L'ARCHITETTURA VISTA DA LPP / 22

Il MAXXI merita di essere rilanciato con un’offerta culturale ed espositiva adeguata al capolavoro che è

Il 28 maggio 2010 fu inaugurato il Maxxi. Ricordo perfettamente l’eccitazione di quella giornata. L’edificio si era fatto aspettare 12 anni  (il concorso risaliva al 1998) e la costruzione era andata avanti tra infinite polemiche e crescenti dubbi. Con punte di apocalittico scetticismo di chi aveva pubblicamente giurato che un edificio del genere non si sarebbe potuto neanche tenere in piedi. Anche i costi erano lievitati, tanto che si parlava di un esborso, per allora astronomico, di 10.000 euro al metro quadrato, valore che poi venne pubblicamente ridimensionato, computando tra i metri quadrati anche gli spazi accessori.

Appena varcato l’ingresso, il 28 maggio del 2010 si capì immediatamente che si trattava di un capolavoro, di un edificio di una modernità inconsueta nel molle clima romano. Che finalmente il Ministero aveva fatto la cosa giusta, aveva cercato di mettere Roma in competizione con le altre grandi capitali europee.

All’inaugurazione c’era Zaha Hadid, con il suo fare energico e regale, vestita con abiti e gioielli da lei stessa disegnati. Un personaggio con una personalità talmente esuberante da occupare tutto lo spazio. E toglierlo così al curiale ed emaciato Pio Baldi, che era stato il direttore della Darc, il dipartimento per l’arte e l’architettura contemporanea che aveva sostenuto il museo, di cui adesso diventava direttore. “Questa struttura- disse la Hadid con la sua voce stentorea – è stato realizzato solo a metà. Occorrerà presto completarlo”. Frase che credo ripetette un paio di volte, accorgendosi che sull’argomento Pio Baldi e Margherita Guccione, la dirigente posta a capo del settore architettura, nicchiavano, facendo capire che non ci sarebbero stati altri cantieri.

07 Set 2025 di Luigi Prestinenza Puglisi

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Il MAXXI merita di essere rilanciato con un’offerta culturale ed espositiva adeguata al capolavoro che è

Luigi Prestinenza Puglisi

E difatti non ci sono stati. Con la conseguenza che il Maxxi, previsto come una complessa struttura a labirinto, che si ispirava al dedalo di strade delle città mediterranee, è diventato un edificio convenzionale con davanti una grande piazza. Una struttura abbastanza grande da essere un landmark urbano ma non tanto da diventare un punto di riferimento a livello internazionale, insomma, un museo non ancora in grado di competere alla pari con le grandi istituzioni internazionali.

Il problema non è solo di spazi. Nei quindici anni di vita della struttura non c’è stata una sola mostra di architettura memorabile. Una per la quale sia valsa la pena andare a Roma, come accade invece per le mostre a Parigi, a Londra o nelle altre capitali europee.

Che il Maxxi fosse mal dimensionato, se ne accorge, sia pure in ritardo, anche il Ministero che nel 2022, a dodici anni dall’inaugurazione della struttura di Zaha Hadid, lancia il concorso per il Grande Maxxi. Il concorso sancisce il definitivo tradimento dell’idea dell’architetto anglo-iracheno. La piazza antistante l’ingresso dell’edificio – non prevista ma che sembra ben funzionare – viene lasciata al suo posto e si pensa di costruire nuovi spazi in aree residuali del lotto. Che dire? L’idea è realista e pensare di completare il progetto originario è azzardato, anche perché la Hadid è morta il 31 marzo del 2016 e il suo partner Patrik Schumacher si sta muovendo in direzioni di sperimentazione parametrica non saprei quanto condivisibili dal Ministero.

Pazienza, molte grandi opere sono il frutto di sovrapposizioni di mani diverse. E un concorso è pur sempre l’occasione per sperimentare nuove idee. Il progetto scelto, proposto da un gruppo capitanato dall’italo-francese LAN, però, non sembra particolarmente innovativo e, se vogliamo dirla tutta, è un po’ snob nel suo minimalismo aristocratico. E, soprattutto, la commissione del concorso internazionale ignora un magnifico progetto realizzato dal terzetto Gianluca Peluffo, Beniamino Servino, Stefano Pujatti. Una invenzione che ha riferimenti alla metafisica di Federico Fellini, si ispira alle strutture mobili dei circhi, è gioioso e giocoso e molto colorato. E che, infine, evita giustamente il confronto con il museo della Hadid e, nello stesso tempo, lo completa.

La scelta del progetto di LAN e altri sembra, vista in questa luce, cioè la possibilità di avere un capolavoro a triplice firma Peluffo, Pujatti, Servino, un’occasione persa, una ennesima testimonianza dell’incapacità dell’istituzione di rischiare per volare alto.

Questi ragionamenti mi venivano in mente in una domenica assolata di agosto quando mi sono recato al Maxxi per visitare due mostre: una dedicata agli stadi e l’altra alle nuove forme di rappresentazione in architettura. Due flop, anche se per motivi opposti.

La volontà di attrarre pubblico con una iniziativa che fa leva sulla passione sportiva è lodevole. Ma ciò che ho visto al Maxxi credo abbia molto poco appeal per i tifosi. Tanti bellissimi plastici di stadi messi uno dopo l’altro, qualche ragionamento sulla loro funzione e le loro qualità, ma nulla di realmente interattivo perché questa raccolta di esempi possa essere popolare. E troppi pochi dati e informazioni perché la stessa possa essere apprezzata dagli addetti ai lavori. E, difatti, a vederla c’erano non più di venti persone. Certo, era agosto ma credo che il problema non sia solo quello.

E veniamo alla mostra sulle nuove forme di rappresentazione. Sicuramente per specialisti. Ma senza un costrutto. Molte le opere, anche particolarmente interessanti, ma accostate l’una all’altra senza apparente logica. Come se mancasse una curatela. Pubblico ancora minore di quello degli stadi.

A questo punto mi sono seduto su una delle poche sedie messe a disposizione dei visitatori (perché non si fanno sedere i visitatori? per farli stancare e cosí toglierseli dai piedi?) e mi sono detto che avrei dovuto scrivere un pezzo di protesta. Così non va, così distruggiamo il Maxxi.

Occorre avere una strategia, ripensare il museo. Servono le mostre sugli stadi? Sulle tecniche di rappresentazione? Forse sì. Ma serve soprattutto avere una idea forte sulla quale agganciare tutta la programmazione (parlo del settore architettura che conosco, ma credo lo stesso discorso si possa fare per il settore arte). L’idea è la valorizzazione dell’architettura italiana contemporanea. In Italia, infatti, non abbiamo istituzioni di livello internazionale che si muovano in questa specifica direzione, Biennale di Venezia e Triennale di Milano incluse.  E anche queste parlano poco di architettura italiana. Per non criticare gli amici? Per invidia di chi è più bravo? Per paura di suscitare polemiche? Per non giocarsi il posto all’Università cercando di camminare sulle sabbie mobili della critica? Boh.

Ovviamente non si deve parlare di architettura italiana e basta. Se vogliamo valorizzarla dobbiamo, infatti, metterla in relazione con quanto di interessante avviene nel mondo. Servono quindi iniziative che siano curiose, che sappiano frugare nelle altre realtà nazionali.

Tempo fa un amico architetto, titolare di uno degli studi più rilevanti di progettazione operanti nel sud Italia, mi ha chiesto se potevo aiutarlo per organizzare a Roma la presentazione di un libro che raccoglieva venti anni dei loro progetti. Ho pensato subito al Maxxi, per poi optare per altrove quando mi hanno presentato il conto di una sala per un centinaio di posti che per poche ore sarebbe costata quanto stampare un paio di centinaia di copie del libro, cioè una tiratura media, oppure invitare i partecipanti a un pranzo di diverse portate, torta e champagne (di media marca) compresi. Ma come, mi dicevo, una attività come promuovere libri di architettura e studi di progettazione italiani non dovrebbe essere gratuita, anzi supportata e sponsorizzata?

Tutto questo per dire che le mostre non vanno da sole. Un museo che abbia a cuore l’architettura italiana, accanto a buone mostre, deve organizzare eventi, incontri, tavole rotonde, presentazioni, happening, congressi, feste. Deve essere un posto vivo e attivo in ogni ora del giorno e della notte. Dove si va sicuri di trovare qualcosa di coinvolgente e interessante. Non possiamo permetterci che una istituzione che è costata tanto e ha voluto tanto tempo alla fine si muova come un’anatra zoppa.

 

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