CRESCE IL PESO DELLA CINA

La Cop29 finisce con uno STALLO sull’uscita dai combustibili fossili

Secondo Andrea Ghianda del think tank di Ecco Climate, la kermesse di Baku (Azerbaigian) ha segnato una brusca frenata dal percorso di uscita dai combustibili fossili a causa dell’interventismo dei petrostati (Arabia Saudita su tutti) sul documento finale. Pochi passi anche sul percorso di mitigazione mentre per la prima volta la Cina ammette di star operando come Paese donatore nonostante figuri ancora formalmente nella lista delle nazioni in via di sviluppo (vecchia ormai di oltre trent’anni e non aggiornata)

25 Nov 2024

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Accordi al ribasso, frenate, delusioni e ore piccole. Se la Cop28 di Dubai, pur con gli stessi ingredienti, aveva portato a mettere nero su bianco l’ormai celebre espressione del transitioning away from fossil fuels per annunciare l’inizio (o la prosecuzione) dell’abbandono di gas, carbone e petrolio, la kermesse appena chiusa a Baku in Azerbaigian porta con sé dinamiche simili e risultati più magri rispetto alle attese. Doveva essere la Cop della finanza climatica, così di fatto è stato almeno leggendo i titoli del giorno dopo. “Anche se una vera cover decision non c’è stata”, precisa Andrea Ghianda del think tank climatico italiano Ecco. Altri temi come la mitigazione climatica o il fondo perdite e danni, invece, sono stati inclusi in altri documenti. “L’accordo principe è senz’altro quello dei 300 miliardi annui che verranno mobilitati fino al 2035”, spiega Ghianda a Diario Diac. L’obiettivo è poi quello di arrivare a tendere fino ai 1.300 miliardi chiesti già in partenza dai Paesi più vulnerabili per gli effetti del cambiamento climatico. “Ma anche su questo c’è delusione – dal loro punto di vista – perché chiedevano una base di partenza minima garantita di 500 miliardi anziché 300”. E, a proposito di frenate e delusioni, sabato pomeriggio si è consumato il dramma dell’uscita dalla plenaria finale da parte del gruppo degli Stati insulari e meno sviluppati (tra cui Barbados e Haiti). “Per un po’ è ventilata l’ipotesi di non arrivare a un accordo”, aggiunge Ghianda.

Anche perché, come ha scoperto il Guardian, l’Arabia Saudita è stata accusata di aver manomesso unilateralmente il documento finale, chiuso poi alle tre di notte tra sabato e domenica. “Come è emerso anche al G20, i petrostati hanno dimostrato di non voler mollare le fonti fossili”, spiega Andrea Ghianda. “Anche sul tema della mitigazione si è fatto solo un vago riferimento all’accordo di Dubai”, lasciando libera scelta agli Stati su come perseguire l’obiettivo anziché portarli a rispettare tutti i paletti.

Guardando allo scacchiere internazionale, poi, da Cop29 emerge il ruolo della Cina quale Paese donatore. Pechino ha ammesso di essere Paese donatore dal 2016 con 2,5 miliardi di finanza climatica. “Ma la lista dei Paesi in via di sviluppo non è stata toccata”, ricorda Ghianda di Ecco, spiegando che da qui in avanti bisognerà capire “quanto questa volontarietà sarà rendicontabile”. Ciò che è certo è che per arrivare agli stanziamenti annuali promessi il driver principale dovrà essere la finanza privata.

Quanto all’Italia e alla Cina, per Ecco il Piano Mattei dovrebbe rientrare nel piano TeraMed per triplicare le rinnovabili con progetti nel Mediterraneo. Ma per Ghianda “l’intervento di Meloni è stato abbastanza preoccupante” dato che ha ribadito la posizione del governo che punta a tenere in considerazione i biocarburanti, il nucleare, la cattura e lo stoccaggio di carbonio e il gas. In ogni caso, anche per la probabile uscita degli Usa dagli accordi di Parigi con Donald Trump nuovamente alla Casa Bianca da gennaio prossimo, saranno Ue e Cina a guidare le prossime fasi di diplomazia mondiale sul clima. La Cop30 si terrà a Belem, in Brasile, a dieci anni dallo storico patto del 2015 per non superare la temperatura media globale di 1,5 gradi.

Red. Diac

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