L'ARCHITETTURA VISTA DA LPP / 16
L’Imprinting di Antonino Saggio prova a catturare l’inafferrabile e sfuggente architettura italiana
L’architettura italiana gode di buona salute e sono numerosi i progettisti di valore che operano dal nord al sud della penisola. Tuttavia, per quanto bravi, non riescono a suscitare quell’interesse internazionale che gli italiani destarono in altre stagioni: si pensi per esempio negli anni Ottanta al successo di Aldo Rossi e dei postmoderni. I due architetti italiani oggi più conosciuti, Renzo Piano e Massimiliano Fuksas, per quanto molto apprezzati, non “bucano”come allora, quando i progetti italiani venivano imitati e studiati nelle università. E, dietro Piano e Fuksas, nessuno gode di particolare seguito internazionale. Stefano Boeri, che, è forse il più noto della generazione successiva dei settantenni, è considerato più l’autore di una fortunata formula, il Bosco verticale, che un progettista rilevante dal punto di vista dell’invenzione di una nuova poetica e di un nuovo linguaggio.

Luigi Prestinenza Puglisi
Che la stampa internazionale si occupi relativamente poco della più recente architettura italiana e dei suoi protagonisti ce lo dimostra anche El Croquis, che di tutte le riviste è forse la più diffusa, aggiornata e qualificata. Nota per selezionare la migliore architettura internazionale, ha latitato nella scelta degli italiani: ha dedicato nel 2021 un numero monografico al collettivo Dogma, composto da Pier Vittorio Aureli e Martino Tattara, che però ha sede a Bruxelles, e nel 2024 all’architetto Alberto Ponis, certamente bravo e noto per le magnifiche ville in Sardegna, ma nato nel 1933 e quindi legato alla cultura architettonica dello scorso secolo.
Una collana di libri di architettura che raccontasse attraverso monografie l’architettura italiana di oggi era quindi necessaria. A idearla e a dirigerla è stato Antonino Saggio e a pubblicarla la casa editrice LetteraVentidue.
Il titolo della collana, Imprinting, sintetizza il progetto editoriale. La bontà dell’architettura italiana oggi, scrive Saggio, non consiste in un nuovo stile. sarebbe infatti tempo sprecato cercare in Italia un linguaggio comune. Ma il fatto che non ce ne sia uno non è una debolezza, è una forza. Al suo posto c’è, infatti, una pluralità di approcci che ha una base locale. Che a sua volta deriva da uno specifico imprinting cioè dalla capacità di assorbire e rielaborare in chiave soggettiva il senso dei luoghi. Nel nord per esempio prevale lo spirito geometrico, l’astrazione razionale, il dominio delle regole di derivazione romana: del cardo e del decumano della centuriazione. Nel sud, invece, quella dell’infanzia mitica, di derivazione greca. Al centro la cultura etrusca, che celebra il matrimonio con l’ambiente. Proseguendo lungo questa direzione non è difficile individuare le radici regionali dei nostri migliori architetti. Afferma Antonino Saggio: Luigi Franciosini è umbro, Stefano Pujatti non può che essere friulano, Gianluca Peluffo genovese, Giovanni Vaccarini abruzzese, Luciano Pia torinese, Cino Zucchi milanese e Cherubino Gambardella napoletano.
Vi è, oltre a quello fornito dal luogo, un altro carattere specifico. È l’influsso dei Maestri attraverso il dialogo che ciascun architetto decide di intessere con chi lo ha formato. “Possiamo capire – afferma Saggio – mai Zucchi senza Caccia Dominioni, Pujatti senza Gino Valle, Peluffo senza De Carlo?”
E, infine, vi è un aspetto tecnico. Ogni architetto ha una peculiare forma di scrittura che nasce dal rapporto con la particolare tecnologia adottata per progettare. C’è chi per esempio disegna a mano, chi usa modellini in creta, chi il BIM. La tecnica utilizzata influisce sul risultato progettuale in misura non minore dello spirito del luogo e del dialogo virtuale con i propri maestri.
Lavorando su questi tre temi (luogo-maestro-processo), Saggio conta di raccontare la nuova architettura italiana attraverso i suoi protagonisti. Al lettore attento non sarà sfuggito che questo progetto di ricerca ha qualche non secondaria somiglianza con altri che sono stati prodotti nel corso del tempo. Il radicamento con il luogo potrebbe suggerire, per esempio, un ritorno alla poetica del genius loci teorizzato da Christian Norberg-Schulz, il quale con questa locuzione intendeva individuare l’insieme delle caratteristiche socio-culturali, architettoniche, di linguaggio, di abitudini che caratterizzano un ambiente, una città, un territorio, cioè in sostanza qualcosa di molto simile a ciò che Saggio chiama imprinting.
O, anche a prescindere dal genius loci, suggerire un ritorno al regionalismo critico, cioè un approccio che si oppone alla crescente mancanza d’identità locale delle architetture moderne. Il termine, lo ricordiamo, fu introdotto negli anni ottanta da Alessandro Tzonis e Liane Lefaivre, e successivamente fu utilizzato da Kenneth Frampton. Dopo essere stato messo da parte, il termine regionalismo è oggi utilizzato con frequenza crescente per esprimere la volontà di superare l’internazionalismo dello star system e dei suoi emuli. Per manifestare una crescente stanchezza verso la realizzazione di opere appariscenti, poco legate al contesto, che dappertutto vengono costruite, con grande spreco di mezzi economici: dalla Cina ai Paesi Arabi, in oriente e in occidente.
L’imprinting, se si considera la sua vicinanza alla poetica del genius loci e al regionalismo critico, non ha quindi a che fare solo con la ricerca architettonica italiana. Esprime la volontà di un fondamento che ci permetta di abbandonare la precarietà di un International Style in bancarotta culturale. Tuttavia, proprio perché nasce come reazione, potrebbe nascondere una deriva conservatrice, neo-vernacolare. Insomma: celebrare un imprinting regionale potrebbe essere visto come una operazione di retroguardia.
A questa possibile critica Saggio controbatte: “Nessuno ha all’estero i nostri paesaggi, nessuno ha questa ricchezza e nessuno come i migliori architetti nostri può far sentire come ciò si trasformi in architettura di oggi con mille rimbalzi, mille negoziazioni, senza nessuna memoria nostalgica, senza nessun genius loci dato una volta per tutte, Ma ricreando e reinventando ogni volta”. Del resto la scelta di una parola inedita, imprinting, serve a prendere le distanze sia delle teorie del genius loci che del regionalismo critico.
I primi cinque volumi della collana, ciascuno scritto da una voce critica diversa, sono dedicati a Luigi Franciosini (Gaetano De Francesco), Stefano Pujatti (Michela Falcone), Luciano Pia (Alberto Bologna), Giovanni Vaccarini (Manuel Orazi) e Cino Zucchi (Luigi Spinelli). Alcuni progettisti, come Franciosini, sono più impegnati nella ricerca accademica, altri, come Vaccarini e Zucchi, in quella professionale, altri, come Pia e e Pujatti, nella sperimentazione. Segno che l’architettura italiana, per quanto si cerchi di raccontarla attraverso categorie unificatrici, come questa dell’imprinting, alla fine è più inafferrabile e sfuggente di quel che pensiamo.
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