LA RIFORMA DELLE AUTOSTRADE NEL DDL CONCORRENZA
Salta l’accollo allo Stato di concessioni regionali in rosso. Ancora CRITICITA’ su durata e nuove tariffe
Salta l’aiuto a Pedemontana veneta e Brebemi. La durata massima di 15 anni della concessione non favorisce la concorrenza perché innalza il valore di subentro scoraggiando la partecipazione alla gara. Il modello tariffario proposto da Salvini, in parte già smontato rinviando alla regolazione Art, in parte persiste proponendo l’abbandono di un modello privato i cui gli investimenti sono finanziati con la tariffa e il passaggio a un modello misto in cui le opere nuove sono finanziate da un fondo nazionale alimentato dagli extragettiti e dalle risorse pubbliche disponibili. Intervento anche sulle concessioni in essere allo scadere dei periodi regolatori con l’aggiornamento del Pef governato dal Mit.
IN SINTESI
Dopo l’approvazione del Cdm di venerdì scorso, resta un work in progress la riforma delle concessioni autostradali voluta dall’Unione europea e messa a punto dal ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, nel Ddl sulla concorrenza. Un disegno europeo – maggiore concorrenza nell’assegnazione delle concessioni e consolidamento legislativo di meccanismi di regolazione tariffaria che favoriscano l’effettiva realizzazione degli investimenti – inserito fra gli obiettivi Pnrr e necessario per il Paese, che aspetta da quasi 20 anni – dallo scontro Di Pietro-Autostrade sul caso Abertis – un quadro legislativo stabile e trasparente.
Ma le norme messe a punto da Salvini si sono discostate fin dall’inizio da quel disegno europeo, suscitando duri rilievi da Bruxelles, anzitutto perché, anziché consolidare e affinare il modello regolatorio impostato dall’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), ha tentato e tenta di stravolgerlo, con benefici tutti da dimostrare. E con obiettivi ulteriori niente affatto in linea con i piani Ue, che ora in parte sono stati accantonati, come l’articolo 16 che consentiva al ministero delle Infrastrutture di accollarsi concessioni regionali con bilanci in rosso come quella della Superstrada Pedemontana Veneta.
La posizione della Ue nel Pnrr
Per ricordare cosa chieda esattamente la Ue nel Pnrr sulla riforma delle concessioni autostradali, rimandiamo al testo contenuto nell’allegato alla decisione di esecuzione di Ecofin sul traguardo M1C2-11 fissato per il quarto trimestre 2024.
Si può leggere qui il testo del traguardo M1C2-11 sulla riforma delle concessioni autostradali
La posizione di Salvini
Per Salvini gli obiettivi della riforma delle concessioni autostradali sono – dice una nota ministeriale successiva al Cdm – in coerenza con la milestone Pnrr: “effettiva concorrenzialità tra gli operatori del settore; controllo dei pedaggi per evitare rincari sregolati (il cosiddetto pedaggio-pazzo); promozione degli investimenti; sostenibilità economica delle concessioni autostradali; potenziamento dei controlli da parte dello Stato sulla gestione delle concessioni”. Per le concessioni in essere, continua la nota, “si mantengono le regole esistenti e si prevedono scadenze tassative per la revisione del PEF (piano economico finanziario)”.
Le tre criticità principali del Ddl
Enunciazioni che sulla carta sono in linea con la riforma voluta dalla Ue. Restano, però, nel Ddl approvato con un testo ancora suscettibile di modifiche, pesanti criticità che saranno affrontate nei prossimi giorni, quando a Palazzo Chigi si proverà a mettere a punto un testo definitivo, prima di mandarlo in Parlamento.
Le criticità maggiori del disegno di legge sono tre:
- Il limite massimo di 15 anni posto alla durata della concessione;
- lo stravolgimento del sistema concessorio-tariffario esistente con l’abbandono del paradigma degli investimenti “privati” gestiti tutti dal concessionario e finanziati con la tariffa regolata per passare a un modello misto in cui il concessionario incassa la tariffa per la gestione e la manutenzione della rete e finanzia progettazioni e manutenzioni straordinarie, mentre la gran parte degli investimenti viene finanziata, programmata e gestita dal Mit con un piano decennale autostradale di segno interamente pubblico;
- l’incertezza sulle funzioni e sulle finalità del “fondo nazionale della rete autostradale” (dove confluisce una parte degli introiti da tariffa, il cosiddetto “extragettito”) che non solo dovrebbe finanziare le opere del piano decennale senza passare per i concessionari o usando i concessionari come meri bracci operativi, ma dovrebbe svolgere anche un delicatissimo ruolo di perequazione fra le diverse concessionarie, secondo criteri incerti e indefiniti che rischiano di premiare i gestori meno efficienti.
Saltato l’articolo 16
Era uno dei punti più critici del disegno di legge: “le tratte autostradali per le quali il ministero delle Infrastrutture non riveste la funzione di ente concedente possono essere trasferite al medesimo ministero, previa intesa fra il ministero e gli attuali concedenti, tenuto conto della sostenibilità economico-finanziaria del sistema concessorio”.
Stiamo parlando di superstrade e autostrade fondate su concessioni regionali. Entro sessanta giorni il Mit avrebbe da una parte riclassificato le strade da passare sotto la propria responsabilità, dall’altra avrebbe potuto stipulare una convenzione, sentita l’Agenzia del Demanio, per trasferire le relative tratte allo Stato ai sensi dell’articolo 822 del codice civile. Tra le candidate, Pedemontana veneta e Brebemi, concessioni regionali in forte difficoltà di traffico e di conti.
Tutto cancellato. Ma il ministro Salvini non si dà per vinto. “Tra le grandi arterie interessate dalla riforma – afferma la nota ministeriale dopo il Cdm – non ci saranno le concessioni regionali, come Pedemontana Veneta: l’auspicio del vicepremier e ministro Matteo Salvini è che il tema possa essere esaminato e introdotto in Parlamento”.
Le altre novità del testo approvato
Le numerose modifiche apportate nel testo approvato dal Consiglio dei ministri rispetto al disegno originario di Salvini dice chiaramente come la partita sia ancora in corso su molti aspetti specifici. Vediamo le principali modifiche:
- Le proposte di convenzione per nuove concessioni in house – previste dall’articolo 5 nei soli casi ammessi dal diritto europeo – dovranno conformarsi al modello di tariffazione predisposto dall’Art e non a un nuovo schema di convenzione-tipo redatto dal Mit per questa tipologia.
- La definizione degli ambiti territoriali ottimali che costituiscono i bacini di traffico delle singole concessionarie torna (articolo 2) nella piena potestà dell’ART, secondo le regole vigenti, senza alcuna diminuzione del ruolo dell’Autorità e senza più nessuna riforma delle regole per la definizione degli Ato.
- Le norme sul bando di gara e sui criteri di aggiudicazione delle gare per nuove concessioni (articolo 4) sono state riscritte eliminando la netta distinzione tra i due mestieri di gestore e di realizzatore di lavori, codificati con i differenti criteri di aggiudicazione in gara per la componente lavori e la componente servizi. Anche questa modifica dice che va trovato un punto di caduta rispetto a modifiche introdotte e poi cancellate o ridimensionate.
- Riscritto anche l’articolo 12, ex articolo 13, il cuore del disegno di legge, la nuova regolazione tariffaria. È stato recuperato il ruolo di Art e richiamata la disciplina legislativa su cui quella regolazione è fondata, ripulita di tutta una serie di riferimenti impropri. Il risultato, però, al momento è un “mostro a due teste” che prova a tenere insieme il vecchio modello Art con il nuovo modello salviniano. Anche nell’articolo 1 è saltato il riferimento alla “riforma del modello di regolamentazione delle tariffe”. Ulteriori chiarimenti sono necessari.
- Soppresso all’articolo 1 anche il riferimento al “miglior coordinamento degli interventi di manutenzione tra i singoli concessionari al fine di contenere il più possibile gli impatti sulla mobilità”.
Le criticità: la durata massima di 15 anni
La durata massima troppo corta è considerata dalla commissione Ue, da Palazzo Chigi, dall’Autorità di regolazione dei trasporti, dall’Autorità anticorruzione e dall’Antitrust un ostacolo più che una spinta a una sana concorrenza, visto che si rischia di avere un valore di subentro eccessivamente elevato che scoraggia anziché incoraggiare la partecipazione alla gara (il valore di subentro è l’indennizzo che il concessionario subentrante deve versare al concessionario uscente per gli investimenti realizzati ma non ancora ammortizzati). Salvini ne fa un vanto e per ora nel testo passato dal Cdm il limite è rimasto così. Ma nella riunione che si terrà in settimana al Mit o a Palazzo Chigi saranno in molti a chiedere l’eliminazione del limite assoluto. La stessa direttiva Ue di riferimento, la 2014/23, all’articolo 18, non prevede limiti temporali fissi.
La tariffa
Il modello proposto viene così definito dal Mit: per le concessioni che scadranno a partire dal 2025, è previsto un sistema di regolazione fondato sull’applicazione di un nuovo modello tariffario, che prevede di distinguere la tariffa in tre componenti:
- la componente tariffaria e di gestione (di competenza del concessionario);
- la componente tariffaria di costruzione (di competenza del concessionario);
- la componente tariffaria per oneri integrativi (di competenza dell’ente concedente, il cosiddetto extragettito), finalizzata al recupero dei finanziamenti pubblici concessi per la realizzazione del sistema infrastrutturale a pedaggio.
“I proventi derivanti dal cosiddetto extragettito – dice il Mit – saranno utilizzati per realizzare gli investimenti autostradali, compresa la messa in sicurezza della viabilità locale di adduzione, senza incrementare i pedaggi”.
Questo sistema è stato oggetto di rilievi di Bruxelles, ma più in generale non sembra garantire un passaggio ordinato dall’attuale sistema a un sistema alternativo ancora centrato – sia pure con un ruolo ridimensionato – su concessionari privati finanziati dal mercato di capitali privati.
Tra le criticità maggiori c’è proprio l’incertezza della remunerazione del concessionario che non si remunera più integralmente a valere sui pedaggi riscossi, ma con il meccanismo composito già visto, in cui una parte della remunerazione arriva attraverso un compenso erogato dall’amministrazione pubblica (progettazione e manutenzione straordinaria). Queste dovrebbe rendere più difficile, oneroso e incerto per il concessionario reperire i finanziamenti necessari per l’esecuzione degli investimenti.
Anche sul finanziamento di nuove opere autostradali, il passaggio a un piano pubblico lascia tutt’altro che tranquilli, visto che il piano, oltre che da una quota di tariffa, sarà finanziato con le risorse disponibili. Il rischio che già si manifesta è che la finanza pubblica ricorra ai soliti accorgimenti a difesa dei conti come quello di prevedere risorse di cassa sempre negli anni a venire.
Le concessioni in essere
Pesanti anche le modifiche per le concessioni in essere, allo scadere dei periodi regolatori, soprattutto per il nuovo sistema tariffario cui saranno assoggettati gli investimenti inseriti nell’aggiornamento del PEF e non previsti già dalle convenzioni in essere.
In particolare, in sede di aggiornamento del Pef sarà l’ente concedente a suddividere gli investimenti proposti dal concessionario in tre categorie:
- gli investimenti già previsti dalle convenzioni in essere, che continueranno a essere finanziati quindi dalle tariffe secondo le modalità già previste;
- i nuovi investimenti inseriti nel Pef che saranno finanziati “a valere sul gettito derivante dalle tariffe” (quindi dall’aggiornamento tariffario) e “sugli oneri di subentro” (a carico quindi del concessionario subentrante al momento del rinnovo della concessione).;
- la quota residua di investimenti che non può essere coperta dalla tariffa.
L’ente concedente individua la quota di oneri di investimento quantificati alla lettera c) possa essere finanziata con contributo pubblico, nell’ambito delle risorse disponibili.
In caso di mancato accordo sull’aggiornamento del PEF, il MIT è autorizzato a risolvere il rapporto per motivi di pubblico interesse. In questo caso, al concessionario uscente spetta solo un importo eventuale per la compensazione in relazione ai mancati aggiornamenti del PEF, determinato entro dodici mesi dall’estinzione della concessione (senza altra tutela per il concessionario uscente).
La revisione prezzi assente e il riequilibrio finanziario mancato
Il terzo comma dell’articolo 7 del disegno di legge esclude la possibilità di applicare all’esecuzione dei lavori e alle opere di manutenzione straordinaria i meccanismi di revisione prezzi previsti dall’articolo 60 del codice appalti. Nella nota post-Cdm, il Mit si limita a scrivere che “nei prossimi mesi, dovrà essere valutata la congruità dei maggiori costi per investimenti presentati dai concessionari e a tal fine si sta valutando l’istituzione di un gruppo di lavoro interistituzionale”.
Resta irrisolto, al momento il problema posto con forza dai concessionari del “non rinviabile” riequilibrio finanziario delle concessioni in essere a seguito dei forti incrementi dei costi.