Le soglie di adozione degli obblighi e la cultura del dato nel Codice dei Contratti Pubblici
Un approccio verticistico e indifferente alle situazioni e ai contesti reali potrebbe dare la stura a un giudizio particolarmente severo sulla ulteriore richiesta proveniente dal versante della domanda pubblica di innalzare la soglia di applicazione degli obblighi relativi alla Gestione Informativa Digitale (GID), ricordando che inizialmente, col Dlgs 560/2017, l’adozione era stata prevista come addirittura generalizzata al 2025. Uno sguardo equilibrato sulla questione non può, al contrario, che riconoscere l’esistenza di numerose criticità in merito non solo alla Gestione Informativa Digitale (GID), ma pure all’Approvvigionamento Digitale.
Tali criticità, peraltro, coinvolgono anche il versante dell’offerta privata, professionale e imprenditoriale, rammentando che i metodi e gli strumenti della digitalizzazione possono essere utilmente impiegati anche per la gestione dei processi autorizzativi, inerenti pure all’edilizia privata. Possono gli elementi critici essere, tuttavia, affrontati, per non dire parzialmente risolti, semplicemente riducendo il novero di investimenti e di procedimenti? La risposta all’interrogativo non può che essere negativa, sotto due differenti punti di vista: quello operativo e quello concettuale. Nel primo caso, si ricorda come la legge imponga la redazione di un atto organizzativo, che descriva la configurazione e l’attuazione di un sistema di gestione dei processi digitalizzati come, ad esempio, sarà previsto a breve nella imminente norma UNI 11337-8. Ciò significa che la rivisitazione dei processi attinenti all’affidamento e alla esecuzione dei contratti pubblici dipende dalla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche in qualità di stazioni appaltanti e di enti concedenti, indipendentemente dalla natura del singolo investimento e del singolo contratto. La partita, di conseguenza, per così dire, si gioca, comunque, a livello dell’organizzazione, anziché a quello del singolo intervento e investe buona parte delle unità organizzative della amministrazione pubblica, incluse quelle di carattere economico-finanziario e giuridicoamministrativo, senza contare che, nelle amministrazioni maggiori, l’unità dedicata alla gestione delle risorse umane gioca un ruolo non secondario nell’assicurare e nel valorizzare il capitale umano in materia, persino in termini di esternalizzazione.
Sotto questo profilo, sistemico, che senso mai potrebbe rivestire praticare un approccio selettivo ed esclusivo agli interventi, come se alcuni potessero essere esentati integralmente da determinate logiche e dal ricorso a specifiche professionalità? Del resto, sono proprio i più avvertiti stazioni appaltanti ed enti concedenti a richiedere a gran voce di acquisire presso una vasta porzione della dotazione organica, a partire dalla dirigenza apicale, per non accennare al ceto politico di governo e di opposizione, una cultura e una consapevolezza digitale disseminata. Oltre a ciò, la previsione legislativa di un ambiente di condivisione dei dati che valga per tutti gli investimenti e gli interventi, naturalmente interoperabile in prospettiva con altri sistemi gestionali e informativi (dal sistema di previsione di bilancio a quello del controllo di gestione, dal sistema dell’approvvigionamento digitale a quello per la gestione patrimoniale e per la rendicontazione degli investimenti), implica naturalmente che l’ecosistema digitale cosiffatto ospiti e tracci, sia pure con diverse declinazioni, tutto l’agire della stazione appaltante o dell’ente concedente. Per queste ragioni, la maggiore preoccupazione per le amministrazioni pubbliche dovrebbe concernere la loro capacità di incrementare la continuità dei flussi informativi e di integrare le culture che risiedono al proprio interno, spesso conflittuali o almeno incomunicanti. Non è, pertanto, per la via del sottrarre che si potranno perseguire gli obiettivi dell’incremento della produttività e della mitigazione del rischio: le finalità precipue della digitalizzazione.
Del resto, ancora, sarebbe davvero da anime belle immaginare che l’Approvvigionamento Digitale e la Gestione Informativa Digitale (GID) racchiudano in sé tutto l’universo digitale, in continua dilatazione, ormai quasi oltre la cosiddetta Intelligenza Artificiale (IA) verso il calcolo quantistico. Di conseguenza, sul piano concettuale, la progressiva diffusione di modelli linguistici in grado di supportare (o di supplire?) gli attori delle stazioni appaltanti nella redazione di documenti di gara e di contratto, nonché di contenitori e di modelli informativi, richiamerebbe semmai l’esigenza di dotarsi di piante organiche adeguate alla sfida del controllo sugli esiti e di governare con attenzione l’assunzione inedita di responsabilità che connota il ricorso a processi fortemente digitalizzati e sovente, in prospettiva, sempre più automatizzati e disumanizzati. Altro ragionamento varrebbe, invece, qualora la digitalizzazione della gestione dei contratti pubblici fosse, invero, solo una manifestazione riduzionista di miglioramento delle pratiche analogiche, circoscritte a singoli documenti, come il capitolato informativo, oppure all’uso di specifici strumenti di produzione di modelli informativi o di altro, nel vasto armamentario dei dispositivi digitali.
Qui inevitabilmente ritorna il tema del conservatorismo digital-analogico, tipico di quell’insistere passivamente in mezzo al guado, sperando che non giunga mai la piena e, al contempo, tacitamente augurandosi di non raggiungere mai la sponda opposta del corso d’acqua, non comprendendone l’utilità, al netto dei proclami di facciata. Si tratta di un atteggiamento, in definitiva, consolatorio e, per certi versi, veicolo di una sorta di alibi dell’impossibilità, anziché dell’ineluttabilità, del cambiamento, degli apparati mentali, molto prima che dei comportamenti, dei processi e delle tecnologie. Epperò, come osservato inizialmente, le condizioni iniziali in cui versano gli operatori della domanda e dell’offerta, nel loro contesto abituale, in qualche modo rappresentano una barriera significativa e un comodo alibi. Non sarà, però, una specie di esecrazione superficiale a sortire effetti utili, bensì un’azione paziente di illustrazione, di esemplificazione, di orientamento del mercato, pubblico e privato, non solo delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti, a modificare l’andamento degli eventi, quantunque la difficoltà a evidenziare benefici immediati sia determinante. A questo proposito, l’azione del neoistituito Osservatorio del ministero competente (MIT), così come il supporto messo a disposizione dall’ente normatore nazionale (UNI) con un imminente documento, UNI 11337-13, dedicato all’argomento, potranno certamente dare giovamento.
È, comunque, convinzione di chi scrive che il ruolo della domanda e la professione del committente siano chiamati, colla digitalizzazione, a esplicitare compiutamente funzioni in parte ancora insoddisfacenti, ma che, soprattutto, l’azione dei soggetti finanziari, attraverso una loro propria autonoma progettualità, possa, nel medio periodo, risultare più influente e decisiva. In quella sede, il contributo che il dato e l’informazione possano offrire non solo alla categoria del risultato, centrale nel Codice dei Contratti Pubblici, ma, ben di più, a quella del rischio, sarà autoesplicativo. La domanda da porsi riguarda, perciò, la necessità che gli obblighi di legge non divengano rapidamente un fastidio da gradualmente neutralizzare, non solo riducendone l’estensione, ma, in particolar modo, banalizzando i contenuti e svuotandoli di senso.