L'ARCHITETTURA VISTA DA LPP / 8

L’Intelligens di Carlo Ratti alla Biennale supera il dualismo tecnologia-arte. Il trabocchetto dell’autorialità

La Biennale di architettura di Venezia è la più importante manifestazione internazionale tra le diverse, dedicate al costruire inteso come arte, che si svolgono in ogni parte del mondo. A riprova del successo, le 285.000 presenze nel 2023, una enormità per una materia che non ha mai attirato un pubblico particolarmente numeroso. La crescita della Biennale di architettura è stata costante a partire dal 1980 e credo che sia stata in larga parte dovuta, oltre che dal fatto che non ci poteva essere una idea migliore di farla nella città di Venezia, all’individuazione dei curatori scelti tra i personaggi più rilevanti del panorama architettonico. A dirigere le varie edizioni sono stati, infatti, chiamati, solo per citarne alcuni, Paolo Portoghesi (1980), Massimiliano Fuksas (2000), Kazuyo Sejima (2010), David Chipperfield (2012), Rem Koolhaas (2014).

04 Mag 2025 di Luigi Prestinenza Puglisi

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L’Intelligens di Carlo Ratti alla Biennale supera il dualismo tecnologia-arte. Il trabocchetto dell’autorialità

Luigi Prestinenza Puglisi

E, recentemente, in base ai principi inflessibili del politically correct, Alejandro Aravena (2016), Shelley McNamara e Yvonne Farrell (2018), Hashim Sarkis (2020). Personaggi questi ultimi che, anche se non autori di biennali memorabili, hanno saputo aprire l’evento ai temi sociali, alle minoranze, al terzo mondo.

Nel 2023 la curatrice è stata l’architetta e scrittrice ghanese-scozzese Lesley Lokko, la cui biennale, dal titolo The Laboratory of the Future, ha puntato sull’Africa, sulla sua diaspora e sui temi della decolonizzazione e decarbonizzazione. Come dicevamo, il successo di pubblico di questa ultima manifestazione è stato notevole. Ma, soprattutto tra gli addetti ai lavori, è emersa la sensazione che la Biennale stesse prendendo una strada di non ritorno fatta di tanta riflessione sociale e di poca architettura concreta. Edifici realizzati o anche semplicemente progettati nelle ultime Biennali veneziane se ne sono visti sempre di meno e quelli mostrati erano sempre più spesso architettonicamente irrilevanti.

Occorreva quindi una sterzata che ricentrasse la manifestazione sul tema specifico dell’architettura intesa come arte. E sui cambiamenti che le nuove tecnologie impongono e imporranno alla progettazione. In particolare quelli che introdurrà l’Intelligenza Artificiale (AI) con il suo rapido sviluppo. E chiedersi cosa succederà quando le città saranno programmate dalla AI e la progettazione sarà in gran parte delegata ai computer, quando si modificheranno radicalmente i ruoli e svaniranno molte figure professionali, quando la gran parte dei lavori sarà affidata ad automi in grado di prendere decisioni complesse.
Il personaggio più adatto per dirigere una Biennale in grado di fornire risposte a questi interrogativi era Carlo Ratti.

Ratti, che è oltretutto italiano (e dopo tanti anni di direzioni straniere, non guasta), ha una cattedra al Massachusetts Institute of Technology (MIT) a Cambridge negli Stati Uniti, gira come una trottola per il mondo e ha un corposo curriculum istituzionale: tra gli altri incarichi è stato, insieme ad Italo Rota, il progettista del padiglione italiano di Dubai nel 2020.
Ratti è, però, un personaggio controverso, visto con sospetto da una parte della cultura architettonica che gli rimprovera un eccessivo tecnicismo di matrice anglo sassone. E un eccesso di kitsch, come nel caso del padiglione di Dubai, la cui copertura era stata realizzata con gli scafi di tre barche capovolte che suggerivano l’idea del naufragio nel Mediterraneo e, insieme, una antica tradizione che voleva che, sbarcati sulla terra ferma, i marinai costruissero in tal modo il loro primo rifugio.

Da qui alcuni scontri anche molto duri, per esempio con l’architetto e teorico Gianluca Peluffo che gli ha contestato gli scarsi risultati formali di una ricerca il cui centro è la tecnologia e che si limita a ricorrere a facili metafore, come appunto quella degli scafi. A causa di questi scontri e anche a causa del crescente successo professionale, Carlo Ratti è diventato un personaggio divisivo. Se seguite i social media, vedrete che ci sono pochi argomenti (forse solo il Bosco verticale di Stefano Boeri può competere) che tra gli architetti suscitano polemiche altrettanto appassionate. Con l’accusa ricorrente che Ratti sarebbe più un ingegnere preso dalle nuove tecnologie che un architetto.

Non è proprio così, Ratti è un bravo progettista e la sua stessa scelta di lavorare con Italo Rota, purtroppo prematuramente scomparso, racconta della attenzione che riserva all’aspetto architettonico. E al tentativo costante che fa di unire gli aspetti materiali e quelli immateriali della forma.

Questa premessa per dire che la Biennale 2025 potrà essere molto interessante per le polemiche che solleverà.
Ratti, già nella scelta del titolo, mostra di muoversi con particolare abilità. La parola da lui coniata per caratterizzare la manifestazione, Intelligens, ricorda infatti l’intelligenza naturale, quella artificiale nonché l’intelligenza collettiva (gens). Il messaggio è chiaro: se ci affidiamo solo alle macchine e agli automatismi, costruiremo un mondo unidirezionale e , quindi, sostanzialmente stupido. Gli architetti non devono temere che la macchina ruberà loro il lavoro, perché ogni forma di intelligenza ha una propria specificità e quindi un proprio ruolo.

Inoltre le tre forme di intelligenza possono collaborare per cercare di risolvere il problema dei problemi del nostro tempo: l’emergenza climatica e l’ambiente costruito. Ricorda Ratti: “La Mostra di quest’anno, Intelligens. Natural. Artificial. Collective., invita diversi tipi di intelligenza a lavorare insieme per ripensare l’ambiente costruito”. L’alternativa è il disastro ambientale.

Occorre, come suggerisce il sottotitolo della mostra, Verso una Nuova Architettura dell’Adattamento, un atteggiamento proattivo che non si limiti a perseguire la riduzione delle emissioni ma che metta ambiente costruito in condizione di resistere e rispondere agli impatti del cambiamento climatico. “Nell’età dell’adattamento – continua Ratti- l’architettura rappresenta un nodo centrale che deve guidare il processo con ottimismo. Nell’età dell’adattamento, l’architettura deve attingere a tutte le forme di intelligenza: naturale, artificiale, collettiva. Nell’età dell’adattamento, l’architettura deve rivolgersi a più generazioni e a più discipline, dalle scienze esatte alle arti. Nell’età dell’adattamento, l’architettura deve ripensare il concetto di autorialità e diventare più inclusiva, imparando dalle scienze.”

Le polemiche che dividono gli architetti italiani in due fazioni, per la tecnologia o per l’arte, sono quindi sostanzialmente inutili, superate.

Il lettore attento noterà però l’ultima frase dove Ratti invita a ripensare l’autorialità. È una stoccata diretta agli architetti che lo criticano in nome dell’arte. L’autorialità che questi ultimi rivendicano, non è un valore ma un trabocchetto. La Biennale 2025 non può che essere una biennale attenta alla cultura scientifica e ai suoi ideali comunitari più che alla cultura artistica e ai suoi ideali individuali.

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