza di una cessazione di ricerca occupazionale da parte dei più young. Stesso discorso sui redditi: cresciuti in media dell’8,5% nel triennio 2019-22 ma solo del 2,8% per i redditi fino a 26mila euro all’anno.

Giovani, poi, significa quasi automaticamente studenti. E per questa categoria, in Italia, significa anche parlare di tanti che sono costretti a cambiare città per fare il proprio percorso universitario. Dati Cresme alla mano, rielaborati sulla base di quelli del Miur (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca), in dieci anni – dal 2015 al 2024 – i fuori sede sono aumentati del 33% stabilizzandosi sulle oltre 326mila unità.

Il problema di base è la poca offerta di alloggi: dimezzata dal 2015 al 2024 da quasi 91mila a 50mila. E, connesso, con canoni annui sempre più costosi laddove c’è maggior proposta, cioè nelle città più costose. In più, sono dilagati i cosiddetti affitti brevi per i turisti, incidendo ancor di più sugli affitti a lungo termine con prezzi bassi.

Perché manca una strategia sulla casa

Insomma, sono diversi e tutti intrecciati tra loro i fattori che orbitano attorno al tema-problema della casa per gli italiani. In prospettiva, secondo il Cresme, andrebbe avviato un percorso strategico imperniato su segmentazione dei fabbisogni, azioni combinate che includano tra le varie cose student e co-housing, aiuti al reddito e housing sociale, coordinamento territoriale tra governo, Regioni e Comuni. La ricetta per guarire da una malattia pluridecennale è solo questa.

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