TRANSIZIONE GREEN / FONDAZIONE MAIRE
Transizione verde, più migranti. In Italia gap di oltre 800mila lavoratori
IN SINTESI
I flussi migratori, la valorizzazione delle competenze e la transizione energetica sono tre facce della stessa medaglia. Anzi, i flussi migratori pur rappresentando una delle sfide più delicate, allo stesso tempo non sono privi di nuove opportunità, soprattutto nei settori della transizione energetica e dell’economia circolare dove l’inclusione dei migranti non è più “un effetto secondario”, ma un vero e proprio elemento strategico per il raggiungimento degli obiettivi climatici e per la crescita dei territori e delle nuove filiere produttive. È quanto emerso dal progetto di ricerca “Traiettorie – Flussi migratori, competenze e transizione energetica”, promosso da Fondazione Maire Ets e realizzato da cinque ricercatori: Cecilia Fortunato, Antonio Umberto Mosetti, Luigi Campaniello, Carla Ventre, Angelique Witjes, coordinati dal professor Andrea Billi.
I flussi migratori “se ben governati, possono costituire anche un’occasione per rafforzare i nostri sistemi produttivi e sostenere le nostre società”, ha detto il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, intervenendo alla presentazione a Roma.
Per perseguire questo obiettivo, ha spiegato il ministro “abbiamo bisogno di un approccio strutturato, che tenga insieme sicurezza, esigenze produttive, sviluppo, tutela dei diritti e rispetto delle regole”. E proprio in quest’ottica il ministero dell’Interno, sta “coordinando una serie di progetti per la formazione in loco di cittadini stranieri da immettere nel tessuto produttivo nazionale. In particolare, stiamo già lavorando con Ance in Tunisia e con la Cna in Egitto, ma stiamo programmando un’analoga iniziativa anche con la Fipe (Federazione italiana dei pubblici esercizi) per l’ingresso di lavoratori formati nelle attività di ristorazione”, ha concluso il ministro.
Il progetto di ricerca
La ricerca, articolata in otto studi realizzati da ricercatori e associazioni selezionati attraverso un bando dalla Fondazione Maire-Ets., analizza il contributo dei migranti alla transizione verde.
Un dato su tutti: nel 2023 gli stranieri costituivano oltre il 20% della forza lavoro impiegata nei green jobs in Italia. Tuttavia, permane una netta segmentazione: mentre i lavoratori italiani occupano ruoli più specializzati, i migranti – soprattutto extra-Ue – sono spesso impiegati in mansioni meno qualificate. Questo divario è dovuto principalmente alla difficoltà nel riconoscimento delle qualifiche ottenute all’estero, a barriere linguistiche e culturali, e alla scarsità di percorsi formativi dedicati.
Mentre secondo alcune previsioni l’obiettivo della neutralità climatica nel 2050 in Europa produrrebbe 2,5 milioni di posti di lavoro ed entro il 2030 a livello mondiale l’adattamento climatico e la mitigazione del cambiamento climatico insieme potrebbero produrre 8 milioni di nuovi posti di lavoro, in Italia si stima attualmente un gap di oltre 800mila lavoratori per i green jobs.
“Le imprese oggi faticano a trovare alcune figure professionali. Il settore della transizione energetica ha e avrà sempre più bisogno di persone formate”, ha spiegato Fabrizio Di Amato, presidente della Fondazione e del gruppo Maire aggiungendo che migranti e rifugiati “possono diventare un bacino importante, soprattutto se coinvolti in programmi strutturati come i corridoi lavorativi. Le aziende devono investire in formazione mirata e progetti di inclusione, integrandoli nelle proprie strategie di sostenibilità”, ha concluso il presidente proponendo la “creazione di un tavolo di lavoro con istituzioni e associazioni per accompagnare questo percorso”.
Migranti e agrivoltaico: un settore emergente
Un altro aspetto evidenziato nella ricerca riguarda, poi, l’efficacia di percorsi formativi integrati che uniscono competenze tecniche, linguistiche e digitali, accompagnati da tutor e figure di riferimento. Esperienze pilota in diversi Paesi europei dimostrano che rifugiati qualificati possono inserirsi rapidamente nel mondo del lavoro, portando valore alle aziende e arricchendo i team in termini culturali.
Due gli ambiti analizzati verticalmente: l’agrivoltaico e i distretti industriali.
Il primo è un settore emergente che unisce agricoltura e fotovoltaico e che richiede una forza lavoro diversificata e qualificata, dove i migranti – spesso con esperienza agricola – possono essere formati sulle nuove tecnologie.
L’agrivoltaico, “si distingue per la capacità di integrare la produzione agricola con quella di energia solare, offrendo nuove possibilità di sviluppo per le aree rurali e per categorie di lavoratori svantaggiate, come i migranti – si legge nella ricerca – L’inserimento lavorativo dei migranti in questo settore, ancora poco esplorato ma potenzialmente strategico, può contribuire a rispondere alla crescente domanda di manodopera, promuovendo al contempo modelli di sviluppo sostenibile e inclusivo.
In Italia i migranti costituiscono oltre il 25% della forza lavoro agricola, con picchi superiori al 50% in alcune regioni del Sud (CREA, 2020). Una transizione giusta e inclusiva nei territori rurali, già caratterizzati dalla presenza di lavoratori stranieri, rappresenta quindi un’opportunità concreta per la loro riqualificazione e stabilizzazione occupazionale.
Il secondo settore riguarda i distretti industriali in via di riconversione verso attività green e circolari, dove l’inclusione dei lavoratori stranieri può trasformare i territori in laboratori di innovazione sociale ed economica.
Il distretto “prospera se capace di attrarre, includere, coltivare e valorizzare lavoratori e competenze, il capitale umano”, si legge nello studio. Per concorrere allo sviluppo economico inclusivo e circolare, sono in particolare” necessarie professioni e competenze green, cioè lavori e competenze che producono valore positivo netto sulle dimensioni dello sviluppo sostenibile. Attrarre o formare tali competenze e professioni però è una sfida perché queste sono difficili da reperire nel 52,6% e saranno ancora più difficili da trovare in futuro. Anche per questo motivo attrarre ed includere lavoratori migranti con le competenze giuste diviene strategico”, conclude.