Oie Confindustria-Luiss

Sale a 173 miliardi il contributo delle imprese ESTERE all’economia

Le oltre 18.400 imprese a controllo estero che operano in Italia hanno un sempre maggior peso nell’economia nazionale in termini di valore aggiunto, di occupazione con 1,7 milioni di addetti, di contributo a innovazione, ricerca e sviluppo. A rilevarlo è il Rapporto Oie, Osservatorio Imprese Estere, presentato da Confindustria e dalla Luiss. Emerge però una forte polarizzazione nelle presenza geografica: Lombardia, Lazio, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana che assorbono complessivamente l’82,2% del valore aggiunto. La scommessa per lo sviluppo al Sud può essere la nuova Zes.

07 Mag 2025 di Maria Cristina Carlini

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Giocano un ruolo sempre più rilevante nello sviluppo economico, si confermano protagoniste di innovazione export e occupazione qualificata, investono in ricerca e sviluppo. Sono le imprese a controllo estero che operano in Italia, oltre 18.400, che tra il 2018 e il 2022 si sono consolidate nel sistema produttivo, registrando una significativa e progressiva della loro presenza. Lo attestano alcuni importanti dati: il valore aggiunto generato pari a circa 173 miliardi, dal 15,5% del 2018 al 17,4% nel 2022; aumenta la quota di occupati pari al 1,7 milioni di addetti, con una quota che sale, nell’arco temporale considerato, dall’8,3% al 9,7%; cresce anche l’export che passa dal 29,4% del 2018 al 35,1% nel 2022, pari a circa 200 miliardi di euro; balza la spesa in  Ricerca e Sviluppo dal 23,6% del 2018 al 37,6% nel 2022 raggiungendo i 6,1 miliardi. In particolare, rispetto al 2021, il valore aggiunto prodotto dalle imprese estere è cresciuto del 10,7% nell’industria e del 15,3% nei servizi, in un contesto di ulteriore aumento della dimensione media delle imprese, passata da 95,8 a 99,4 addetti per impresa. Nel 2022, rispetto all’anno precedente, l’incidenza del fatturato delle controllate estere è stato del 21% rispetto al totale prodotto dalle imprese residenti in Italia. E’ il quadro che emerge dal settimo Rapporto Oie, l’Osservatorio sulle imprese estere, presentato ieri da Confindustria e Luiss.. È quanto emerge dal VII Rapporto dell’Osservatorio Imprese Estere (OIE) di Confindustria e Luiss, con la collaborazione scientifica di Istat, Liuc, Ice e Scuola Imt Alti Studi Lucca, dal titolo “Competitività globale, innovazione locale. il ruolo delle imprese estere per l’Italia nel nuovo scenario internazionale”, presentato ieri a Roma in occasione dell’Annual Meeting dell’Advisory Board Investitori Esteri (ABIE) di Confindustria, “Italia e imprese estere: innovare per competere nel nuovo scenario globale”.

Tra i primi cinque settori di specializzazione delle imprese estere in Italia figurano tre comparti manifatturieri fortemente caratterizzati e strategici: industria tessile, pelle e abbigliamento; fabbricazione di macchine e attrezzature; industria farmaceutica; e due rilevanti comparti dei servizi: servizi alle imprese; esercizi ricettivi e di ristorazione. Nel Rapporto viene evidenziato che oltre la metà degli aggregati economici delle imprese a controllo estero in Italia è associata a controllanti residenti nell’Unione Europea. Più della metà del valore aggiunto generato dalle imprese estere in Italia proviene da aziende controllate da Stati Uniti, Francia e Germania. In particolare, in termini di addetti, gli USA sono il primo paese investitore in Italia con il 21,1% degli addetti a controllo estero. In termini di fatturato, la Francia è il paese estero che ha il peso maggiore come investitore (19,4%). Per R&S sono i Paesi Bassi (26,6%) e gli Stati Uniti (22,1%) a risultare i maggiori investitori.

Guardando al contesto europeo,  la presenza delle imprese a controllo estero ha raggiunto dimensioni considerevoli. Nel 2022, la loro incidenza sul valore aggiunto è pari al 23,8%, segnale di dimensioni medie d’impresa e livelli di produttività del lavoro notevolmente superiori a quelli del resto del sistema produttivo europeo; sull’occupazione è pari al 15,5% del totale, corrispondente ad oltre 24 milioni di addetti, di cui 15 milioni nei servizi e 9 milioni nell’industria. Le analisi presentate nel Rapporto confermano, da un lato, una rilevante presenza delle imprese estere nell’economia europea, dall’altro notevoli eterogeneità tra paesi per quanto riguarda: l’impatto delle imprese estere sulle rispettive economie; il peso dei controllanti residenti all’esterno dell’Ue; il modello di specializzazione settoriale delle imprese controllate dall’estero nei diversi paesi In Italia, la situazione appare, per quanto riguarda l’impatto delle imprese estere sull’economia nazionale, allineata a quanto emerge per i principali paesi europei.

Il Rapporto OIE presenta poi un’analisi specifica sulle imprese esportatrici persistenti nel triennio 2022-2024, che generano il 98% dell’export nazionale di merci. A partire da una base dati Istat costruita ad hoc, sono state identificate tra queste imprese esportatrici persistenti (oltre 84.000), quelle a controllo estero (circa 4.500). Nel documento è emerso che il contributo delle imprese estere all’export merci è lievemente aumentato, rispetto a tutte le imprese esportatrici persistenti (italiane ed estere) residenti in Italia: le stime passano dal 33,6% nel 2022 al 33,8% nel 2024, pari a 190 mld di euro. Segnali di continuità nell’export nel periodo 2022/2024. Le stime dell’OIE confermano che le imprese estere in Italia trainano circa un terzo dell’export persistente nel nostro Paese. Complessivamente, la quota di export nazionale verso gli Stati Uniti si attesta al 10,3%. Nel triennio 2022-2024, il 43,6% delle imprese estere esportatrici mostra flussi di export verso gli USA in quota superiore al valore medio (29,7%), ma inferiore a quella registrata per le multinazionali italiane (51,4%). Il valore dell’export verso gli USA realizzato dalle imprese estere nel 2024 ammonta a 19,3 mld di euro, pari al 34,2% dei 56,4 mld complessivi. Nel 2024, le imprese estere esportatrici verso gli USA controllate da statunitensi rappresentano il 36,7% dell’export verso gli Stati Uniti del complesso delle imprese a controllo estero. L’analisi dei segmenti di imprese coi più elevati gradi di dipendenza dall’export verso gli USA consente di individuare le imprese con rischi potenziali elevati a seguito delle politiche commerciali dell’amministrazione Trump. Si tratta di segmenti limitati in termini di numerosità ma rilevanti all’interno del complesso delle vendite di merci dall’Italia agli Stati Uniti realizzate dalle imprese estere, soprattutto in alcuni settori come l’industria delle bevande, la fabbricazione degli altri mezzi di trasporto, l’industria farmaceutica, la fabbricazione di autoveicoli.

C’è il capitolo Ricerca e Sviluppo. Su questo versante, le imprese estere in Italia si distinguono per il loro contributo alla transizione digitale e ai processi di innovazione. Secondo i più recenti dati Istat, nel triennio 2020-2022, il 71,2% delle imprese a controllo estero ha introdotto innovazioni, rispetto a una media nazionale di poco inferiore al 60%. Si riscontra, inoltre, una differenza qualitativa rilevante: le imprese estere adottano più frequentemente strategie complesse, investendo maggiormente in attività ad alto contenuto creativo come la Ricerca e Sviluppo. Prediligono l’innovazione di prodotto originale – nuova per il mercato di riferimento – rispetto al semplice adeguamento a innovazioni già esistenti, e presentano una più spiccata capacità di sviluppare innovazione internamente (innovatori in-house). In particolare, le imprese multinazionali estere si distinguono per il modello di “innovatori di prodotto interni con novità di mercato”, il profilo di innovazione più sofisticato. Il loro contributo si estende ben oltre la dimensione economica: in molti casi, queste imprese fungono da catalizzatori di trasformazione industriale, promuovendo la diffusione di tecnologie avanzate, la creazione di occupazione qualificata e l’integrazione con il tessuto delle PMI. Quasi l’80% delle imprese estere ha svolto attività innovative nel triennio considerato, con una spesa media per innovazione pari a circa 7.300 euro per addetto (oltre 11.000 euro nella sola manifattura). Più di un terzo ha attivato accordi di collaborazione con università, centri di ricerca e altri partner strategici. Inoltre, anche sul fronte della digitalizzazione, oltre il 77% di esse si colloca in una fascia alta o molto alta del Digital Intensity Index, contro il 27,2% della media nazionale. Il 23,7% utilizza già tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, con una propensione all’investimento in IA che raggiunge il 41,3% nel biennio 2025-2026.

I fondi di Private Equity internazionali stanno giocando un ruolo crescente nel rafforzamento del sistema produttivo italiano. Attraverso investimenti significativi, capacità di governance e strategie di crescita, questi operatori stanno contribuendo alla modernizzazione del tessuto industriale italiano, favorendo la trasformazione di imprese italiane in piattaforme competitive globali, con effetti positivi anche lungo le filiere di riferimento. I fondi esteri, infatti, non si limitano ad apportare capitali, ma agiscono come partner strategici, accelerando processi di internazionalizzazione, innovazione tecnologica, sostenibilità e consolidamento settoriale.

Per quanto riguarda invece la distribuzione geografica, il Rapporto fotografa una forte polarizzazione con Lombardia, Lazio, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana che assorbono complessivamente l’82,2% del valore aggiunto generato da queste realtà. La sola Lombardia pesa per il 37,7%, evidenziando una forte correlazione tra la competitività regionale e la capacità di attrarre e trattenere investimenti esteri. Questa analisi è stata effettuata partendo da indicatori statistici territoriali, diffusi correntemente dalla Commissione europea. Le regioni del Mezzogiorno mostrano, invece, una scarsa attrattività, ma l’istituzione della Zona Economica Speciale (ZES) Unica per il Mezzogiorno rappresenta una potenziale svolta, creando condizioni fiscali e amministrative favorevoli all’insediamento produttivo.

E’ evidente da questo quadro quanto questa categoria di imprese rappresenti un fattore determinante per la crescita del Paese, non solo per il contributo quantitativo in termini di occupazione e valore aggiunto, ma anche per l’impatto qualitativo su produttività, tecnologie, internazionalizzazione e governance. Il loro contributo può rivelarsi decisivo soprattutto attraverso il legame con le PMI, favorendo la diffusione di tecnologie avanzate e la costruzione di ecosistemi industriali in grado di generare innovazione, attrarre giovani e consolidare la posizione italiana in filiere strategiche. Ma il loro ruolo si estende anche al processo di internazionalizzazione del Paese, sia attraverso la spinta all’export, sia attraverso l’integrazione dell’Italia nelle catene globali del valore.  Di qui alcune proposte di intervento che vanno dalle semplificazione burocratica all’investimento mirato nel capitale umano per rafforzare le competenze disponibili, in particolare quelle legate all’innovazione, alla transizione digitale e all’intelligenza artificiale; dal potenziamento delle attività di retention, sviluppando servizi di assistenza e customer care specificamente orientati al supporto degli investitori esteri da parte dei territori e delle istituzioni locali, alla valorizzazione strategica della ZES Unica.

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