PROGETTO CORALE / 1
La Rigenerazione urbana oggi è l’opportunità: ogni comunità ritrovi il proprio senso di abitare un luogo
Maria Cristina Fregni, partner di Politecnica, inaugura oggi la sua rubrica “PROGETTO CORALE”. I lettori di Diario DIAC conoscono già MCF per l’intervista pubblicata il 7 aprile e, ancora prima, per la citazione nel mio articolo del 31 marzo sull’Atlante Oice come coordinatrice dei tre progetti che, più degli altri, avevo considerato portatori di un nuovo rapporto fra progetto e rigenerazione urbana. Da lì è nata la nostra conoscenza e la volontà reciproca di collaborare in un momento che ha bisogno di porre le basi e far crescere questa nuova rigenerazione urbana. Maria Cristina sarà, per Diario DIAC, uno stimolo e una bussola nel compito che ci siamo dati di “giornale della rigenerazione urbana”. Se ne accorgeranno i lettori (g.sa.)
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In tanti hanno tentato negli scorsi mesi, e stanno tentando ancora oggi, di definire in modo compiuto la Rigenerazione Urbana e di inquadrarla all’interno di schemi, canoni o manuali. Eppure l’esperienza ci ha mostrato con chiarezza che la Rigenerazione Urbana, prima ancora che un progetto, un processo o un metodo, è una grande Opportunità, multisfaccettata e dinamica, e, come tale, tende a sfuggire ai dogmi e alla sistematizzazione.
Nei fatti, la Rigenerazione Urbana è la opportunità, quella delle comunità urbane di riscoprire se stesse e il senso del proprio stare in un luogo, e su di esso costruire il proprio futuro, quella delle imprese per innovarsi, evolversi e trovare risposte efficaci alle sfide di oggi e di domani, quella dei progettisti, nel senso più ampio del termine, per recuperare, attualizzandolo e rinnovandolo, il rapporto tra Abitare e Costruire.
L’uomo è un essere che costruisce perché abita, nel senso profondo di “avere in modo continuativo”, e costruire significa dare forma e testimoniare un’appartenenza sociale, un “sentirsi-a-casa”. Questo rapporto stretto tra abitare e costruire in un tempo recente della nostra storia si è rotto e l’architettura ha perso il proprio ruolo di medium tra le due dimensioni, appiattendosi nell’edilizia funzionale o avviluppandosi ipertroficamente nel culto della forma.

La Rigenerazione Urbana, quella vera, quella dei luoghi che, grazie a processi mirati ma pluridisciplinari, riscoprono le energie conservate negli spazi e negli “abiti” dei cittadini e le riattivano grazie a progetti multiscalari e ben coordinati, per essere tale ha bisogno che si riattivi quel rapporto tra abitare e costruire, ha bisogno che lo spazio supporti le dinamiche sociali e che tra urbs e civitas si inneschi nuovamente un processo di interazione virtuosa.
In sostanza, la Rigenerazione Urbana ha bisogno dell’Architettura e degli architetti.
Se è vero, come ha detto Giedion, che “per quanto un’epoca cerchi di mascherarsi, la sua vera natura trasparirà sempre attraverso la sua architettura”, l’epoca della Rigenerazione Urbana ha bisogno di uomini e donne dell’architettura che, con responsabilità e dedizione, aiutino le comunità a riaccendersi, rinvigorirsi e strutturarsi per le nuove sfide che abitare la Terra implica.
Non da soli, bensì mettendo al servizio della Rigenerazione e di tutte le figure professionali, civiche e politiche che la portano avanti la propria capacità di prefigurazione, l’attitudine immaginifica a dare forma fisica alle dinamiche della società, l’abilità di incapsulare e rilasciare nello spazio i modi di vivere.
Difficile, entusiasmante e a tratti rischioso. Ma con la grande opportunità di condividere il fardello con altri soggetti, scambiandosi sguardi e letture dei luoghi, raccogliendo e rielaborando input e necessità e dunque evolvendo sempre il proprio modo di progettare.
Come si fa? Qualcuno c’è riuscito? Esistono veri progetti di Rigenerazione Urbana, in cui l’architettura ha avuto il ruolo fin qui definito?
E’ plausibile rispondere sì, ammettendo che forse, come già detto nell’intervista rilasciata a questa rivista, il progetto di Rigenerazione Urbana “da manuale” non esiste (e per coerenza con la stessa è probabilmente giusto così), ma in tanti progetti in giro per il mondo si possono cogliere e valorizzare aspetti estremamente interessanti, che ci insegnano qualcosa sulla Rigenerazione. Vanno individuati e studiati, bisogna parlare con chi li ha “vissuti” e, quando possibile, valutarne gli effetti nel tempo.
Se dunque questo è un Diario, proverà a tenerne traccia, identificandoli, presentandoli criticamente e portando a galla la lezione che ognuno di essi ci trasmette. Progetti grandi e piccoli, trasformazioni di quadranti urbani così come riappropriazioni di modesti spazi di quartiere, ovunque una scintilla di Rigenerazione sia evidente e raccontabile.
Come il caso della Praia dos Cinco Reis, nota anche come spiaggia fluviale di Cinco Reis, ovvero una spiaggia lacustre nella regione dell’Alentejo, in Portogallo, situata vicino a Beja. Si tratta di una spiaggia fluviale con un’area sabbiosa sulla riva della diga di Alqueva, nota per la bandiera blu, l’acqua limpida e calda e la sabbia fine.
Una spiaggia e un lago che, fino al 2001, non esistevano. Ma che nascono da una visione, da un tentativo di rigenerare un territorio in difficoltà sociale ed economica, partendo da un’opera infrastrutturale potenzialmente molto impattante e trasformandola in una occasione di ripensamento delle comunità locali in chiave di sostenibilità, innovazione e vivibilità.
Cominceremo da qui.