LE MOZIONI OGGI IN AULA

Pniec: maggioranza ancora a difesa dei gas, da Pd-M5s-Avs no al nucleare

Forte richiamo dai partiti di governo anche ai progetti di cattura e stoccaggio del carbonio, al monitoraggio delle tecnologie provenienti da fuori l’Ue, all’idroelettrico. Chiesti nuovi approfondimenti sulla sostenibilità degli oneri per la riqualificazione energetica degli edifici residenziali. Dal partito di Schlein, invece, ok alla direttiva Case green

25 Giu 2024 di Mauro Giansante

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Mancano pochi giorni alla deadline per la consegna del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, oggi al terzo punto dell’ordine del giorno della Camera sono previste le tre mozioni presentate nei giorni scorsi dai partiti. Primi a farlo, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra. Poi i partiti al governo, infine il Pd. Le differenze di fondo tra la maggioranza e le altre forze politiche rimangono legate al ruolo del, anzi dei, gas e all’approccio generale verso la transizione energetica. Per tutti va fatta, d’altronde “ce lo chiede l’Europa”, ma da destra il pressing è sui costi e la fattibilità industriale della svolta verde. Massimo scetticismo sulle scadenze troppo stringenti imposte da Bruxelles, con il lavoro combinato di Ursula von der Leyen e Frans Timmermans.

Come arrivare al 2030 e al 2050 secondo i partiti

Ben inteso, il percorso tracciato dal Pniec e i pilastri sul quale si basa non vengono ignorati da alcuna forza politica. I negazionisti climatici, per fortuna, non abitano da queste parti. Anche se in Italia convivono tantissime posizioni sulla transizione verde. Per i partiti di governo, lo sappiamo e lo leggiamo anche nella mozione Pniec che sbarca oggi alla Camera e che ha come primo firmatario Luca Squeri (Fi), si fa “sulla base del principio della neutralità tecnologica”, sì con “l’apporto di tutte le fonti rinnovabili, sia termiche che non”, ma sempre “tenendo conto della necessità di valorizzare la filiera produttiva nazionale”. I vantaggi della svolta green, e questo è un motto sempre ribadito dal centrodestra e la destra, devono essere sì ambientali ma anche sociali (posizione condivisa con le opposizioni) e soprattutto economici. Perché la transizione è soprattutto industriale, imprenditoriale. Per compiere questi passaggi fino al 2030, Fdi-Fi-Lega vogliono una pianificazione e un monitoraggio continui, non solo “ex ante” ma anche “in itinere”. E poi, appunto, non smantellare per nessuna ragione al mondo “i tavoli di approfondimento” su vari settori, dal civile ai trasporti e ancora “sulle tematiche socio-economiche”.

Per il Pd, la cui mozione ha come primo firmatario Vinicio Peluffo, occorre “sostenere l’uscita ordinata da tutte le fonti fossili – carbone, petrolio e gas – definendo con trasparenza il fabbisogno complessivo di gas per pianificare la curva della sua riduzione, coerente con l’impegno di abbattere le emissioni del 55 per cento al 2030 e di raggiungere la neutralità climatica al 2050”. Senza se e senza ma. Così come occorre “identificare le politiche settoriali prioritarie, sulla base di una valutazione esplicita degli effetti finora raggiunti e degli obiettivi strategici che si intendono perseguire, indicando, per ciascuna misura, accanto all’efficacia nella riduzione delle emissioni o nella diffusione delle rinnovabili, il fabbisogno finanziario necessario e come questo viene soddisfatto, nonché gli impatti socioeconomici attesi, almeno in termini di costi e benefici”. Per il monitoraggio costante dell’attuazione del Piano, invece, vengono chiamati in causa Parlamento e Commissioni prevedendo una relazione periodica in Aula.

Avs e M5s, le cui proposte sul Pniec portano come prima firma Ilaria Fontana e Angelo Bonelli, puntano ad adempiere alle richieste brussellesi al 2030 e al 2050. Puntando, per esempio, “ad adottare iniziative volte a prevedere l’applicazione di una specifica fiscalità premiante associata anche ad alcuni strumenti già vigenti, laddove essi finanzino investimenti in settori e/o progetti finalizzati alla transizione” (Avs). Per i pentastellati, altrettanto, la decarbonizzazione dev’essere integrale e avvenire “con strategie di finanziamento specifiche per la coerenza complessiva della spesa pubblica e della fiscalità rispetto agli obiettivi”. Assegnando a “Cassa depositi e prestiti, Sace e Invitalia” il “ruolo di banche del clima”.

Le differenze tra le proposte nei vari settori, risorse e tecnologie

Guardando ai vari settori, dalla maggioranza il focus viene posto sì sulle rinnovabili e sulla mobilità sostenibile. Ma più di tutto, sul continuo ricorso ai gas, verdi e non; sulla cattura e stoccaggio di carbonio; il geotermico e dulcis in fundo il nucleare. Avviando una strategia “in linea con le raccomandazioni dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, di una Agenzia con il compito di valutare lo stato delle infrastrutture di base necessarie per avviare un programma”. Ridurre, poi, la dipendenza tecnologica extra-Ue è un altro passaggio della mozione Fdi-Fi-Lega. Il che cozza con una forte spinta sulle rinnovabili, visto il dominio cinese sulle componenti che servono per realizzare gli impianti. Meglio, allora, “sfruttare tutto il ventaglio delle tecnologie termiche, tenendo conto delle specificità nazionali”.

Idroelettrico, riqualificazione energetica edilizia, elettrificazione dei consumi, dei trasporti, uscita da carbone-petrolio-gas sono le vie forti della transizione al 2030 per il Pd. Nella cui mozione, così come in quella M5s, manca ogni riferimento al nucleare. Per Avs, bisogna “abbandonare i piani di sviluppo di nuove infrastrutture di gas, considerati non coerenti con una rapida e necessaria decarbonizzazione, e conseguentemente a garantire che nell’aggiornamento del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima si abbandonino tutti i piani di sviluppo relativi all’implementazione di nuove infrastrutture gas, ripensando le politiche volte ad assegnare al nostro Paese un ruolo di hub del gas e conseguentemente a prevedere uno stop ai terminali di rigassificazione”. E poi, “escludere qualsiasi prospettiva di ritorno al nucleare da fissione, considerati gli insostenibili costi ambientali, economici e sociali”. Sui trasporti, si punta ad arrivare a “una mobilità equa, inclusiva e sostenibile, a conseguire entro il 2035 l’obiettivo di nove chilometri per milione di abitanti per le reti metropolitane, di venti chilometri per milione di abitanti per le reti ferroviarie suburbane e di dieci chilometri per milione di abitanti per le reti tramviarie”. Nella mozione si cita la Nature restoration law, approvata pochi giorni fa, va poi percorsa la “riduzione e l’uso sostenibile dei pesticidi”, azzerando il consumo dei suoli, rigenerandoli.

Lo stato attuale del Pniec, verso il 30 giugno

In occasione della presentazione della mozione entastellata, Andrea Casu del Pd attaccò la maggioranza e disse – era il 10 giugno – che “il governo Meloni, invece di portare avanti una riforma che sta già spaccando l’Italia e indebolirà ulteriormente nel governo del territorio la capacità nazionale di affrontare scelte strategiche fondamentali, dovrebbe subito accogliere il nostro invito a correggere il nuovo Pniec italiano che è stato elaborato senza trasparenza e coinvolgimento del Parlamento. La Commissione Europea ha già giudicato il nostro contributo alla neutralità climatica insufficiente, debole e privo di obiettivi innovativi. Un Piano miope che continua a scaricare sui più deboli e i più fragili i costi della crisi climatica legato alla vecchia visione dell’Italia come hub del gas, anziché motore delle fonti rinnovabili. L’Ue ha inoltre rilevato che non raggiungeremo gli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030”.

La rincorsa sulla tabella di marcia di giugno del Mase continua, per il ministro Pichetto Fratin. Le misure sulle aree idonee e gli incentivi agli impianti rinnovabili sono arrivate. Si attende, ora, il testo unico sulle semplificazioni degli iter autorizzativi dei parchi elici e fotovoltaici. Nel mentre, continua la discussione (ne parliamo nell’articolo qui accanto, in prima pagina) sul decreto agricoltura per i pannelli solari da installare nelle aree abbandonate ma anche – non secondo la linea Lollobrigida-Coldiretti – sui terreni agricoli. Forza Italia e Italia Viva, oltre ai Cinque Stelle e il Pd, hanno presentato tante proposte per provare a smorzare il divieto imposto dal Masaf. Le milestones per la sesta rata Pnrr, bene così, dovrebbero esser state raggiunte. Per il Pniec, invece, sarà vera bagarre. Recentemente, Massimo Milani – segretario della commissione Ambiente della Camera – ha detto che il termine del 30 giugno non è poi così vincolante e che serve che l’Ue si faccia carico dei costi della transizione. Dal Mase, secondo quanto raccolto dal Diac, si proverà a rispettare la scadenza. Detto che anche altri Paesi probabilmente consegneranno in ritardo il proprio Piano clima. Piuttosto, il vero nodo sarà scoprire i contenuti aggiornati del documento italiano, capire in che termini saranno state assorbite le raccomandazioni di febbraio di Bruxelles e con quali paletti intermedi economici e strutturali si vorrà fare la transizione, visto che gli obiettivi Fit for 55 probabilmente resteranno lontani. Nel frattempo si è votato per il nuovo Europarlamento, con l’Ecr (i Conservatori presieduti da Giorgia Meloni) che ha successivamente superato il gruppo di Renew come terzo blocco di partiti dell’emiciclo comunitario.

 

 

 

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