La giornata

Gaza, firmato l’accordo di pace. Trump: “Un giorno straordinario”

  • Giani fa il bis, in Toscana vince il campo largo. Astensione record
  • Premio Nobel per l’Economia assegnato ad Aghion, Howitt e Mokyr
  • Aiuti di Stato, per la Commissione Ue necessari ritocchi sulle norme sulle garanzie

14 Ott 2025 di Maria Cristina Carlini

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«Un giorno straordinario per il Medio Oriente». Sono le parole del presidente USA Donald Trump, che ha co-presieduto insieme all’omologo egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che suggellano la cerimonia ufficiale di firma dell’accordo per il cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi. «Ci sono voluti tremila anni per arrivare fin qui», ha detto Trump. «Con l’accordo storico che abbiamo appena firmato, le preghiere di milioni di persone sono state finalmente esaudite. Insieme, abbiamo realizzato l’impossibile. Finalmente, abbiamo la pace in Medio Oriente». I documenti sono stati successivamente sottoscritti dai principali mediatori della trattativa tra Israele e Hamas: il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, padrone di casa; l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. La firma è stata accolta da un lungo applauso degli oltre venti leader internazionali presenti all’International Conference Center di Sharm el-Sheikh, tra cui la premier italiana Giorgia Meloni. «È una governante molto forte, sta facendo un ottimo lavoro», ha detto di lei Trump.
La fase 2 dell’accordo per Gaza è iniziata. L’impegno ufficializzato da Trump e da  una trentina di leader, soprattutto di Paesi arabi ed europei, è quello  di costruire un nuovo futuro di pace per il Medio Oriente. Intenzioni che verranno messe alla prova dei fatti sin da subito, sui primi scogli come il mantenimento della sicurezza nella Striscia, dove il presidente statunitense ha aperto a un ruolo per Hamas come forza di polizia palestinese: “Vogliono porre fine ai problemi e lo hanno detto apertamente, e abbiamo dato loro l’approvazione per un periodo di tempo”. Il Board per l’amministrazione transitoria è un altro dei temi che ha dominato i colloqui sul Mar Rosso, e a guadagnarsi la prima nomination di Trump è l’egiziano Abdel Fattah al-Sisi, padrone di casa che ha dato a tutti appuntamento a novembre al Cairo per una conferenza sulla ricostruzione.
L’Italia vuole essere in prima fila su questo dossier, inevitabilmente legato a doppio filo con la stabilizzazione di Gaza, con il governo pronto a “implementare la presenza” dei carabinieri se verrà approvata una risoluzione Onu che lo richiederà, come ha chiarito la premier Giorgia Meloni al termine della giornata. “Noi a livello di governo italiano stiamo già lavorando a un paper che mette insieme tutte le cose che l’Italia può fare, su cui può dare una mano, da condividere con i nostri partner. Noi siamo già al lavoro per andare avanti perché adesso non bisogna mollare”, ha dichiarato Meloni in un punto stampa al termine del vertice di pace su Gaza a Sharm el-Sheikh.  “Adesso bisogna procedere a passi spediti, bisogna dare il segnale della concretezza, bisogna dare il segnale, anche alle persone coinvolte, che le cose stanno cambiando perché comunque è complesso e difficile. La giornata di oggi – ha aggiunto – non è una giornata che chiude qualcosa, è più una giornata che apre qualcosa, e quel qualcosa che apre può essere enorme, qualcosa che qualche anno noi potevamo solamente sognare. Garantisco che tutto quello che l’Italia potrà fare lo farà”.

“Siamo pronti a contribuire al successo” del piano di pace per Gaza “con tutti gli strumenti a nostra disposizione In particolare, fornendo sostegno alla governance e alla riforma dell’Anp. Saremo una forza attiva all’interno del gruppo dei donatori palestinesi. E forniremo finanziamenti dell’UE per la ricostruzione di Gaza”, ha scritto su X la presidente della Commissione Ursula von der Leyen definendo una “pietra miliare” l’accordo di pace e “un momento di sollievo per il mondo intero” il rilascio degli ostaggi.

Giani fa il bis, in Toscana vince il campo largo. Astensione record

Eugenio Giani fa il bis. La tornata elettorale in Toscana lo riconferma governatore  con ampio margine al 54% staccando il candidato di Centrodestra Alessandro Tomasi con 15 punti di stacco (un risultato chiaro anche a dati pcandidato del centrodestra, nonostante la spinta dei big Meloni, Tajani, Salvini e Lupi schierati con lui sul palco del comizio finale. Giani taglia questo traguardo dopo il sofferto endorsement di Pd e M5s incerti all’inizio sulla riconferma. Il campo largo si aggiudica così la prima vittoria dopo le sconfitte nelle Marche e in Calabria.    “Ha vinto la Toscana illuminata e riformista. E mi sento da ora presidente di tutti”, ha dichiarato Giani. La candidata della sinistra radicale e di Toscana Rossa Antonella Bundu, risucchia consensi ad Avs e M5s e sfiora il 5 per cento. Ma a vincere è ancora una volta l’astensionismo: l’affluenza crolla di 15 punti e va al minimo storico in Toscana, dove nel 2020 era al 62%. Tonfo della Lega di Roberto Vannacci, crollata di oltre 16 punti. “Se questo è l’effetto Vannacci speriamo che continui: dal 21 al 4″, ha commentato la segretaria del Pd, Elly Schlein. “Chi si era affrettato a dichiarare la fine di una coalizione progressista appena ricucita oggi è smentito nei fatti. Questo voto è una speranza per il futuro”, esulta con il Pd primo partito in Toscana oltre il 35%.

Secondi nel voto di lista sono i Fratelli dell’Italia, che raddoppiano i consensi rispetto alle regionali del 2020 (26,5%).  Forza Italia cresce un paio di punti ma non è suo l’exploit al centro. Chi fa boom tra i moderati è invece Matteo Renzi con Lista Giani-Casa Riformista. “In Toscana siamo la terza lista in assoluto dopo Pd e dopo Fratelli d’Italia. Siamo davanti a Forza Italia, alla Lega, a Avs, al Movimento Cinque Stelle”, si è rallegrato l’ex premier dato intorno al 9%.   Si ferma sotto al 7 Avs mentre fanalino nei voti di lista del centrosinistra è il M5s di Giuseppe Conte, che cala al 4,5% e paga le contraddizioni del suo tiepido appoggio a Giani.

Premio Nobel per l’Economia assegnato ad Aghion, Howitt e Mokyr

Il premio Nobel per l’economia 2025, dedicato quest’anno a “creazione e distruzione”, va al francese Philippe Aghion, al canadese Peter Howitt e all’israeliano Joel Mokyr. Lo ha annunciato l’Accademia reale svedese per le scienze economiche. Il premio a Mokyr, che insegna alla Northwestern University – spiega l’accademia – riconosce “l’aver identificato i prerequisiti per una crescita sostenuta attraverso il progresso tecnologico”. I premi ad Aghion (Collège de France e Insead a Parigi e London School of Economics) e Howitt (Brown University) riconoscono gli studi “nella teoria della crescita attraverso la distruzione creativa”. Interpellato al telefono dalla stampa internazionale subito dopo la consegna dei premi, Aghion ha detto di essere “senza parole” e che investirà la somma del Nobel – pari a un totale di 11 milioni di corone svedesi (circa 1 milione di euro) per i tre premiati – nei suoi progetti di ricerca accademici. “Non vedo con favore i dazi, negativi per la crescita mondiale” – ha spiegato rispondendo sull’attualità economica – ma “l’Europa non può lasciare la leadership tecnologica agli Usa e alla Cina”, anche se ci sono Paesi come la Svezia o la Danimarca che tengono il passo con i due colossi geoeconomici mondiali. Mokyr – spiega l’accademia – “ha usato le fonti storiche come mezzo per scoprire i meccanismi attraverso i quali una crescita sostenuta può diventare una nuova normalità”. Aghion e Howitt, in un articolo del 1992, “hanno costruito un modello matematico per la distruzione creativa: quando un prodotto nuovo e migliore entra nel mercato, le aziende che vendono i prodotti vecchi perdono”, un’innovazione che “è anche distruttiva”, in un conflitto “che deve essere gestito in modo costruttivo. Altrimenti l’innovazione sarà bloccata dalle aziende già stabilite e da gruppi d’interesse che rischiano di essere che rischiano di trovarsi svantaggiati” dal progresso.

Aiuti di Stato, per la Commissione Ue necessari ritocchi sulle norme sulle garanzie

Le norme in materia di aiuti di Stato relative alle garanzie nazionali sono ancora pertinenti ma che sono necessari alcuni miglioramenti e semplificazioni, in particolare per quanto riguarda la stima degli importi degli aiuti, la complessità per le Pmi e il trasferimento dei benefici del rischio. Lo rileva la Commissione europea, in un documento di lavoro che riassume i risultati di una valutazione sulla normativa attuale riguardante gli aiuti di Stato sotto forma di garanzie (“comunicazione sulle garanzie”). Le norme riguardano il modo in cui la Commissione valuta le garanzie statali sui prestiti e altri strumenti finanziari. Avviata nell’agosto 2022, la valutazione aveva lo scopo di verificare se la comunicazione sulle garanzie, che non è stata rivista dal 2008, fosse ancora “adeguata allo scopo” e di individuare eventuali carenze esistenti, nonché margini di miglioramento e semplificazione. Più nel dettaglio, la valutazione mostra che l’attuazione della comunicazione sulla garanzia può comportare una sottostima dell’importo dell’aiuto (ossia il premio applicato per una garanzia statale può essere troppo basso). Tuttavia, per l’approccio semplificato che può essere applicato alle garanzie statali a favore delle piccole imprese (la cosiddetta «opzione di rifugio sicuro»), potrebbe verificarsi una sovrastima dell’importo dell’aiuto (ossia il premio applicato potrebbe essere troppo elevato), in particolare per le garanzie statali destinate alle Pmi più rischiose. “È possibile che i prestatori non trasferiscano interamente ai mutuatari i vantaggi in termini di riduzione del rischio che ottengono grazie alle garanzie statali, anche se tale effetto è insufficiente per consentire ai prestatori di ottenere guadagni complessivi statisticamente significativi”, rileva Bruxelles. Inoltre, non sono disponibili dati affidabili sufficienti sulle misure di garanzia approvate, il che dimostra che il quadro di riferimento per la comunicazione previsto dalla comunicazione sulle garanzie non funziona come previsto. Inoltre, per la Commissione la comunicazione sulle garanzie contiene elementi incoerenti con il quadro più ampio degli aiuti di Stato. La Commissione intende avviare una revisione della comunicazione sulla garanzia nel primo trimestre del 2026 con l’obiettivo di affrontare le questioni individuate nella valutazione. Le parti interessate avranno la possibilità di presentare osservazioni sulla richiesta di prove che sarà pubblicata per ottenere un riscontro. Si stima attualmente che la revisione sarà completata entro giugno 2027.

Imprese, Prete (Unioncamere): “1,9 milioni di green jobs ricercati dalla imprese nel 2024”

Le imprese italiane ricercavano quasi 1,9 milioni di professionisti dell’economia “verde” pari a oltre il 34% delle entrate programmate nel 2024. Sono i cosiddetti green jobs, i profili emergenti capaci di utilizzare tecnologie e nuovi materiali ecosostenibili ma anche figure tradizionali chiamate a contribuire agli obiettivi ambientali attraverso nuove competenze. Oltre la metà di questi profili, però, risultavano difficili da trovare. Lo ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, nel suo intervento a “I colori dell’energia”, l’evento in corso a Brindisi.
“La transizione energetica rappresenta una delle più profonde trasformazioni economiche e industriali del nostro tempo. Si tratta di ripensare interi processi produttivi, di innovare filiere, di costruire nuove competenze”, ha detto Prete. Il sistema camerale è fortemente impegnato nella promozione della sostenibilità e nella costruzione di un ecosistema economico capace di generare valore duraturo, ha ricordato il presidente di Unioncamere. “Attraverso i Pid, i punti impresa digitale, – ha concluso Prete – mettiamo a disposizione delle PMI strumenti e consulenze per integrare tecnologie digitali ed energie rinnovabili nei propri processi. Dal 2021, il sistema camerale è inoltre impegnato in attività a favore delle Comunità energetiche rinnovabili (CER), con l’obiettivo di promuovere comunità di cittadini, imprese, enti territoriali ed autorità locali che producano energia elettrica necessaria al proprio fabbisogno, proveniente da impianti alimentati da fonti rinnovabili. Sono 410 gli eventi realizzati con quasi 7.500 partecipanti, oltre 6.700 gli imprenditori che hanno ricevuto supporto operativo attraverso le partecipazioni a desk one to one, 111 i tavoli di progettazione territoriale realizzati, e tre le Camere di commercio che già aderiscono ad una CER”.

Plenitude entra sul mercato della fibra ottica in Italia

Plenitude da arricchisce il proprio portafoglio di soluzioni rivolto ai clienti residenziali con il servizio Fibra, fornendo una connessione Internet ultraveloce e affidabile. L’offerta Plenitude Fibra, basata sulla tecnologia FTTH, consente di navigare fino a 2,5Gb/s in download e fino a 1Gb/s in upload e sarà disponibile nelle aree coperte dall’attuale partner tecnologico. Nei prossimi mesi il servizio fibra di Plenitude verrà progressivamente esteso sul territorio nazionale. Tutte le informazioni sui contenuti dell’offerta sono disponibili presso i Plenitude Store, il sito web e il servizio clienti della Società. Per raccontare la nuova offerta al pubblico, Plenitude lancerà in Italia una campagna multimediale in cui connessione ed energia dialogano tra loro, integrandosi per semplificare la quotidianità delle persone. L’ultra- velocità della rete diventa così lo strumento per connettere persone e innovazione direttamente nelle loro case. Vincenzo Viganò, Head of Retail Market di Plenitude, ha dichiarato: “In un mercato energetico in rapida evoluzione come quello di oggi, la vera sfida non è solo fornire servizi energetici, ma costruire una relazione di valore con i clienti. Partendo da questa esigenza, vogliamo porci sempre più come un interlocutore a 360 gradi, proponendo soluzioni integrate. Plenitude Fibra va proprio in questa direzione, ci consente di offrire un servizio vicino alla vita delle persone, coniugando energia e tecnologia in uno spazio connesso ed efficiente”.

 

Itinera lancia ‘Costruttori del futuro’ per la formazione di nuovi assistenti di cantiere

Itinera, tra i principali player globali nella realizzazione di grandi opere infrastrutturali e di edilizia civile e industriale, lancia oggi “Costruttori del domani”: un’importante iniziativa rivolta ai giovani diplomati delle scuole professionali provenienti da tutta Italia. Il progetto punta a formare nuove figure tecniche da inserire nel ruolo di assistente di cantiere, rispondendo alla crescente esigenza di rafforzare l’organico specializzato nel settore. In collaborazione con Randstad Italia, Divisione Construction ed Enterprise, sono stati coinvolti nel progetto 28 istituti scolastici tecnici e circa 600 candidati. L’iniziativa testimonia l’impegno di Itinera e Randstad nel promuovere lo sviluppo delle competenze e l’occupazione giovanile, favorendo la collaborazione tra impresa, scuola e territorio e valorizzando professioni strategiche e sempre più rare nel panorama italiano, come quella di assistente di cantiere e geometra. Le selezioni si sono svolte con colloqui e test di assessment per garantire la migliore corrispondenza tra competenze dei candidati e requisiti aziendali, con un focus sulle aree locali del Piemonte e Lombardia (tra cui Novi Ligure, Voghera, Pavia, Vigevano, Tortona, Casale Monferrato, Alessandria, Torino e Asti) e su città di altre regioni italiane. A partire dal 13 ottobre, i candidati selezionati accederanno a un percorso formativo di 120 ore interamente finanziato dal Fondo Forma.Temp, organizzato in partnership con la Scuola Edile di Alessandria. Il programma, suddiviso in moduli tecnici e trasversali, prevede approfondimenti su: sicurezza e salute sul lavoro, diritti e doveri dei lavoratori e competenze verticali specifiche per il ruolo di assistente di cantiere. “Costruttori del Domani” rappresenta un’opportunità concreta per i giovani diplomati di confrontarsi con il
mondo del lavoro e di avviare un percorso professionale annuale all’interno di un contesto internazionale e di eccellenza come Itinera Per Itinera, investire sui giovani significa sostenere il futuro del settore costruzioni e rafforzare la qualità e lansicurezza delle grandi opere infrastrutturali su cui si fonda lo sviluppo del Paese.

Almaviva e Franchetti firmano un accordo per la sicurezza e sostenibilità delle infrastrutture

Almaviva e Franchetti hanno firmato un accordo di partnership volto a cambiare l’approccio alla gestione e manutenzione delle infrastrutture, in Italia e nel mondo, con un focus in particolare sul Brasile e sugli USA, mercati nei quali entrambe le realtà sono già attive con businesses consolidati, in particolare sulle infrastrutture pubbliche di trasporto. In un contesto in cui la sicurezza, la digitalizzazione e l’efficienza operativa sono diventati elementi irrinunciabili, le competenze di Almaviva e di Franchetti sono una risposta concreta e innovativa alle sfide lanciate dall’evoluzione tecnologica nel settore dei trasporti, della logistica e dell’edilizia. Con questo accordo, Almaviva e Franchetti pongono le basi per un percorso di collaborazione a lungo termine, con l’ambizione di diventare un punto di riferimento per le infrastrutture del futuro, introducendo soluzioni capaci di anticipare le esigenze dei gestori, degli enti pubblici e delle grandi opere. Almaviva, capogruppo di Almaviva Group, è leader in Italia nel mercato dell’Information Technology applicata anche al settore dei trasporti e della logistica, con un’offerta innovativa e completa di prodotti, soluzioni e servizi. Ha sviluppato la Piattaforma MOOVA, un ecosistema tecnologico avanzato pensato per connettere diverse modalità di trasporto in un unico framework integrato con le infrastrutture esistenti. La Piattaforma offre soluzioni che consentono di centralizzare e governare i processi “core” del trasporto, inclusi la diagnostica e il monitoraggio delle opere infrastrutturali. Franchetti, società di ingegneria leader a livello internazionale nell’analisi, diagnosi e manutenzione predittiva di infrastrutture complesse, come ponti, viadotti e reti stradali e ferroviarie, ha realizzato la Piattaforma Digiroads che integra progettazione, gestione, manutenzione di infrastrutture e opere, con l’obiettivo di migliorarne l’efficienza operativa e garantirne la sostenibilità nel tempo. La partnership consente di presentare un’offerta integrata al servizio del territorio, scalabile e ad alto valore tecnologico, che include: servizi ingegneristici (valutazione strutturale, progettazione di impianti di monitoraggio, pianificazione degli interventi), piattaforme per il monitoraggio infrastrutturale, sistemi e algoritmi per la manutenzione predittiva e strumenti avanzati a supporto delle ispezioni e della diagnostica in tempo reale. Queste soluzioni si rivolgono in particolare ai settori delle infrastrutture di trasporto, della logistica e del building & construction, con l’obiettivo di supportare la transizione verso infrastrutture intelligenti, sicure e durature nel tempo. “La sinergia tra le competenze Almaviva e Franchetti può fare la differenza in un settore in continua trasformazione” – ha affermato Smeraldo Fiorentini, deputy ceo Divisione Transportation & Logistics di Almaviva -. “Vogliamo offrire al mercato una proposta concreta, centrata su sicurezza, innovazione e sostenibilità, capace di generare valore per i territori e per le comunità”. “Questo accordo tra Franchetti e Almaviva trova una sintesi concreta nella complementarietà tra le due piattaforme – Digiroads di Franchetti e Moova di Almaviva”, ha sostenuto Paolo Franchetti, chairman and ceo della Franchetti S.p.A. “Ciò consentirà di offrire agli utenti e ai gestori non solo dati aggiornati in tempo reale, ma anche previsioni affidabili e analisi predittive che permetteranno una gestione più consapevole ed efficiente delle infrastrutture stesse, contribuendo così al miglioramento della sicurezza ed alla continuità dei servizi nel lungo periodo”.

 

Fs, finalista agli European Risk Management Awards 2025

Il modello di risk management del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane è il progetto con cui Michelangela Scuderi, Head of Risk Management FS, è stata selezionata tra i finalisti degli European Risk Management Awards 2025, il prestigioso riconoscimento internazionale promosso da FERMA (Federation of European Risk Management Associations) e Commercial Risk Europe, che ogni anno premia le eccellenze nella gestione del rischio a livello continentale. La candidatura, presentata nella categoria Risk Manager of the Year, si basa sullo stesso progetto che ha consentito di conquistare il premio nazionale ANRA – Risk Manager dell’anno, grazie a un approccio innovativo e integrato nella gestione dei rischi aziendali. Il modello di risk management di FS, sviluppato negli ultimi due anni e recentemente aggiornato con la pubblicazione di tre procedure che disciplinano le attività di gestione del rischio svolte dalle società del Gruppo, rappresenta una best practice nella definizione e applicazione di una metodologia personalizzata. Tale modello si basa su una tassonomia chiara, strumenti digitali user-friendly e un linguaggio accessibile che facilita la diffusione della cultura del rischio in tutte le funzioni aziendali. Elemento distintivo del modello è l’approccio wide and embedded, ovvero una gestione del rischio diffusa e integrata in ogni processo, accompagnata da un costante supporto operativo alle strutture aziendali e da un forte investimento nella formazione e sensibilizzazione interna. La proclamazione del vincitore degli European Risk Management Awards 2025 è in programma per il 22 ottobre a Zurigo. Un traguardo che conferma il riconoscimento, anche in ambito europeo, del lavoro del team multidisciplinare del Gruppo FS Italiane, capace di costruire un sistema di controllo interno moderno, efficiente e centrato sulla qualità delle persone.

Rockwool si aggiudica la fornitura di prodotti in lana di roccia per la riqualificazione del Piacenza Logistics Hub

Rockwool, leader mondiale nella realizzazione di prodotti e soluzioni sostenibili in lana di roccia, si aggiudica la fornitura di prodotti in lana di roccia per la riqualificazione energetica del Piacenza Logistics Hub, il principale snodo intermodale logistico d’Italia. La struttura, ben collegata con due autostrade, quattro statali, una tangenziale e un raccordo ferroviario, necessitava di un ampliamento per far fronte a una domanda in costante crescita del mercato della logistica, mentre la porzione preesistente necessitava di un ammodernamento generale. Nel 2024, Generali Real Estate, proprietario della struttura, ha affidato a GSE Italia la realizzazione del nuovo polo logistico situato in località Le Mose, alle porte di Piacenza, richiedendo espressamente elevati standard tecnici e di sostenibilità e ponendo particolare attenzione all’efficienza energetica e alla biodiversità. Il progetto ha previsto un ampliamento della struttura preesistente di ulteriori 88.000 m², realizzando cinque immobili con strutture prefabbricate, comprensivi di pavimentazioni industriali per gli interni e pavimentazioni dei piazzali esterni, coperture, impianti aree esterne e allestimento degli uffici e sottoservizi. In risposta alle specifiche richieste di sostenibilità e sicurezza formulate da Generali, Rockwool ha messo a disposizione una consulenza tecnica mirata, incentrata sull’evoluzione normativa relativa alle coperture con impianti fotovoltaici e ai rischi d’incendio connessi, qualora non adeguatamente messe in sicurezza. Attraverso un dossier tecnico dettagliato, la società ha evidenziato – con un’analisi comparativa obiettiva e basata su dati certificati – le caratteristiche della lana di roccia in termini di incombustibilità e conformità alle normative vigenti, dimostrando la piena rispondenza ai requisiti prestazionali richiesti. Questo ha portato alla scelta dei pannelli Rockwool, in grado di assicurare massima sicurezza contro il rischio incendio e garantire un’elevata efficienza nelle installazioni fotovoltaiche, contribuendo alla realizzazione di uno dei progetti più rilevanti in ambito industriale e logistico del Nord Italia. Nell’ampliamento del Polo Logistico di Piacenza sono stati utilizzati pannelli in lana di roccia Hardrock 1000, spessore 80 mm e formato 1200 x 1884 mm, per realizzare la copertura di circa 63.000 m² di superficie, con un volume complessivo di isolamento pari a circa 5040 m³.

Il Gruppo Hera nella Top 10 mondiale del Diversity & Inclusion Index, prima azienda italiana

Per il decimo anno consecutivo, la multiutility si conferma tra le 100 aziende più inclusive a livello globale e conquista la decima posizione assoluta – prima tra le aziende italiane – nella classifica internazionale di FTSE Russell (già Refinitiv) su oltre 16.500 società quotate.
È un “dieci su dieci” quello ottenuto dal Gruppo Hera nell’edizione 2025 del Diversity & Inclusion Index elaborato da FTSE Russell, società del London Stock Exchange Group. La multiutility conquista il 10° posto a livello globale, unica azienda italiana nella Top 10, su un universo di oltre 16.500 società quotate, segnando la decima presenza consecutiva nell’indice che seleziona le aziende più attive nelle politiche di diversità, equità, inclusione e sviluppo delle persone. Un risultato che conferma la solidità di un approccio sistemico, fondato su un modello organizzativo capace di integrare benessere, leadership diffusa e formazione continua, creando un contesto di lavoro equo, inclusivo e orientato allo sviluppo. Le persone sono protagoniste della strategia aziendale: un principio che guida le scelte del Gruppo e alimenta la sua capacità di generare impatto positivo sui territori e le comunità. Il FTSE Diversity & Inclusion Index identifica ogni anno le 100 aziende quotate con le migliori performance a livello globale sui temi DE&I. La metodologia si basa su 24 indicatori articolati in quattro aree chiave – diversità, inclusione, sviluppo delle persone e assenza di controversie rilevanti – ed è fondata esclusivamente su dati pubblici. I dati utilizzati per l’edizione 2025 sono aggiornati al 30 giugno scorso e sono riferiti all’esercizio precedente e al primo semestre di quest’anno. Nel 2025 il Gruppo ha rafforzato ulteriormente il proprio impegno con il lancio di un nuovo percorso formativo digitale sulla piattaforma MyAcademy, focalizzato sulla prevenzione di molestie e violenze e sul consolidamento di una cultura del rispetto. Il programma, sviluppato a partire da focus group con circa 200 persone, è parte di un piano biennale a impronta intersezionale, che affronta anche i temi del linguaggio inclusivo, delle neurodivergenze, della genitorialità e della longevità. L’adesione, in qualità di membro fondatore, alla rete PARI “Insieme contro la violenza di genere” rafforza ulteriormente il ruolo del Gruppo nella promozione di ambienti di lavoro sicuri e inclusivi. Il risultato ottenuto nel Diversity & Inclusion Index si aggiunge ad altri importanti riconoscimenti internazionali che, nel 2025, hanno confermato il Gruppo Hera tra i leader mondiali in sostenibilità. Equileap, provider indipendente specializzato nella misurazione dell’uguaglianza di genere, ha inserito il Gruppo Hera nella Top 10 mondiale del settore Utilities e al 9° posto assoluto per performance ESG su oltre 6.000 aziende valutate, assegnando il Gold Seal 2025. S&P Global ha inoltre riconfermato Hera, per il quinto anno consecutivo, nel Top 1% del settore Multi & Water Utility all’interno del Sustainability Yearbook e il Gruppo è risultato primo classificato nel comparto anche del Dow Jones Sustainability Europe & World Index. A sua volta Sustainalytics, società del gruppo Morningstar, ha incluso il Gruppo Hera tra le Top-Rated Companies a livello globale per la gestione eccellente dei rischi ESG (ambientali, sociali e di governance), specifici per il settore di riferimento.

 Acqua, Enea presenta tre soluzioni per risparmio e riuso

A Bologna sono state sperimentate tre soluzioni per il risparmio e il riuso dell’acqua che potranno fare da battistrada per altre città: un’aiuola rialzata con una riserva d’acqua sul fondo, una torre per la coltivazione idroponica e una cisterna per la raccolta della pioggia. Buone pratiche che si inseriscono nel progetto pilota “Acqua in circolo”, al quale ENEA partecipa insieme al Comune di Bologna, Anci Emilia-Romagna e Green City Network nell’ambito del progetto europeo NiCE. Nell’arco di circa un anno, ENEA ha organizzato un “Urban Living Lab” aperto alla cittadinanza per affrontare il tema del risparmio idrico, anche mediante consigli pratici per usare al meglio l’acqua nelle case, negli orti e nei giardini. Le soluzioni progettate e realizzate hanno avuto il supporto di “Aquaponic Design”, spin-off dell’università di Bologna che progetta e costruisce impianti di coltivazione fuori suolo (acquaponici, idroponici, bioponici, ecc.).
Dopo gli incontri, tre gruppi di cittadini sono stati coinvolti nella sperimentazione delle soluzioni realizzate. Negli orti comunali di via Saragozza è stata montata l’aiuola con la riserva d’acqua, nel Dipartimento di Ingegneria civile dell’ateneo bolognese è stata installata la torre per la coltivazione idroponica e nel cortile del co-housing Porto 15 è stata collocata una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana con un sistema di fitodepurazione integrato. Nel corso dei mesi, i cittadini coinvolti nel progetto hanno potuto monitorare sul campo le tre soluzioni, coadiuvati dagli esperti, così da individuare possibili aree di miglioramento.
Oltre all'”Urban Living Lab”, è stato organizzato uno “School Living Lab”, ovvero quattro incontri a cura di ENEA con alcune scuole elementari e medie della città. I consigli ENEA per il risparmio idrico, come l’uso della doccia invece della vasca da bagno o la raccolta dell’acqua fredda del rubinetto prima che si scaldi, sono stati al centro di questi incontri. Inoltre, agli alunni delle medie è stato chiesto di raccogliere dati sulla crisi idrica e sul riuso dell’acqua e di occuparsi in prima persona di moderare i consumi nei propri appartamenti.
“Le attività di ‘Acqua in circolo’ hanno permesso di coinvolgere cittadini, associazioni e organizzazioni pubbliche e private di Bologna per sperimentare insieme soluzioni concrete per usare l’acqua in modo più efficiente e circolare in città”, osserva Sara Cortesi, referente del progetto NiCE e ricercatrice del Laboratorio ENEA Strumenti per la sostenibilità e circolarità dei sistemi produttivi e territoriali, che insieme al Laboratorio Tecnologie per la gestione circolare di acqua e reflui ha curato il progetto pilota. “L’esperienza bolognese – prosegue – contribuirà anche alla creazione della ‘solution box’ che sarà prodotta dal progetto, una raccolta di metodi, strumenti, linee guida e buone pratiche per aiutare altri cittadini e amministrazioni locali a rendere le proprie città più sostenibili, seguendo l’approccio di NiCE”. L’esperienza di “Acqua in circolo” sarà presentata in un evento dedicato durante la prossima edizione della fiera Ecomondo, a Rimini.

Rinnovabili, Agici: non farle costerà 137 miliardi

La transizione verso le energie rinnovabili rappresenta per l’Italia una sfida strategica per la sicurezza energetica, la competitività economica e la sostenibilità ambientale. Negli ultimi anni il Paese ha compiuto progressi rilevanti ma il ritmo di crescita resta insufficiente per raggiungere gli obiettivi fissati dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che prevede 131 GW al 2030. Nonostante l’accelerazione registrata nel 2024, con 7,5 GW di nuova capacità, rispetto al 2023, quasi interamente fotovoltaica, l’Italia rischia infatti un gap di circa 17 GW rispetto ai target previsti, con ripercussioni non solo ambientali ma anche economiche, sociali e industriali.
È quanto emerge dal Rapporto Annuale 2025 dell’Osservatorio Rinnovabili (OIR) di AGICI, dal titolo “Quanto costa restare fermi? I Costi del Non Fare le rinnovabili”, presentato presso il Centro Congressi Fondazione Cariplo di Milano. Lo studio offre un’analisi dei “Costi del Non Fare”, stimando gli impatti economici, occupazionali e ambientali del mancato sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia attraverso il confronto tra lo scenario del PNIEC 2024, che ipotizza il pieno raggiungimento dell’Italia degli obiettivi di decarbonizzazione, e del “Business As Usual” (BAU), basato sull’attuale ritmo di crescita del Paese. I risultati mostrano che, se l’Italia non dovesse rispettare gli obiettivi previsti dal PNIEC 2024, il costo complessivo per l’economia nazionale ammonterebbe a 137 miliardi di euro al 2050, pari a oltre 5 miliardi di euro l’anno nel periodo 2025-2050.
L’inazione energetica comporterebbe inoltre impatti ambientali e sociali rilevanti, tra cui un consumo aggiuntivo di 233 miliardi di metri cubi di gas naturale, 10 milioni di tonnellate di olio combustibile, quasi 700 mila tonnellate di carbone, oltre a 585 milioni di tonnellate di CO₂ emesse in più e la perdita potenziale di 342.480 posti di lavoro.
Al contrario, il pieno raggiungimento degli obiettivi del PNIEC – che prevede una crescita media annua del 9% fino a 122 GW di capacità rinnovabile al 2030 – genererebbe benefici economici complessivi superiori a 162 miliardi di euro al 2050. Di questi, il 47% deriverebbe dal minore consumo di combustibili fossili, il 26% dalla riduzione delle emissioni, il 20% dall’effetto del fotovoltaico sui prezzi dell’energia e il 6% dall’aumento dell’occupazione. Il raggiungimento dei target richiederebbe un investimento aggiuntivo di 24 miliardi di euro, che sarebbe tuttavia ampiamente compensato dai benefici economici, ambientali e occupazionali derivanti da uno sviluppo accelerato delle rinnovabili. Per valutare concretamente le prospettive future di investimento nelle FER in Italia, AGICI ha poi analizzato le strategie di 17 operatori italiani ed europei attivi nel Paese nel settore delle fonti rinnovabili e dei sistemi di accumulo. A livello globale, nel 2024 la capacità complessiva detenuta dal campione raggiunge i 193 GW, in crescita del 51% rispetto al 2019, di cui 31 GW installati in Italia, con investimenti globali per 18 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi nel nostro Paese. Per il periodo 2025-2030, gli operatori prevedono ulteriori investimenti, con l’obiettivo di realizzare 102 GW di nuova capacità a livello mondiale e 14 GW in Italia, con impegni finanziari stimati in 64 miliardi di euro a livello globale e 16 miliardi in Italia, concentrati su fotovoltaico, eolico e sistemi di accumulo. Lo studio conferma così che investire nelle rinnovabili è una scelta economicamente vantaggiosa rispetto all’inazione e mette in evidenza le principali criticità che ancora rallentano la transizione. L’assenza di una cornice normativa stabile, i ritardi del permitting e la mancanza di una governance nazionale coordinata continuano infatti a rappresentare ostacoli significativi per imprese e investitori. Guardando al futuro, l’Osservatorio Rinnovabili sottolinea l’importanza di regole certe e regia nazionale quali condizioni indispensabili per attrarre capitali, garantire una transizione ordinata e rafforzare la sicurezza energetica del Paese.
“È fondamentale sottolineare come al centro del discorso sulle rinnovabili ci sia un tema di sviluppo che non è solo di natura economica, ma anche sociale”, ha dichiarato Marco Carta, Amministratore Delegato di AGICI. “Gli impianti FER, infatti, non vengono sviluppati nei grandi centri metropolitani, ma nelle aree più periferiche del Paese, maggiormente esposte al rischio di spopolamento e di inasprimento del disagio economico. Investire sulle rinnovabili vuol dire quindi impegnarsi anche per una crescita più uniforme del Paese, creando benessere, servizi e soprattutto occupazione qualificata nei territori che ne hanno più bisogno”. “I risultati presentati oggi dimostrano che il costo delle rinnovabili è minimo rispetto alle spese che l’Italia dovrebbe sostenere se non investisse con decisione nelle fonti pulite” – ha dichiarato Anna Pupino, Responsabile dell’Osservatorio Rinnovabili (OIR) di AGICI. “Il mancato raggiungimento degli obiettivi del PNIEC comporterebbe infatti costi oltre cinque volte superiori. Oggi gli operatori mostrano segnali di ottimismo verso l’Italia e gli incentivi sono già in campo, ma serve un passo ulteriore: costruire un quadro normativo stabile e sicuro. Solo così la decarbonizzazione rappresenterà una reale opportunità di crescita sostenibile e competitiva per il nostro Paese”.

Nucleare, favorevoli e contrari pari al 40%

Con il recente disegno di legge delega sul nucleare, approvato dal Parlamento e sostenuto dal Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin, il tema del nucleare sostenibile torna al centro del dibattito energetico italiano. Ma oltre alla politica e all’industria, la vera sfida si gioca sulla fiducia dei cittadini e sull’accettabilità sociale: è questo il filo conduttore dell’evento “Piattaforma nucleare sostenibile: costruire la fiducia sociale”, organizzato dal World Energy Council Italia e ospitato presso la Camera dei Deputati il 13 ottobre, con la partecipazione di istituzioni, imprese e associazioni.
L’Italia, in linea con le più recenti tendenze internazionali, è oggi chiamata ad abilitare una piattaforma di competenze, ricerca e filiera industriale dedicata al nucleare sostenibile, che includa sia le tecnologie di nuova generazione per la fissione, più sicure e modulari, sia la sfida di lungo periodo della fusione, frontiera scientifica in cui il Paese vanta eccellenze riconosciute. Fissione e fusione rappresentano due traiettorie complementari di una stessa strategia: decarbonizzare il sistema energetico nazionale, rafforzare la sicurezza energetica e creare nuove opportunità di sviluppo industriale.
La partecipazione di molti associati WEC Italia all’incontro ha evidenziato il ruolo delle eccellenze italiane in quest’ottica. “Il convegno di oggi conferma che l’Italia ha competenze e capacità industriali pronte a sostenere l’attuazione della piattaforma nazionale del nucleare sostenibile, sia sulle nuove tecnologie da fissione nucleare, sia sulla frontiera dell’energia da fusione. È importante che le istituzioni siano da subito pronte a sviluppare quadri regolatori che aiutino gli investimenti e che già oggi siano così attente a costruire fiducia nelle comunità e sui territori. L’Italia è la seconda economia manifatturiera in Europa e ha bisogno di un’energia sicura e competitiva, coerente con il percorso di sviluppo sostenibile che ha intrapreso. L’innovazione europea e transatlantica nel campo dell’energia nucleare e della fusione offre opportunità che il nostro Paese può e deve cogliere” – ha commentato il Presidente WEC Italia, Marco Margheri. In parallelo alla crescita di una filiera tecnologica e industriale nazionale, diventa essenziale rafforzare la consapevolezza pubblica e coinvolgere attivamente cittadini e territori, affinché innovazione e sviluppo procedano in un quadro di fiducia, trasparenza e partecipazione condivisa.
“Nei prossimi giorni arriverà in Parlamento il disegno di legge delega per il ritorno del nucleare in Italia. È quindi essenziale avviare il tema della fiducia nel nucleare, perché il percorso passerà inevitabilmente da un referendum e dovrà superare l’effetto NIMBY” – ha dichiarato Luca Squeri, Segretario della Commissione Attività Produttive alla Camera. “Negli anni ’60 il nucleare era visto positivamente anche dagli ambientalisti, per il minore impatto sul suolo rispetto ad altre fonti. Poi gli interessi petroliferi lo ostacolarono. Come ricordava Berlusconi dopo il referendum, bisogna attendere che l’opinione pubblica torni consapevole del ruolo fondamentale del nucleare. Oggi stiamo riprendendo quel cammino”.
Nel corso dell’incontro sono stati presentati i risultati della ricerca condotta da Project Tempo, organizzazione indipendente di analisi sociale e politica attiva a livello europeo. L’indagine, svolta su un campione di oltre 48.000 cittadini italiani ed europei a settembre 2025, evidenzia come il 40% degli italiani si dichiari favorevole allo sviluppo del nucleare ed il 40% siano contrari, un dato significativo e stabile in un Paese che da decenni non utilizza questa fonte nel proprio mix energetico. Secondo la ricerca, gli italiani tendono ad accettare l’energia nucleare quando ne percepiscono i benefici diretti a livello locale: aria più pulita, bollette energetiche più basse, creazione di posti di lavoro e nuovi investimenti in infrastrutture. La resistenza dell’opinione pubblica non appare dunque di natura strettamente ideologica ma anche legata a garanzie concrete e benefici tangibili per le comunità locali. Il 64% degli italiani si dichiara favorevole ai reattori modulari di piccola taglia (SMR), un livello di consenso nettamente superiore rispetto ai reattori tradizionali (47%); mentre il 56% degli intervistati immagina per il futuro un sistema energetico ibrido, fondato sulla complementarità tra rinnovabili e nucleare, come via più equilibrata verso la neutralità climatica. La ricerca sottolinea che sicurezza, sostenibilità e coerenza con gli obiettivi climatici rappresentano prerequisiti fondamentali per l’accettazione pubblica, mentre la percezione di rischi per la salute, l’ambiente e la qualità della vita permangano la barriera più forte alla piena accettazione.
Il dibattito, presentato su iniziativa e introdotto dall’Onorevole Luca Squeri e moderato dal Segretario Generale di WEC Italia Michele Vitiello, ha visto la partecipazione di Lucy Harris e Maximo Miccinilli, che hanno presentato la ricerca Project Tempo, Francesca Salvemini (MASE), Francesca Ferrazza (Eni), Daniela Gentile (Ansaldo Nucleare), Fabrizio Iaccarino (Enel), Valeria Olivieri (Edison), Luigi Di Gregorio (Università della Tuscia), Stefano Monti (Associazione Italiana Nucleare), Andrea Pillon (Avventura Urbana), Aurora Pinto (GiovaniBlu) e Monica Tommasi (Amici della Terra), Fiorella Corrado (MASE) e Marco Margheri (WEC Italia).

Riscaldamento, Istat: oltre una famiglia su cinque in Italia utilizza legna o pellet

Secondo il nuovo rapporto ISTAT sulle dotazioni energetiche delle famiglie italiane, nel 2023 il 21,9% delle famiglie italiane – più di una su cinque – ha utilizzato biomasse legnose (legna e/o pellet) per riscaldare la propria abitazione, cucinare o produrre acqua calda sanitaria. Un dato che conferma la centralità della filiera legno-energia nella produzione di energia termica rinnovabile su scala domestica e la sua diffusione capillare nel Paese, in particolare nei territori montani e nelle aree interne.
Dall’indagine emerge che il 16,0% delle famiglie italiane ha utilizzato legna da ardere nel 2023, una quota in lieve calo rispetto al 17,0% registrato nel 2021. L’uso del pellet continua invece a crescere, passando dal 7,3% delle famiglie nel 2021 al 7,8% nel 2023, quasi il doppio rispetto al 4,1% del 2013. La combinazione di legna da ardere e pellet fa sì che oltre 5 milioni di nuclei familiari scelgano oggi questa soluzione di riscaldamento rinnovabile e locale, con benefici diretti in termini di riduzione delle emissioni fossili, risparmio economico e sicurezza energetica.
L’utilizzo di legna da ardere e pellet mostra una forte correlazione con la dimensione dei Comuni e con le caratteristiche geografiche del territorio. Le biomasse legnose sono infatti una risorsa profondamente radicata nei contesti locali, soprattutto in quelli montani e rurali. I dati ISTAT indicano chiaramente che nei Comuni con meno di 10.000 abitanti, l’uso di legna da ardere raggiunge quasi un terzo delle famiglie (30,9%), con picchi del 42,7% nei piccoli centri di montagna e del 21,3% nei Comuni di collina interna. Una tendenza simile si osserva anche per il pellet, utilizzato dal 14,3% delle famiglie nei Comuni più piccoli e dal 16,2% di quelle residenti in montagna.
Al contrario, nei grandi centri urbani e nei capoluoghi di area metropolitana, l’impiego delle biomasse è residuale: appena l’1,5% delle famiglie fa uso di legna da ardere. Questo divario evidenzia non solo una diversa accessibilità alle risorse, ma anche l’adattabilità delle tecnologie a biomassa a contesti abitativi decentralizzati, dove contribuiscono in modo significativo alla sicurezza energetica, alla gestione sostenibile dei boschi e al presidio socioeconomico del territorio.
I dati ISTAT confermano che il legno e i suoi derivati restano una componente strutturale del mix energetico residenziale italiano. Dalle stufe alle nuove caldaie automatiche, le moderne tecnologie a biomassa rispondono oggi ai più severi standard ambientali e offrono una soluzione matura per contribuire alla decarbonizzazione del riscaldamento domestico, che rappresenta la principale voce di consumo del settore residenziale, responsabile di oltre un terzo del fabbisogno energetico nazionale.
“Gli ultimi dati ISTAT ci dicono che, nonostante la crescita di nuove tecnologie come le pompe di calore, la legna e il pellet restano due componenti fondamentali per l’autonomia energetica di una parte importante delle famiglie italiane – commenta Domenico Brugnoni, presidente di AIEL, Associazione Italiana Energie Agroforestali –. Per questo è fondamentale continuare a investire nella modernizzazione degli impianti, rafforzando questa filiera strategica per renderla ancora più efficiente, sostenibile e competitiva, a beneficio di tutto il Paese”.

Finanza green, Up2You: emissioni indirette chiave per accedere al credito

Non bastano più gli sforzi interni: per avere un accesso agevolato al credito e attrarre investimenti le aziende devono rendicontare anche le emissioni indirette, quelle dello Scope 3 – ossia tutte le emissioni generate lungo la catena del valore, dai fornitori ai trasporti fino agli investimenti finanziari. È questa la tendenza chiave che emerge dal nuovo rapporto del Centro Studi di Up2You, che fotografa come banche, fondi e assicurazioni stiano trasformando la sostenibilità da semplice requisito normativo a vero e proprio rating di sistema. Lo studio mostra come il settore finanziario stia diventando un attore centrale nella transizione ecologica: le banche condizionano l’accesso al credito per l’adozione di pratiche ESG, particolare attenzione viene posta, ad esempio, sulle divisioni real estate al fine di raccogliere ed elaborare i dati relativi agli impatti ambientali degli immobili controllati, i fondi d’investimento valutano l’allineamento dei portafogli agli obiettivi climatici, le assicurazioni rivedono i propri modelli per gestire l’aumento dei rischi ambientali.
Un trend che trova riscontro anche nei dati ufficiali: la Banca d’Italia ha rilevato un calo del 59% dell’intensità carbonica dei portafogli azionari e del 58% di quelli obbligazionari tra il 2020 e il 2024 (Rapporto sugli investimenti sostenibili, 2025). Sul fronte dei mercati, nel primo semestre 2025 gli strumenti ESG emessi hanno raggiunto i 373 miliardi di euro in Europa, quota ormai strutturale, pur in leggero calo rispetto al 2024 (AFME, ESG Finance Report H1 2025). Il quadro normativo europeo sta accelerando questo processo. La SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation, regolamento UE che impone agli operatori finanziari di classificare e rendicontare la sostenibilità dei prodotti) spinge fondi e gestori a distinguere tra prodotti tradizionali, ESG e a impatto. La CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive, direttiva che obbliga sempre più imprese a pubblicare dati ESG dettagliati e comparabili) estende gli obblighi di disclosure, mentre l’EBA ha introdotto una dashboard ESG che monitora indicatori come il Green Asset Ratio (l’indicatore che misura la quota di esposizioni realmente sostenibili nei portafogli bancari), che è stato pubblicato per la prima volta nei bilanci 2024 delle banche italiane (Banca d’Italia, Nota di Stabilità 2025).
Il documento del Centro Studi di Up2You raccoglie anche casi concreti, attingendo dalla propria esperienza come consulenti esperti di sostenibilità: in conformità con il Protocollo GHG e gli standard di riduzione di SBTi allineati agli Accordi di Parigi, Banca Etica ha avviato un piano di riduzione delle emissioni di portafoglio, Banco Azzoaglio ha mappato le proprie emissioni Scope 1, 2 e 3 in 20 filiali, Area Broker ha scelto strategie di decarbonizzazione allineate ai target SBTi basate su stress test climatici. “La sostenibilità non è più un vincolo, ma una condizione di accesso al credito e agli investimenti. È qui che la finanza può giocare un ruolo di traino per l’economia reale”, conclude il rapporto del Centro Studi di Up2You.” Afferma Alessandro Broglia CSO & Co-Founder di Up2You.

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