LAVORO

Mattarella: “Salari troppo bassi, depauperati da contratti pirata”

L’ultimo rapporto dell’Ilo parla di una dinamica negativa nel lungo periodo: pur avendo registrato un lieve recupero in questi ultimi due anni In Italia, le retribuzioni sono comunque inferiori di 8,7 punti rispetto a quelle del 2008, l’anno della grande crisi finanziaria. Confcommercio stima 200 contratti pirata nel settore terziario e turismo. Anche l’Ance denuncia l’attacco anche al settore dell’edilizia.

20 Ott 2025 di Maria Cristina Carlini

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Salari bassi, troppo bassi, e anche depauperati da contratti pirata. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è tornato, nei giorni scorsi, a porre con forza la questione salariale. Non è certo la prima volta: basti ricordare il richiamo alla vigilia del Primo Maggio, quando parlò di questione salariale come sfida per l’Italia, facendo  riferimento alla Costituzione, in particolare all’articolo 36, che prescrive «una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Venerdì scorso al Quirinale per la consegna , le parole del Capo dello Stato sono state altrettanto forti ponendo l’accento sulla relazione tra il tema del lavoro povero e la tenuta della coesione sociale. “Tante famiglie sono sotto la soglia di povertà nonostante il lavoro di almeno uno dei componenti, mentre invece super manager godono di remunerazioni centinaia, o persino migliaia di volte superiori a quelle di dipendenti delle imprese”, ha detto Mattarella. E “sono le entrate fiscali dai dipendenti pubblici e privati, dai pensionati, a fornire allo Stato, attraverso le imposte, il maggior volume di risorse”, ha ammonito.

La parole di Mattarella, venerdì scorso, dal Colle sono subito rimbalzate a Palazzo Chigi dove era in corso la conferenza stampa dopo il varo della manovra da parte del Consiglio dei ministri. “Sappiamo che in Italia c’è un problema legato ai salari, che non si risolve da un giorno all’altro”, ha ammesso Meloni. Ma, ha rimarcato, “nei dieci anni precedenti al nostro governo, il potere d’acquisto dei salari italiani diminuiva di oltre il 2% mentre nel resto d’Europa cresceva del 2,5%. La buona notizia è che adesso questa tendenza si è invertita. I salari hanno ripreso a crescere più dell’inflazione, quindi la strategia che il governo ha messo in campo sta dando dei frutti”.

A parlare sono i numeri contenuti nell’ultima rapporto dell’Ilo, l’organizzazione internazionale del lavoro, nell’ultimo Rapporto mondiale sui salari del 2024. In Italia, i salari reali sono aumentati in Italia di 2,3 punti, recuperando in parte quanto perso negli anni precedenti a causa della fiammata inflazionistica. Ma le retribuzioni sono comunque inferiori di 8,7 punti rispetto a quelle del 2008, l’anno della grande crisi finanziaria. Sempre secondo l’Ilo “l’Italia si distingue per una dinamica salariale negativa nel lungo periodo” e segna il risultato peggiore tra i Paesi del G20. “L’analisi delle tendenze salariali in un arco temporale di 17 anni – spiega l’Ilo nel Rapporto – evidenzia come l’Italia abbia subito le perdite maggiori in termini assoluti di potere d’acquisto dei salari a partire dal 2008. Tra i Paesi a economia avanzata del G20, le perdite di salario reale sono state dell’8,7% i Italia, del 6,3% in Giappone, del 4,5% in Spagna e del 2,5% nel Regno Unito. In Italia la perdita è stata particolarmente significativa a seguito della crisi finanziaria mondiale (tra il 2009 e il 2012). L’Ilo sottolinea poi come in Italia i salari reali siano cresciuti nel 2024 del 2,3%, segnando un’inversione di tendenza rispetto al calo del 3,3% registrato nel 2022 e del 3,2% segnato nel 2023. A essere penalizzati sono soprattutto i dipendenti con i redditi più bassi, evidenzia ancora l’Ilo, perché i prezzi sono aumentati di più per i beni e i servizi di prima necessità rispetto all’indice generale. Quindi le famiglie che sono costrette a spendere la parte principale dello stipendio per l’alloggio, l’energia e i beni alimentari hanno dovuto fronteggiare un’inflazione più alta e subire un calo del potere d’acquisto più consistente.

Come ha rilevato Mattarella, “alla robusta crescita dell’economia che ha fatto seguito al Covid, non è corrisposta la difesa e l’incremento dei salari reali, mentre – segnala Mattarella citando anche dati della Banca d’Italia – risultati positivi sono stati conseguiti dagli azionisti e robusti premi hanno riguardato taluni fra i dirigenti”.  Troppe le differenze, pericolosamente profonde le sperequazioni salariali: la “questione non può essere elusa perché riguarda il futuro dei nostri giovani, troppi dei quali sono spinti all’emigrazione”.

Ma il Presidente della Repubblica ha messo anche il dito nella piaga dei cosiddetti contratti pirata, quella forma di dumping contrattuale che spinge al ribasso non solo i  livelli retributivi ma anche i diritti e tutele dei lavoratori, alimentando la concorrenza a sleale tra le imprese.  Mattarella ha fatto riferimento a un recentissimo studio di Confcommercio per i settori terziario e turismo. Si stima che ci siano oltre 200 contratti collettivi nazionali qualificabili come “pirata” o “al ribasso”, firmati da sigle minori, poco rappresentative. Questi contratti riguardano circa 160.000 lavoratori e oltre 21.000 aziende. Le perdite salariali medie annue per lavoratore con contratto pirata sono stimate tra 8.000 e oltre 12.000 euro lorde rispetto a un contratto standard di riferimento.Il minor monte retributivo complessivo generato dal fenomeno è stimato in circa 1,3 miliardi di euro e il minore gettito per lo Stato (tasse + contributi) viene stimato in circa 553 milioni di euro. La media nazionale del fenomeno nei settori terziario/turismo è stimata intorno al 3,51% dei lavoratori di quei settori. Ci sono casi estremi estremi come nella provincia di Vibo Valentia dove  l’incidenza raggiunge circa il 26,46%.

“Dall’osservatorio privilegiato del CNEL – ha aggiunto – posso non solo confermare che, nell’Archivio nazionale dei contratti, sono depositati più di 1000 contratti collettivi di lavoro, ma che dietro a questi testi contrattuali ruotano, in modo spesso parassitario, oltre 500 sigle datoriali e sindacali che firmano contratti non all’esito di una vera trattativa sindacale, ma al solo fine di alimentare una sorta di ‘mercato della rappresentanza’, a danno dei lavoratori e delle stesse imprese, ha commentato il presidente del Cnel Renato Brunetta. “Il CNEL si è adoperato sin dall’avvio di questa Consiliatura per contrastare il fenomeno dei contratti pirata, attraverso una nuova organizzazione dell’Archivio, già operativa da un mese, che consente ora di segnalare agli operatori, alle istituzioni e agli organi ispettivi e di vigilanza i testi contrattuali sottoscritti da attori genuini ed effettivamente radicati nel nostro sistema di relazioni industriali da quelli parassitari. Con il prossimo anno saremo anche in grado di segnalare nel dettaglio, per i vari profili professionali, i trattamenti retributivi e normativi standard che sono la base di una corretta relazione di lavoro e di un modo trasparente e leale di fare impresa”, ha sottolineato Brunetta.

Alla denuncia di Mattarella sui contratti pirata si è unita quella dell’Ance. Come ha detto (ancora una volta)  la presidente Federica Brancaccio, sotto attacco è anche il settore edilizia. “Come Ance insieme a tutte le parti sociali più rappresentative della grande filiera dell’edilizia denunciamo da tempo il dilagare del fenomeno e il dumping contrattuale. Di grande rilievo, quindi, il monito del Presidente Mattarella e bene ha fatto Confcommercio ad analizzarlo nel proprio settore, che come il nostro è sotto attacco da parte di chi in nome di facili guadagni e scorciatoie normative mette a rischio sicurezza e qualità degli interventi. I contratti pirata minano i diritti dei lavoratori e creano concorrenza sleale come giustamente ha sottolineato anche il CNEL che sta facendo un grande lavoro di presidio e di tutela in tal senso. Bene quindi tenere la guardia alzata fare sistema contro chi promette tutele a buon mercato senza averne i titoli né la professionalità per mantenerle”.

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