IL DECRETO LEGGE ANTICIPI

Rfi incassa altri 1,8 mld e sale a 5,5 da qui al 2028: ma sono solo manutenzioni e sicurezza. Il nodo cassa

La società guidata da Aldo Isi (in foto) è fra i pochi soggetti a vantare incrementi di competenza da qui al 2028, ma con tre limiti: non ci sono fondi per nuove opere, stanziamenti esigui nel 2026, criticità di cassa, anche per gli anticipi Pnrr che comporta una spesa di 10 miliardi annui. C’è anche il nodo costo materiali senza copertura. Nel Dl 1,4 miliardi per il 2025, altri 400 milioni di autorizzazioni di spesa.

04 Nov 2025 di Giorgio Santilli

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Rfi incassa altri 1,8 mld e sale a 5,5 da qui al 2028: ma sono solo manutenzioni e sicurezza. Il nodo cassa

A guardare solo i numeri, RFI dovrebbe essere considerata uno dei pochi soggetti del settore investimenti pubblici che non perde fondi per i tagli della manovra, ma li accresce in misura consistente. Al disegno di legge di bilancio – che prevede risorse aggiuntive per 90 milioni nel 2026, 1.660 milioni nel 2027 e 1.910 milioni nel 2028 per un totale nel triennio di 3.660 milioni aggiuntivi di competenza che è oltre la metà dei 6.832 milioni di rifinanziamenti destinati alle opere pubbliche calcolati dall’Ance – si aggiungono ora gli 1,8 miliardi assegnati dal decreto legge Anticipi, andato in Gazzetta ufficiale il 30 ottobre e ora all’esame della Camera dei deputati: 1,4 miliardi vanno alle spese di manutenzione del contratto di programma  (servizi) competenza 2025, altri 400 milioni sono anticipazioni di spesa, sempre per manutenzione straordinaria. Questa è la replica di una manovra tradizionale di fine anno che però, in genere, serve per liberare risorse per la manovra e la legge di bilancio: si aggiungono risorse per Rfi nell’anno in corso, si tolgono per l’anno successivo per destinarle ad altre esigenze della manovra. Stavolta, però, c’è l’incremento 2025 di 1,4 che non è un anticipo ma tornerà comunque utile anche per i pagamenti 2026. Non ci sono i tagli sull’anno prossimo. Quindi, risorse aggiuntive. A confermare che per la società guidata da Aldo Isi, principale soggetto attuatore del Pnrr, anche il Mef ha un occhio di riguardo.

Tutto bene, dunque? Niente affatto. Ci sono almeno quattro versanti da tenere sotto i riflettori: tre limiti di questi stessi stanziamenti e un’incognita.

Tre limiti per gli stanziamenti: nuove opere, cassa, 2026

Il primo limite è che tutti gli stanziamenti sono destinati alle manutenzioni straordinarie. Le Fs la prendono bene ed evidenziano il bicchiere mezzo pieno. “È una scelta che mette al centro sicurezza e affidabilità della rete”, dicono a Piazzale della Croce Rossa. Una priorità sacrosanta, non c’è che dire. Il bicchiere mezzo vuoto è però quello delle nuove opere e dei completamenti. Il piano industriale dell’ad Donnarumma, che prevede oltre 100 miliardi di investimenti, di cui 62 di opere infrastrutturali, è in buona parte finanziato, per un’altra parte si finanzierà anche sul mercato, se andrà in porto l’operazione “modello RAB”, ma qualche contributo aggiuntivo sul contratto di programma in corso dovrebbe pur essere previsto. Tutto fermo, invece. Molte grandi opere, dal  Terzo Valico alla Brescia-Verona-Padova, dal sottoattraversamento di Firenze alla Napoli-Bari sono interamente finanziate, ma altre opere strategiche, come la Salerno-Reggio Calabria, manca di poco meno di una decina di miliardi. Insomma, il dopo-Pnrr, di cui abbiamo parlato per mesi, comincia da zero.

Il secondo limite di questa manovra apparentemente favorevole a Rfi è che stiamo parlando di stanziamenti di competenza, non di cassa. Con una spesa di investimenti Pnrr di dieci miliardi nel 2025 e altrettanti nel 2026, il supporto degli anticipi di cassa della stessa RFI è decisivo per garantire continuità alla macchina degli appalti, in attesa che, fra anticipazioni larghe e target da raggiungere, arrivi al traguardo il complesso processo di rendicontazione, opera per opera. La situazione non è proprio tranquilla, come si vorrebbe far credere. E non è un caso che le imprese edili ferroviarie di Anceferr, nella loro assemblea della settimana scorsa, abbiano lanciato l’allarme chiedendo certezze sui tempi di pagamento. Isi ha risposto tranquillizando, stiamo pagando, ha detto, ma il tema c’è.

Il terzo limite è lo spostamento in avanti della parte più consistente dei finanziamenti: la legge di bilancio prevede 3.570 milioni nel biennio 2027-2028 e solo 90 milioni nel 2026. La grande fetta di somme sono inutilizzabili il prossimo anno in termini di messa in moto di opere, gare di appalto. Torniamo sempre allo stesso punto: nel 2026 c’è solo il Pnrr e qualche manutenzione per cui si è corsi ai ripari proprio con il decreto legge Anticipi.

Che fine ha fatto la sesta revisione del Pnrr?

Pnrr, dunque. E qui scatta un altro tabù. La linea che ha contraddistinto tutta l’attuazione del piano europeo è stata sempre, con il governo Draghi prima e soprattutto con il governo Meloni, di negare qualunque difficoltà, nascondere sotto il tappeto, salvo dover fare sei revisioni del piano. E anche l’ultima revisione sta ormai sfiorando il paradosso: annunciata pomposamente in Parlamento il 1° ottobre, dopo mesi di rinvii, scritto nei documenti che la proposta andava consegnata entro il termine perentorio dell’8 ottobre a Bruxelles, nessuno si è degnato al 3 novembre di fare due righe di comunicato per dire che la proposta di sesta e definitiva revisione è stata trasmessa alla commissione. Delle due l’una: o non è partita ancora o è partita in gran segreto e – come successo con la quinta, presentata lo scorso marzo – si conoscerà solo a cose fatte, cioè ad approvazione della commissione avvenuta. È evidente che la prima ipotesi è del tutto improbabile, significherebbe guai molto seri, e che la seconda è l’ipotesi più realistica, ancora una volta nella totale assenza di trasparenza.

La trappola degli extracosti

Ma questa è un’altra storia. Torniamo, invece, a Rfi. Secondo la logica consolidata, la versione ufficiale è che le opere Pnrr stanno procedendo al meglio e che non ci sono problemi. Il bisogno di dire che va tutto bene porta a una clamorosa sottovalutazione del problema della copertura degli extracosti per il “caro materiali” per cui il decreto Anticipi e la legge di bilancio non dispongono un euro. Nelle stime dell’Ance ci sono 2,5 miliardi di spese già fatte e altri due miliardi di cosrti da coprire nel 2026. I quadri economici delle opere in corso, anche e soprattutto quelle del Pnrr, che risalgono in molti casi addiritttura a prima del 2019, sono piene di buchi e di costi non coperti. Si fa finta che non sia così e nessuno spiega come si risolverà il problema che però si presenterà a breve. Rfi farà fronte con proprie risorse? Chiederà finalmente il rifinanziamento del decreto Aiuti, come sta facendo l’Ance da mesi? Rinuncerà ad avviare qualche nuovo lotto, varando quella riprogrammazione che già era consigliata dalla scorsa legge di bilancio? Farà finta di niente e a un certo punto andrà a sbattere contro il muro?

Al quesito non c’è risposta. Anche se il ministero delle Infrastrutture, che per mesi ha avuto lo stesso atteggiamento di voltarsi dall’altra parte, nell’ultimo question time ha dovuto ammettere che la questione è drammatica e che si stanno cercando soluzioni con il Mef. Peccato che il Mef, a oggi, non abbia trovato nessuna soluzione né in legge di bilancio né nel decreto Anticipi.

 

, un tema che molti al governo stanno sottovalutando e che la stessa Rfi non tratta come una priorità, almeno in pubblico.

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