L'ARCHITETTURA VISTA DA LPP / 25
Il minimalismo dello studio italo-francese LAN contro ogni architettura esagerata ed esibizionista, anche nell’ampliamento del MAXXI
In Italia si discute da anni se sia necessaria o meno una legge per l’architettura. In Francia la legge c’è, funziona e ha prodotto eccellenti risultati. Da decenni lo Stato francese ha investito in buona edilizia, non solo finanziando progetti iconici ma costruendo concorsi trasparenti, elaborando criteri di qualità e promuovendo una committenza pubblica che considera l’architettura un bene collettivo e non un costo. Da qui la conseguenza che diversi architetti italiani hanno trovato in Francia ciò che in patria veniva negato: opportunità, riconoscimento, continuità professionale.

Luigi Prestinenza Puglisi
IN SINTESI
Renzo Piano è l’esempio più noto. Nel 1971 vince con Gianfranco Franchini e Richard Rogers il concorso per il Centre Pompidou, e da lì prende avvio la sua fama internazionale. Vi è poi Massimiliano Fuksas. Nel 1982, la sua Palestra di Paliano, pressoché ignorata dalle riviste italiane, è pubblicata con grande risalto su L’Architecture d’Aujourd’hui. Nello stesso anno Patrice Goulet lo seleziona per la Biennale di Parigi, accanto a William Alsop, Jean Nouvel, Rem Koolhaas, Toyo Ito.
Sempre negli anni Ottanta Gae Aulenti riceve l’incarico per trasformare la Gare d’Orsay in uno dei musei più famosi al mondo. Questa continuità di successi racconta una verità semplice, ma spesso ignorata: per emergere a livello internazionale, molti architetti italiani hanno dovuto attraversare le Alpi.
La Legge per l’Architettura francese risale al 1977, ed è la prima al mondo a dichiarare l’architettura “attività di pubblica utilità”. Significa che progettare città e edifici è un diritto dei cittadini e un dovere dello Stato. Introduce i concorsi obbligatori per le opere pubbliche, mette il progetto al centro della trasformazione urbana, punta sulla qualità estetica e simbolica degli edifici e sul ruolo dell’architetto come figura chiave nelle politiche urbane. Vi è, poi, la più recente Legge n. 2016/925 sulla libertà di creazione, l’architettura e il patrimonio.
Il fatto che Fuksas e Piano abbiano mantenuto studi a Parigi ha innescato un effetto a catena. Giovani progettisti italiani che collaboravano con loro hanno deciso di trasferirsi stabilmente a Parigi. È il caso, per esempio di Giovanni Bellaviti. Lavora a lungo con Fuksas a Parigi e lì avvia la propria attività costituendo lo studio B+C Architectes.
O di architetti che, pur senza passare nei loro studi, sono attratti dalle occasioni offerte dal sistema. Come Renato Filippini, che dal 2003 vive e lavora a Parigi e deve alle gare pubbliche – soprattutto in ambito scolastico e dei mercati coperti – la gran parte delle sue realizzazioni.
Oppure di Francesco Iaccarino Idelson, napoletano, laureato nel 1997 e presto trasferitosi nella capitale francese. Nel 2009 fonda con Benoît Imbert l’agenzia Transform, intesa come ricerca che supera la mera forma (“trans-form”) e come attività di trasformazione più che di creazione ex novo. Nel 2022 lascia il socio e fonda IDELSON Architecture, con tre obiettivi dichiarati: reinterpretare l’esistente come patrimonio culturale e materiale; ideare architetture solide, non legate al fluire transitorio delle mode; pensarle come organismi viventi, capaci di interagire con il contesto nel tempo.
Tra i più brillanti progettisti italiani che operano in Francia è Umberto Napolitano. Nel 2002, insieme a Benoît Jallon, fonda LAN – Local Architecture Network. La sigla evoca una rete di connessioni, un laboratorio interdisciplinare che affronta l’architettura come campo di esplorazione aperto. E, difatti, LAN nasce con l’idea ambiziosa di superare le barriere tra discipline, di osservare i fenomeni urbani e sociali con strumenti più ampi del semplice progetto edilizio.
Per LAN ogni progetto è una occasione per misurarsi con i temi contemporanei: il risparmio energetico, i nuovi modi dell’abitare, la densificazione urbana.
Ma, a differenza di quanto fanno per esempio gli studi di progettazione olandesi che lavorano su tematiche simili perseguendo risultati formali eclatanti, LAN lo fa con una asciuttezza quasi minimalista. Niente effetti speciali, niente retorica “verde” di facciata, niente contorcimenti linguistici.
Il loro progetto di ampliamento del museo MAXXI di Roma, vinto con un concorso internazionale all’interno di un gruppo multidisciplinare e la cui gara d’appalto è stata bandita il 17 settembre scorso, è emblematico. L’edificio appare misurato, spartano. Quasi banale rispetto ai progetti presentati dai numerosi altri concorrenti. Eppure all’ultimo piano introduce uno spazio che non è un semplice tetto giardino, ma una “stanza verde”, un prolungamento abitabile e mutevole del museo. Un manifesto, insomma, per una nuova modernità ecologicamente consapevole contro l’architettura esagerata ed esibizionista.
Una voluta normalità che emerge anche nel recente restauro del Grand Palais a Parigi. Dove LAN ha perseguito una utile rifunzionalizzazione dell’edificio per trasformarlo in una macchina museale moderna, aperta a molteplici attività. Ed emerge anche nel Servizio dipartimentale antincendio e di soccorso di Rennes, una infrastruttura apparentemente tecnica che diventa esercizio di qualità urbana: segue il fiume per 180 metri, contiene l’impatto visivo di una così corposo cubatura, dialoga con l’architettura istituzionale della città e segna l’ingresso come un portale simbolico.
Non manca nella produzione di LAN un certo snobismo formale. Ma, in un’epoca in cui molti studi cavalcano l’“ultra verde” – fino a trasformare la sostenibilità in spettacolo – LAN ha preferito sin dalla sua formazione la via più sobria delle configurazioni architettoniche chiare e ben definite. Ciò che conta è la coerenza della ricerca. Una architettura che non rinuncia alla forma, ma la intende come esito di un processo.
I riconoscimenti sono arrivati presto: nel 2011 il LEAF Awards, nel 2012 il Premio Internazionale per l’Architettura Sostenibile Fassa Bortolo, nel 2013 il BigMat France Awards, nel 2018 Benoît Jallon e Umberto Napolitano sono nominati Chevaliers de l’Ordre des Arts et Lettres.
Merito, ovviamente di LAN, ma anche di un una politica culturale che genera occasioni per far crescere gli studi professionali più innovativi. In questo senso LAN rappresenta bene una nuova generazione “franco-italiana”: progettisti che mantengono un legame critico con la cultura italiana ma che usano la Francia come piattaforma per sperimentare.
Per fare innovazione non basta, infatti, solo il talento: serve una committenza competente, regole chiare, concorsi trasparenti. La Francia l’ha capito, l’Italia arranca, salvo qualche eccezione come appare il concorso dell’ampliamento del MAXXI del quale abbiamo appena parlato. E così, da mezzo secolo, questa fuga di energie creative continua e chi vuole misurarsi davvero con la contemporaneità continua ad attraversare il confine.
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