I VERI TIMORI DELLA CORTE CONTI UE
Recovery Plan, 16 Paesi rischiano di non finirlo: troppa spesa nel 2026
L’aspetto più preoccupante del Rapporto della Corte dei conti Ue sul Recovery Plan, reso pubblico nei giorni scorsi, è che ben 16 Stati membri dovranno completare l’uso dei fondi nel 2026 per una percentuale minima che va dal 30% della Spagna fino ad un massimo del 70% della Polonia. Per l’Italia questa percentuale è del 62% ma il grafico che pubblichiamo all’interno evidenza con grande chiarezza la situazione Paese per Paese.
IN SINTESI
L’aspetto che più preoccupa del Rapporto della Corte dei Conti europea sull’attuazione del Recovery Plan reso pubblico nei giorni scorsi è l’addensarsi di target e obiettivi di spesa nel 2026. Preoccupa a tal punto che il documento arriva a ipotizzare la mancata chiusura dei vari Pnrr. Questo vale per l’Italia ma anche per altri Paesi come dimostra il grafico che pubblichiamo in alto. Il Recovery Fund europeo procede a un ritmo più lento rispetto a quanto previsto: al giro di boa meno di un terzo dei fondi sono stati erogati e solo il 30% degli obiettivi sono stati raggiunti. La Corte mette in guardia: “Nei primi tre anni del Recovery fund, istituito dall’Ue con una dotazione di 724 miliardi di euro, si sono osservati ritardi nell’erogazione dei fondi e nell’attuazione dei progetti. L’assorbimento e il completamento delle misure nella seconda metà del periodo di attuazione sono a rischio”.
Il timore, insomma, è che si accumulino ritardi e non si completino le misure. Si tratta, certo, di un avvertimento generalizzato, ma è pur sempre un campanello d’allarme per la prossima Commissione e in particolare per il futuro commissario che avrà la responsabilità del programma europeo (con ogni probabilità sarà l’italiano Raffaele Fitto). Se verrà confermato dal Parlamento Ue, e se verranno confermate le deleghe alle quali ambisce, l’attuale ministro si troverà, dunque, per le mani una bella gatta da pelare: fare in modo che i Paesi intensifichino l’attuazione delle riforme e degli investimenti e accelerino sul fronte dell’assorbimento delle risorse. Dal grafico appare evidente che, oltre all’Italia, Paesi come la Polonia, l’Ungheria, il Belgio, l’Austria, la Lettonia, avranno un 2026 molto impegnativo in termini di completamento degli investimenti e sul filo di lana dell’obiettivo finale.
A fine 2023 erogati ai 15 Paesi Ue ‘solo’ 213 miliardi
Secondo l’analisi della Corte dei Conti, alle fine del 2023 la Commissione aveva erogato in totale circa 213 miliardi (anche se 56,5 miliardi erano stati versati come pre-finanziamento, vale a dire in anticipo e senza condizioni) sui 228 richiesti dagli Stati. Ma sulla base degli accordi operativi, i Paesi avrebbero dovuto chiedere 273 miliardi. Non è detto poi che questi soldi siano arrivati ai destinatari finali, fra cui imprese private, società pubbliche di servizi energetici e scuole. “Di fatto, quasi la metà dei fondi del dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf) erogati ai 15 Stati membri che hanno fornito le necessarie informazioni al riguardo non aveva ancora raggiunto i destinatari finali”, ha dichiarato la responsabile dell’audit Ivana Maletic.
A fine 2023 le richieste di pagamento avevano riguardato meno del 30 % degli oltre 6mila traguardi e obiettivi (cioè gli indicatori dello stato di avanzamento) totali; ne consegue che sono tanti (forse i più difficili) quelli ancora da raggiungere.
Inoltre, quasi tutti i Paesi membri, prosegue la Corte, hanno presentato in ritardo le richieste di pagamento alla Commissione per una serie di motivi che vanno dall’inflazione alla capacità amministrativa insufficiente, passando per l’incertezza sulla normativa ambientale. Alla fine del 2023, dicono i giudici, è stato presentato il 70% delle richieste previste per un ammontare inferiore alle attese per ben il 16%. La Commissione e gli Stati membri hanno intrapreso azioni per agevolare l’assorbimento, specie nel 2023, ma “è prematuro – sottolinea la Corte – verificarne l’eventuale impatto”.
Italia ha ricevuto il 46% delle risorse a fine 2023
I fondi per alimentare i Rrf rappresentano il più grande investimento mai messo in campo dall’Unione europea, che solo per l’Italia vale un totale di circa 235 miliardi di euro: un vero e proprio Piano Marshall, insomma, che però avanza a passo di lumaca, come conferma adesso la Corte Ue.
Nel caso particolare dell’Italia, la Corte documenta che a fronte del 46% dei fondi erogati al nostro Paese (dietro solo al 48% del Portogallo e al 59% della Francia), la quota dei traguardi e degli obiettivi raggiunti in modo soddisfacente si ferma appena al 34%, ovvero a un terzo.
Corte Conti, situazione in Ue a fine 2023
Non solo: l’analisi della Corte mostra che 16 Stati membri prevedono di completare i traguardi e gli obiettivi relativi ad almeno il 30% dei propri investimenti solo nel 2026 con valori che vanno dal 30% nel caso della Spagna al 70% in quello della Polonia.
Per l’Italia, notano i controllori europei, nel 2026 andranno “finalizzati” il 62% degli investimenti. Negli ultimi 8 mesi all’agosto 2026 saranno poi il 28% le misure da realizzare (target e milestone), legate al 19% dei fondi da ricevere, con un divario dato sostanzialmente da una concentrazione delle riforme nella parte iniziale del piano. È dunque lecito domandarsi come potrà essere possibile per il nostro Paese realizzare il 62% degli investimenti in soli 8 mesi, ovvero quelli disponibili – da gennaio ad agosto – nel 2026. Il timore più grande è, infatti, è quello di un ingorgo che renderà i ritardi non recuperabili alla fine del dispositivo.
Nel 2026 sono concentrati 170 obiettivi che “riguardano misure del piano molto importanti e non poteva essere diversamente visto che il piano è stato approvato a luglio 2021 – hanno spiegato fonti qualificate – La spesa pertanto non è concentrata nel 2026 ma sarà articolata nei prossimi anni in quanto i lavori si pagano a stato di avanzamento. Pertanto non è la spesa che per il 62% è concentrata nel 2026 ma gli obiettivi da raggiungere a giugno 2026 si riferiscono al 62% delle misure Pnrr”.
Le raccomandazioni dei giudici contabili
Alla luce dei rischi sulla non realizzazione dei piani nazionali di ripresa, la raccomandazione della Corte dei Conti dell’Ue è che la Commissione individui le misure che rischiano maggiormente di non essere completate entro il 31 agosto 2026. All’esecutivo comunitario si chiede di monitorare in modo sistematico tali misure e concordare azioni per superare i ritardi. E, infine, attenuare il rischio che siano finanziate misure non completate.
Un verdetto, questo dei giudici contabili che arriva proprio nei giorni in cui a Bruxelles si torna a parlare di una possibile riforma della politica di Coesione, da modellare proprio sullo schema del Pnrr, con l’erogazione dei fondi vincolata alla realizzazione delle riforme.
In realtà il tema è nell’aria già da un po’, ma ora che il confronto sul budget sta per prendere il via si prevede “uno dei negoziati politici più complessi e tesi dell’Ue – ha scritto il Financial Times – potenzialmente con un forte disaccordo tra i 27 Stati membri dell’Ue”. Guidato prevedibilmente soprattutto dai destinatari netti dei fondi di Coesione come Ungheria, Slovacchia e Paesi Baltici.
Una riforma che potrebbe, però, scontrarsi contro gli stessi ostacoli del Recovery Fund, con il rischio che i Paesi beneficiari (e l’Italia è tra questi) finiscano per perdere i soldi. Anche questo dossier potrebbe finire sull’eventuale scrivania di Fitto.