Il Passaporto Digitale del Prodotto: cambio di paradigma e riconfigurazione della filiera?
Il tema del Passaporto Digitale del Prodotto, o Digital Product Passport, noto anche come DPP, inizia a essere trattato anche nella pubblicistica di settore, oltre che nella letteratura specialistica. Esso è restituito, però, specialmente nella veste più convenzionale di dispositivo di condivisione selettiva lungo la catena di fornitura di strutture normalizzate di dati.
Questa finalità è stata resa esplicita orizzontalmente dal regolamento Ue 2024/1781 e verticalmente dal regolamento Ue 2024/3110 ed è prevista dalle Nazioni Unite (UNECE) in termini complementari a quelli comunitari, anche attraverso la redazione di una apposita norma ISO, a cui contribuiscono significativamente e ovviamente anche delegati di paesi extraeuropei, come, tra gli altri, la Repubblica Popolare Cinese, a testimonianza della portata globale del tema.
Naturalmente, se le norme armonizzate del CEN e i documenti di valutazione tecnica dell’EOTA assicurassero tale condizione normalizzata, si sarebbe in presenza di un passaggio intrinsecamente rilevante.
Nella realtà, tuttavia, il cambio di paradigma dipenderà da altri fattori: il Passaporto, infatti, da comprendere quale sistema, non come atto né come repository banale, è concepito come elemento, appunto, di un ecosistema digitale parzialmente decentralizzato, abilitato da fornitori di servizi legati a esso, ma, soprattutto, riguardando l’intero ciclo di vita del prodotto, a livello di tipo, di lotto e di singolo oggetto, rende il contenitore informativo dinamico e, addirittura, evolvibile in una sorta di gemello digitale interconnesso bidirezionalmente, eventualmente supportato da agenti di Intelligenza Artificiale.
Del resto, intrinsecamente, l’obiettivo primo dichiarato per il Passaporto riguarda la integrazione degli attori nelle catene di fornitura che, tuttavia, dischiude la possibilità o la minaccia di rimettere in discussione il posizionamento dei soggetti e la creazione di valore. Tutto ciò, come accadrà per le batterie ricaricabili, per i giocattoli, per l’abbigliamento, per l’arredo e, in particolare modo, anche per i macchinari per l’edilizia, si deve all’intento originale che muove la nozione di Passaporto, inerente all’economia circolare e sostenibile, che oltrepassa la fase iniziale e la concezione tradizionale di un marchio.
Il Passaporto, in effetti, lungi dal limitarsi a riportare, congelandoli, dati originari e convenzionali, rifletterà l’evoluzione storica del prodotto di riferimento sia di là della cessazione della propria vita utile di servizio sia in caso di ri-fabbricazione.
Non vi è, peraltro, chi non veda impliciti legami con il Digital Building Logbook e con lo Smart Readiness Indicator for Buildings. Occorre, pertanto, che tutti i soggetti coinvolti nelle catene di fornitura, inclusi i committenti, come consumatori finali, e persino le autorità doganali, intuiscano come il sistema che attinge al Passaporto Digitale, oltre a garantire transazioni e scambi più trasparenti e maggiormente efficienti, crei un inedito ecosistema del valore, in cui, da un lato, i dati e le informazioni contenute siano utilizzabili lungo le fasi temporali della progettazione, della realizzazione, della gestione, della ri-fabbricazione e della demolizione.
Per un altro canto, tuttavia, attorno ai fornitori di servizi si genereranno, come anticipato, nuovi modelli organizzativi e inediti business model: governati dai fornitori dei servizi legati al Passaporto?
Non bisogna dimenticare che il Passaporto Digitale, per i prodotti della costruzione, sarà in vigore dal 2028, dopo essere stato regolamentato tramite i lavori del CEN/CENELEC JCT 24, del CEN TC 442, dell’EOTA e di un apposito Atto Delegato concernente l’art. 75 del Regolamento (CPR).
Ciò significa che, per via di dizionari di dati, di modelli di dati, di ontologie, si genererà una interoperabilità semantica, oltre che una notarizzazione, che comporti la condivisione di un linguaggio tra culture e identità eterogenee, oltre che l’immodificabilità degli esiti delle transazioni e degli scambi.
Il sistema sotteso al Passaporto, darà vita anche a registri comunitari di produttori, di prodotti, di siti produttivi. Tra l’altro, il Passaporto potrebbe veicolare aspetti attinenti ai temi sociali e societari, con diretta ripercussione sui cosiddetti criteri ESG e sulla finanza sostenibile.
È urgente, dunque, che gli enti di normazione, i ministeri competenti e le rappresentanze professionali e imprenditoriali istituiscano un tavolo di coordinamento non solo sugli adempimenti formali, di per sé non trascurabili, ma pure sui business model connessi, per stabilire quali siano gli interessi nazionali e come essi possano essere rappresentati sia sullo scenario internazionale sia su quello unionista.
Angelo Luigi Camillo Ciribini è professore ordinario di Produzione edilizia all’Università degli Studi di Brescia