L'ARCHITETTURA VISTA DA LPP / 1
L’architettura non è solo l’esperienza di spazi e di vuoti, ma anche il coraggio di mettere in mostra figure e arie di famiglia
Con questo articolo, Luigi Prestinenza Puglisi avvia la sua rubrica settimanale su Diario DIAC. Un grazie sentito a lui per questa preziosa collaborazione ritrovata che ci aiuta a capire meglio cosa vogliamo essere (g.s.).
Quale è lo stato di salute dell’architettura italiana? Saremmo tentati di rispondere che è buono. Ci sono, infatti, numerosi studi di progettazione che realizzano edifici piacevoli, raffinati e anche sofisticati. Lavorano un po’ in quasi tutte le regioni della Penisola con risultati notevoli. Assistiamo al fiorire di opere in Puglia, in Sicilia, nel Trentino Alto Adige, nel Veneto. E poi c’è Milano, una delle capitali dell’architettura europea.
Si tratta di belle costruzioni, ma difficilmente di capolavori. Spesso gli edifici sono molto simili tra loro. Sono caratterizzati da ampie vetrate, da materiali naturali, dal disegno sicuro e raffinato dei dettagli. Alcuni parlano di taglio sartoriale. Altri di artigianalità. Pochi di poesia.
Ecco il punto. Il gioco delle forme sembra spesso ridursi a una semplice questione di stile, a una ricerca di valore aggiunto per meglio piazzare il bene sul mercato.
Il recente libro scritto a quattro mani da un appassionato architetto, Gianluca Peluffo, e da un non meno appassionato critico, Valerio Paolo Mosco, denuncia tale condizione cercando di individuare una via di uscita a partire da una rigorosa autoanalisi. Ovviamente, come rigorose possono essere le autoanalisi di un architetto e di un critico di architettura.
Lo fa a partire dal titolo: Spazi, corpi, figure.
Indica che l’ architettura non può nascere da un approccio centrato solo sugli spazi, cioè i vuoti, che ospitano i nostri corpi e le loro attività. Nella buona architettura c’è sempre, infatti, un terzo incomodo: sono le figure. Cioè l’universo di immagini che consciamente e inconsciamente ci portiamo dietro ( chi di noi non condivide il mondo di Giotto o di Piero della Francesca o non si sente coinvolto dalla metafisica leggerezza di Osvaldo Licini, dai tagli di Lucio Fontana o dai cretti di Alberto Burri?) e che ci ancorano al passato, cioè alla cultura, senza però imporci specifici regole, obblighi o indirizzi, come per esempio accade con le estetiche tradizionaliste o con il postmodern. Ognuno, infatti, custodisce il proprio patrimonio di figure che gli è peculiare e che tuttavia, come avviene con i cromosomi, condivide con gli altri: cioè quei caratteri che, riprendendo una celebre metafora del filosofo Ludwig Wittgenstein, ci accomunano e ci conferiscono un’aria di famiglia.
Da qui altre tre parole sulle quali riflettere: autorialità, eresia, genealogia.
Cominciamo dalla prima. Se osserviamo la corrente produzione di edifici di buona qualità, notiamo che si muovono sul versante di una condivisa astrazione. Rifuggono dalle figure. Cercano, in altre parole, di sottrarsi dal mondo della soggettività. E, infatti, è facile confondere un autore con un altro, anche in presenza di opere notevoli. Per esempio capire se un edificio sia di Alvisi e Kirimoto o di Labics, di Archea o Cino Zucchi, di Park Associati o di Citterio e Viel.
Forse proprio per la loro impersonalità, queste costruzioni del nuovo modernismo sono particolarmente apprezzate dalle grandi corporazioni internazionali, di cui ne rappresentano l’ethos.
Da qui la seconda parola: eresia. Che può suonare fastidiosa se non altro perché (quasi) tutti gli architetti, anche i più brillantemente conformisti, amano passarsi per ribelli e rivoluzionari. Per Gianluca Peluffo e Valerio Paolo Mosco la parola eresia però nasce da una motivazione più profonda: dal non accettare il paradigma, probabilmente di origine anglosassone, che vede la costruzione in termini di stile, efficienza, comfort, prestazioni ecologiche. Eresia vuol dire quindi riportare l’architettura alla poesia e quindi alle figure che sostanziano il nostro immaginario.
Da qui la terza parola: genealogie. Come accennavamo, le figure che ci portiamo dentro dipendono dalla nostra storia personale. Sono quindi diverse tra loro così come diverse sono le nostre esperienze. Esistono tuttavia somiglianze, arie di famiglia. Sentiamo di avere universi comuni, riferimenti simili, mondi che si completano e si intrecciano tra loro, genealogie condivise. Da qui il valore anche oggettivo e non puramente soggettivo di ciascun universo figurativo. Che però non può essere definito in astratto ma che ogni autore deve individuare e condividere per porlo alla prova. E, difatti, nel libro Spazio, corpi e figure, Gianluca Peluffo mette in mostra e discute con Mosco ciò che lega gli edifici da lui progettati con il proprio immaginario, il proprio mondo interiore. Invitando chi legge a confrontarsi, per ritrovarsi e per trasformare quella che altrimenti sarebbe una esperienza solitaria e di scarso significato in una condivisone di valori formali che, quando avviene in fase progettuale, ha ricadute sulla qualità degli edifici e di conseguenza sulla qualità urbana. È questa visione condivisa di mondo che per Peluffo crea una fratellanza. Fratellanza che nel caso specifico si riscontra nel lavoro critico compiuto con Mosco e nel lavoro professionale con progetti a più mani, per esempio con Stefano Pujatti e Beniamino Servino. Con i due, Peluffo ha disegnato una magnifica ipotesi di ampliamento per il Maxxi di Roma, una proposta carica di suggestioni formali con riferimenti a Federico Fellini e alla poetica del circo, che però non è stata apprezzata abbastanza dalla giuria che le ha preferito uno schema molto più astratto e tranquillizzante. In effetti ha ragione Peluffo: in architettura l’autorialità confina spesso con l’eresia.
Il volume, ben stampato e impaginato, comprende gli scatti di Ernesta Caviola, che ha costantemente fotografato e interpretato le architetture di Peluffo & Partners e ha collaborato alla messa a punto delle immagini. Un compito molto delicato, visto il ruolo fondamentale che le immagini hanno in questa riflessione poetica e critica. Un libro da comprare e leggere anche se in questo universo generoso di immagini a tratti ci si può perdere.
Gianluca Peluffo, Valerio Paolo Mosco, Spazio, Corpi, Figure. Peluffo & Partners, Forma Edizioni, 2024, pagg.264, euro 25,00
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