L'ARCHITETTURA VISTA DA LPP / 23
L’Albero dell’Architettura: l’opera monumentale di Maurizio Oddo aiuta ad andare oltre le mode e le banalizzazioni del rapporto fra verde ed edificio
Secondo lo scienziato, architetto e inventore Richard Buckminster Fuller, la moderna coscienza ecologica nasce nel 1969 con la missione Apollo 11 che manda per la prima volta l’uomo nello spazio. Da quel nuovo punto di vista ci accorgiamo infatti facilmente che la Terra è un frammento di universo limitato e fragile, una navicella spaziale che, mal guidata, potrebbe andare alla deriva.

Luigi Prestinenza Puglisi
In realtà la moderna coscienza ecologica nel 1969 ha già diversi anni di vita. È almeno dalla fine degli anni Cinquanta che ci si interroga sui portati negativi del boom economico che è seguito al dopoguerra. Che ci si lamenta del traffico, dello smog, dei nuovi quartieri poco vivibili e della progressiva artificializzazione del territorio.
Negli anni Sessanta l’ecologia, oltre a essere un tema scottante da affrontare scientificamente, è già divenuta un luogo comune sul quale scrivere canzoni. Nel 1966, Adriano Celentano denuncia i mali della crescente cementificazione con Il ragazzo della Via Gluck che riesce talmente a toccare la sensibilità di tutti, gente comune e intellettuali, da diventare un classico. Tanto che sono sicuro che chi mi sta leggendo ricorda le parole: “la dove c’era l’erba ora c’è una città”. E tanto che l’architetto Stefano Boeri, a distanza di oltre cinquanta anni, quando parlerà del suo Bosco Verticale, evocherà proprio Celentano e questa canzone.
Riscoprire la natura, andare contro la distruzione e la cementificazione del territorio: su questa linea si muovono, sempre negli anni Sessanta, innumerevoli gruppi Radical. La loro idea è rendere l’architettura inutile, eliminando la necessità di usare mattoni e cemento. Riscoprendo modalità di uso del territorio più leggere, mobili, flessibili. Lo stesso Buckminster Fuller, che è visto dagli hippies quasi come un guru, progetta una immensa cupola geodetica per proteggere le città dagli eventi atmosferici e dalle mutazioni climatiche, per favorire la dissoluzione dei palazzi tradizionali e creare nuovi rapporti di prossimità con la natura.
Anche il design degli oggetti fa la sua parte. Nel 1971, per esempio, Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso progettano Pratone. Basta con i divani, da adesso ci si relaziona con lo spazio in modo più naturale, sdraiandosi come sopra un prato, anche se è di gommapiuma e della natura ricorda solo le forme.
Si chiede al verde, infine, di svolgere un ruolo crescente. Emilio Ambasz inventa edifici coperti di giardini, che descrive come “il verde sul grigio”. E, sulla sua scia, numerosi progettisti cominciano a pensare che le piante possano essere molto di più che un semplice abbellimento urbano.
Gli alberi, quindi, come antitesi al vecchio modo di costruire. Il passo logico successivo lo compie il collettivo olandese MVRDV con il padiglione all’expo di Hannover del 2000. L’edificio utilizza infatti gli alberi come un qualsiasi materiale da costruzione, sperimentandoli in tutte le loro potenzialità, anche a fini ambientali. Chi l’ha detto infatti che natura e architettura siano antitetici e non possano lavorare insieme?
Dal 2000 inizia quello che i custodi di una certa ortodossia architettonica definiscono con malcelato disprezzo il boom della verdura. Non c’è edificio che non abbia balconi straripanti di verde o progetto che possa fare a meno di un tetto giardino (e, se non ci credete, guardate i render di tutti i recenti concorsi di architettura). Il modello che sicuramente ha più successo è il Bosco Verticale, per molti motivi tra i quali il principale è che la natura con questo edificio diventa spettacolo.
Come è possibile che sia successo tutto questo? Quali sono state le linee evolutive e involutive del fenomeno? In che modo oggi la natura può esserci alleata contro la cementificazione del territorio? Come adoperano il verde i grandi architetti di oggi?
A questo punto, entra in campo Maurizio Oddo.
Oddo, siciliano e professore all’università Kore di Enna, è uno studioso preparato e serissimo. Con una spiccata propensione per la sinossi cioè l’esposizione sintetica e organizzata di una materia. E, difatti, è autore di numerosi libri che classificano e analizzano in dettaglio le opere di rilevanti architetti e i temi della progettazione ed è estensore di una guida all’architettura contemporanea in Sicilia, un’opera monumentale di oltre 1000 pagine che ha rappresentato il primo dettagliato censimento dell’edilizia contemporanea nell’isola.
Obiettivo di Oddo è capire, e quindi evidenziare, i significati che nel corso della storia antica e recente sono stati attribuiti al verde, in che modo gli alberi sono entrati dentro gli edifici, quale è l’immaginario che il tema stimola, per esempio nei disegni degli architetti, e infine cosa dicono i progettisti quando ne scrivono in prima persona. Per compiere questa operazione, che giustamente è stata definita da Cherubino Gambardella, monumentale, Oddo ha selezionato 200 progetti, ridisegnandoli con la stessa grafica e nella stessa scala, in modo da renderli più facilmente confrontabili.
Aggiunte tutte le altre cose (testi teorici anche storicamente impegnativi, disegni, contributi esterni, apparati) ne è venuto fuori un volume di 868 pagine densamente scritte e illustrate.
Che ci incuriosisce a partire dal titolo, L’albero dell’architettura. La mia ipotesi è che il titolo voglia ricordare l’albero del bene e del male. Cioè una pianta attraverso la quale si possono compiere anche guai giganteschi. L’albero può essere, infatti, una chiave per meglio comprendere l’architettura, come lo è stato nel passato con le teorie che volevano vedere i templi in pietra e gli ordini architettonici discendere direttamente dalle capanne in legno. O anche per tradirla o banalizzarla, come succede con sempre maggior frequenza in tempi recenti.
Pur attento alle mode, il libro di Oddo cerca di andare oltre. Possiamo anzi vederlo come uno strumento utile per capire i classici e cioè come i grandi architetti del passato, da Le Corbusier a Alvar Aalto, da Frank Lloyd Wright a Schindler, si siano comportati. E ovviamente come si stanno comportando quelli più recenti: da Rem Koolhaas a Kazuyo Sejima.
È un manuale che fa piacere avere in libreria ed è un bel libro ben stampato e illustrato. Pesando oltre cinque chili, non può però essere portato a letto e va consultato appoggiandolo su una solida scrivania.
Maurizio Oddo, L’Albero dell’Architettura, LetteraVentidue, Siracusa 2024, pagg.868, euro 69
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