CHIARIMENTI E TRAPPOLE DEL DECRETO
La GUIDA completa al salva-casa: il tecnico al centro su conformità e stato legittimo
Dalla definizione di stato legittimo alla verifica delle tolleranze, dalla nuova tempistica al rinnovato ruolo (con responsabilità) del professionista: l’accertamento di conformità in sanatoria, attivabile in caso di piccole difformità, prevede innovazioni e passaggi delicati che i tecnici incaricati devono affrontare con attenzione
20 giugno
IN SINTESI
Le novità introdotte dal Dl casa sono numerose, alcune probabilmente andranno chiarite in sede di conversione, ed altre meritano un’analisi attenta perché impegnano particolarmente i professionisti incaricati di sanare le non conformità.
Accertamento di conformità: primo passo la verifica (facilitata) dello stato legittimo
Una delle più importanti novità del Dl casa sta nell’aver modificato l’accertamento di conformità in sanatoria, ossia l’iter ordinario che consente di sanare opere realizzate in assenza del titolo edilizio o in sua difformità. Prima di attivarlo, «il tecnico incaricato deve partire dalla definizione di stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare», sottolinea Fabrizio Pistolesi, architetto e componente della Commissione permanente, incardinata presso il Csllpp, che ha redatto la bozza di nuovo testo unico dell’edilizia. Vanno considerate – ovviamente – le novità introdotte dallo stesso Dl 69 che ne ha facilitato la dimostrazione. Si tratta di andare a ricercare la documentazione amministrativa che il Tu Edilizia riconosce come probante, quindi: «il titolo edilizio che ne ha consentito o che ha legittimato la costruzione (condono o accertamento di conformità) o quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio, integrati con gli eventuali titoli edilizi successivi che hanno abilitato interventi parziali», spiega ancora Pistolesi. Dunque, per dimostrare lo stato legittimo, la normativa, come modificata dal Dl casa, permette di utilizzare gli ultimi titoli edilizi, senza andare a ricercare il titolo che ha assentito alla costruzione dell’immobile, magari risalente a decine di anni fa. È stata, però, inserita una precisazione dal Dl casa, secondo cui i titoli devono essere «rilasciati all’esito di un procedimento idoneo a verificare l’esistenza del titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa». Significa che, se la ricerca si ferma all’ultimo titolo, è necessario che questo sia stato oggetto di verifiche da parte della Pa. Questa precisazione – come spiega l’Ance in una sua nota tecnica al Dl casa che richiama la relazione illustrativa dell’Esecutivo – «serve a tutelare l’affidamento dell’interessato nei casi in cui il titolo edilizio “richiamato” – con il quale si intende attestare lo stato legittimo – è stato già oggetto di verifiche da parte della Pa che ne abbia accertato la piena “legittimità” non rilevando difformità pregresse».
Bisognerà capire se questa facilitazione valga solo per i permessi di costruire o anche per le Cila e le Scia. Queste ultime, infatti, non prevedono un intervento da parte del tecnico comunale, ma solo un deposito per la prima e controlli a campione per la seconda. Per dimostrare lo stato legittimo ora valgono anche i titoli rilasciati a seguito di un accertamento di conformità, previo pagamento delle relative sanzioni, e varie forme di fiscalizzazione dell’abuso, nonché le dichiarazioni rilasciate dal tecnico abilitato per attestare le tolleranze esecutive realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi. Nulla cambia per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio. In questi casi lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza.
Doppia via per l’accertamento di conformità
Con le modifiche apportate dal Dl 69, l’accertamento di conformità in sanatoria si sdoppia in due. Un primo iter è riservato alle difformità più importanti e prevede la verifica della doppia conformità urbanistica ed edilizia; l’altro – del tutto nuovo – è attivabile in caso di parziali difformità e beneficia di una verifica di conformità semplificata perché consente di sanare gli interventi conformi alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda, nonché alla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento. Più nel dettaglio, il nuovo accertamento di conformità riguarda gli interventi in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla Scia alternativa al permesso di costruire e quelli realizzati in assenza o in difformità dalla Scia.
Riconoscere le difformità parziali
Per individuare l’iter da seguire è necessario capire se l’intervento non conforme può far parte delle “difformità parziali”, delle “difformità totali” o delle “variazioni essenziali”. «Non c’è una definizione di parziale difformità, bisogna andare con grano salis a capire queste difformità cosa comportano nella formazione del titolo», spiega ancora Fabrizio Pistolesi. Dunque, non c’è un confine così netto tra parziale, totale difformità e variazione essenziale e i riferimenti per incasellare l’intervento in una delle tre casistiche sono il Tu dell’edilizia e la giurisprudenza. «Ciò che è parziale difformità – prosegue l’architetto – si ricava per differenza, considerando le definizioni di “totale difformità” e di “variazioni essenziali”». «Per la totale difformità – segnala Pistolesi – occorre far riferimento all’art. 31 comma 1 del Dpr 380; per la determinazione delle variazioni essenziali, il riferimento è l’articolo 32 del testo unico». A complicare il riconoscimento del grado di importanza della non conformità è poi la normativa regionale.
«Per non sbagliare il tecnico incaricato deve stare attento al combinato disposto tra legge nazionale e normativa regionale», mette in guardia ancora Pistolesi, ricordando che, da quanto dispone il Tu, le «Regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato. E così si arriva ad un quadro regionale estremante variegato», con l’Emilia-Romagna che, ad esempio – segnala l’esperto – considera variazioni essenziali gli aumenti di entità superiore al 20% rispetto alla superficie coperta ed il Lazio che inquadra come variazione essenziale l’aumento superiore al 2% della superficie lorda complessiva del fabbricato.
La doppia conformità semplificata, il ruolo del tecnico
La doppia conformità, così come semplificata dall’articolo 36-bis introdotto dal Dl casa, richiede al tecnico incaricato non solo la verifica della conformità alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda, ma anche della conformità ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento. In questo secondo caso sono diverse le verifiche più importanti da compiere. Dunque, per quanto riguarda la conformità edilizia, la dichiarazione è resa con riferimento alle norme tecniche vigenti al momento della realizzazione dell’intervento. «Conoscendo l’epoca di realizzazione dell’intervento occorre risalire alla normativa edilizia vigente in quel momento. Le verifiche più importanti riguardano: le norme tecniche delle costruzioni; le norme sul risparmio energetico, ad esempio la legge 373/1976 e successive; la normativa sugli impianti; le norme igienico-sanitarie e quelle sull’abbattimento delle barriere architettoniche e le norme derivanti dal regolamento edilizio», suggerisce Pistolesi.
Dunque, la verifica sulla disciplina edilizia comporta il riconoscimento del momento di realizzazione dell’intervento. Come stabilisce il Tu, si fa riferimento ai titoli e alla documentazione probante stabiliti per lo stato legittimo. Se, però, non è possibile accertare l’epoca della realizzazione, il tecnico incaricato attesta la data di realizzazione con una sua dichiarazione e sotto la sua responsabilità. In altre parole, se non è chiara la data di costruzione dell’immobile la può dichiarare il professionista. In caso di dichiarazione falsa o mendace si applicano le sanzioni penali, comprese quelle previste dal Dpr 445 del 2000. Ma, se non c’è documentazione probante, cosa deve fare il tecnico per avere elementi a supporto della sua dichiarazione?
«Se le caratteristiche costruttive dell’immobile – spiega ancora Pistolesi – possono indicare l’epoca di costruzione (materiali: ad esempio murature in conci di pietra non squadrati con ricorsi in mattoni, tipologia dei solai, struttura della copertura, tipo di malte, intonaci ecc.) si può fare una relazione anche con riferimento ai manuali (manuale dell’architetto e simili) oppure far fare un’analisi chimica delle malte come spesso si fa negli edifici storici. L’analisi chimica delle malte storiche è utile per ricostruire la composizione della malta originaria per il recupero e restauro di fabbricati di notevole interesse storico e architettonico. O al minimo fare quello che prevedevano le leggi sui condoni edilizi, ovvero una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal proprietario o da proprietari precedenti».
Stato legittimo e conformità, le responsabilità del tecnico
«La responsabilità del tecnico nel dichiarare lo stato legittimo è enorme», mette in guardia Pistolesi. «L’asseverazione – ricorda – è una dichiarazione del professionista, il quale sotto la propria personale responsabilità ne conferma l’autenticità e la certezza dei contenuti e garantisce di aver applicato al meglio le proprie capacità professionali». «Con la sottoscrizione della dichiarazione di asseverazione il professionista – prosegue l’esperto – assume quindi una responsabilità in merito alla veridicità dei dati e delle informazioni dichiarati, e risponde penalmente per eventuali falsi ideologici e materiali in essa contenuti (art. 481 del Codice penale – Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità)».
Anche il riconoscimento del momento di realizzazione dell’intervento necessario per la verifica della conformità alla disciplina edilizia comporta delle difficoltà, cui fare attenzione. L’operazione richiede un accesso agli atti e l’ingresso negli archivi comunali per ricercare i titoli edilizi. Un’operazione, come è venuto fuori dall’esperienza del superbonus, che può essere ardua: nella maggioranza degli archivi non digitalizzati le modalità arcaiche di catalogazione possono rendere vana la ricerca, anche se magari il titolo edilizio ricercato esiste. Ecco, allora che l’errore è dietro l’angolo. Dunque, è bene verificare se la polizza di assicurazione per le responsabilità professionali stipulata copre le sanzioni amministrative derivanti, ad esempio, da un errore sull’identificazione della data di realizzazione dell’intervento oggetto di sanatoria.
La procedura, nulla osta paesaggistico ex post
Riguardo alla procedura del nuovo accertamento di conformità (art. 36-bis), ci sono tre innovazioni probabilmente degne di nota. La prima riguarda l’acquisizione ex post del nulla osta paesaggistico. In caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, il dirigente o il responsabile dell’ufficio richiede all’autorità preposta alla gestione del vincolo un parere vincolante sulla compatibilità paesaggistica. L’autorità si pronuncia in 180 giorni, previo parere vincolante della soprintendenza (che deve esprimersi entro 90 giorni), decorsi i quali il dirigente o il responsabile dell’ufficio provvede autonomamente. La conformità ex post comporta una sanzione equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. Potrebbe essere un’innovazione importante, ma – da quanto rileva l’Ance – ci sono diverse disposizioni da coordinare. Dunque, l’impatto della novità si comprenderà probabilmente con la conversione in legge del Dl casa.
«Sul punto – rilevano i Costruttori in una nota – non è stato chiarito il rapporto con l’articolo 167 del Dlgs 42/2004 che non consente l’accertamento di compatibilità paesaggistica se non in limitati casi minori nei quali non vi deve essere stato incremento di volume o superficie esistente». Non solo, per gli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico – rileva sempre l’Ance -, c’è un contrasto con altre disposizioni del Tu (art. 32, comma 3), in base al quale gli interventi realizzati con variazioni essenziali su immobili sottoposti a vincolo, compreso quello paesistico, sono considerati in totale difformità dal permesso. Tutti gli altri interventi sugli immobili vincolati sono considerati variazioni essenziali. Tali disposizioni non permetterebbero agli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico di avere parziali difformità e quindi di accedere al nuovo accertamento di conformità e, dunque, il nulla osta ex post non sarebbe applicabile.
Tempi ridotti e sanatoria condizionata
Altra novità che impegnerà i professionisti è la sanatoria condizionata. Più nel dettaglio, in sede di esame delle richieste di permesso in sanatoria, lo sportello unico può condizionare il rilascio del provvedimento alla realizzazione, da parte del richiedente, degli interventi edilizi, anche strutturali, necessari per assicurare l’osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza, igiene, salubrità, efficienza energetica degli edifici e degli impianti, al superamento delle barriere architettoniche e alla rimozione delle opere che non possono essere sanate. Con il nuovo accertamento in sanatoria, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con provvedimento motivato entro 45 giorni, decorsi i quali la richiesta si intende accolta. Per la Scia i tempi si riducono a 30 giorni.
Il vecchio iter (art. 36) ora applicato alla totale difformità o alle variazioni essenziali dà invece 60 giorni all’ufficio comunale per pronunciarsi, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata. Dunque, il nuovo accertamento di conformità prevede tempi più brevi e introduce il silenzio-assenso. Ovviamente, i termini sono interrotti qualora emergano esigenze istruttorie, «motivate e formulate in modo puntale» e nel caso venga attivato il procedimento di compatibilità paesaggistica.
Da verificare anche le nuove tolleranze costruttive ed esecutive
Come è noto, esclusivamente per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, il Dl Casa ha innalzato le soglie delle tolleranze costruttive fino al 5%, facendole crescere in modo inversamente proporzionale alla superficie utile dell’unità immobiliare. Dunque, il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro le nuove percentuali (2% se la superficie utile supera i 500 mq, 3% per superfici tra 300 e 500 mq, 4% se si resta nel range 100-300 mq e 5% per superfici inferiori a 100 mq). Sempre limitatamente agli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, viene introdotto un nuovo elenco di tolleranze esecutive, che sono: il minore dimensionamento dell’edificio, la mancata realizzazione di elementi architettonici non strutturali, le irregolarità esecutive di muri esterni ed interni e la difforme ubicazione delle aperture interne, la difforme esecuzione di opere rientranti nella nozione di manutenzione ordinaria, gli errori progettuali corretti in cantiere e gli errori materiali di rappresentazione progettuale delle opere.
Ciò è importante anche ai fini dell’accertamento di conformità che non va attivato se la non conformità rientra nelle tolleranze costruttive ed esecutive, perché, in quel caso, l’intervento non è considerato una violazione. Dunque, la verifica sulle tolleranze va effettuata prima di attivarsi per la sanatoria. Anche se, da quanto afferma Fabrizio Pistolesi, sugli immobili più datati la verifica sulle tolleranze dovrebbe indirizzare verso la sanatoria. «Le tolleranze così come normate dal decreto non porteranno ai risultati auspicati», afferma l’architetto. «Le tolleranze – prosegue -, se di questo si tratta, dovrebbero far riferimento all’epoca di costruzione del fabbricato. Cinquant’anni fa gli strumenti di misurazione erano la rotella metrica, il filo a piombo e il doppio metro, oggi si misura con il laser scanner facendo riferimento a progetti eseguiti con il Bim. A mio modesto avviso per costruzioni realizzate da pochi anni a questa parte, la tolleranza del 2% già prevista dal Dpr 380 è più che sufficiente, mentre per immobili realizzati in epoche risalenti, dove più si concentrano le difformità dall’assentito, quando i grafici di progetto erano realizzati a “fil di ferro” e le planimetrie rappresentavano un “piano tipo” quasi mai rispettato in fase di realizzazione, in cui non esisteva l’istituto della “variante in corso d’opera”, dovrebbero essere previste tolleranze almeno nell’ordine del 10%».