L'intervento al Parlamento Ue
Europa, ultima chiamata. Draghi: “Fate qualcosa, non si può dire no a tutto. Rischia l’isolamento e deve agire come un SOLO Stato. Serve il debito comune per finanziare i 750-800 miliardi di investimenti”
Doppio monito dell’ex Presidente della Bce ai parlamentari europei. “Possiamo aspettarci di essere lasciati in gran parte soli a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa”, avverte. E, intanto, l’economia ristagna: la Bussola della Competitività ha imposta la nuova rotta. Ma bisogna fare qualcosa e fare presto. E, soprattutto “non si può dire no a tutto”. Serve il debito comune per finanziare la mole di 750-800 miliardi di investimenti e servono procedure snelle.

MARIO DRAGHI EX PRESIDENTE BCE
Ci sono due grandi emergenze per l’Unione europea: l’evoluzione della guerra in Ucraina e l’economia che ristagna. Nel primo caso, il rischio è quello dell’isolamento, nel secondo quello di non riuscire a emergere da questa palude. In entrambi i casi l’Europa è chiamata a fare uno scatto e solo unita può riuscirvi. L’ex presidente della Bce ed ex premier, Mario Draghi, sprona all’azione e lo fa con il forte appello, che risuona come un’ultima chiamata, rivolto ai parlamentari europei nel suo intervento alla plenaria della Settimana parlamentare europea 2025. Draghi parla mentre a Riad si svolge l’incontro tra le delegazioni di Stati Uniti e Russia in vista di un possibile avvio dei negoziati sull’Ucraina. E con l’Europa alla finestra. “Se le recenti dichiarazioni delineano il nostro futuro, possiamo aspettarci di essere lasciati in gran parte soli a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa”, avverte. “Anche se siamo collettivamente al terzo posto al mondo per la spesa per la difesa, non saremmo in grado di aumentarla attraverso la nostra capacità produttiva. I nostri sistemi di difesa nazionali non sono né interoperabili né standardizzati in alcune parti chiave della catena di fornitura. Questo – rimarca – è uno dei tanti esempi in cui l’Ue è inferiore alla somma delle parti”.
Uno dei tanti esempi, appunto. Vale per la difesa e vale per tutte le azioni che devono essere intraprese per rilanciare la competitività del Vecchio Continente. Ora, la Bussola della Competitività segna la rotta giusta per riorientare le politiche europee. Ma ora bisogna passare ai fatti e anche rapidamente perché “il tempo non è dalla nostra parte”. “Non si può dire sempre no a tutto”: per finanziare la mole di investimenti stimati tra i 750-800 miliardi di euro l’anno serve una mutualizzazione del debito, servono procedure snelle e, soprattutto, serve agire come “un solo Stato”. Sono passati cinque mesi dalla presentazione del rapporto Draghi, sul quale si basa il Competitiveness Compass, ma ora «ciò che è nel rapporto è ancora più urgente di quanto fosse cinque mesi fa”: “c’è una situazione molto difficile. Ora abbiamo i nostri valori. Abbiamo differenze di opinioni. Ma non è il momento di sottolineare queste le differenze ora, è il momento di sottolineare il fatto che dobbiamo lavorare insieme, sottolineare ciò che ci accomuna e ciò che credo ci accomuna sono i valori fondanti dell’Unione Europea”. La quale “è stata creata per garantire ai suoi cittadini pace, indipendenza, sicurezza, sovranità e poi sostenibilità, prosperità, democrazia, equità e inclusione. Un sacco di cose. E fondamentalmente è riuscita a garantire tutto questo, a vivere in una situazione piuttosto confortevole in cui la retorica era dominante e le grandi sfide non erano davvero in primo piano. Ora questo mondo confortevole è finito. E quindi dobbiamo fare il punto della situazione e chiederci: vogliamo difendere questi valori essenziali, la nostra Unione Europea, per le cose che può effettivamente fare per noi, o dovremmo semplicemente andarcene, e andarcene per andare dove?”
“Gli obiettivi della Bussola sono pienamente in linea con le raccomandazioni della relazione e segnalano un necessario riorientamento delle politiche europee chiave. Ora è importante che alla Commissione venga dato tutto il sostegno necessario sia nell’attuazione di questo programma che nel suo finanziamento”, dice Draghi. “Dici no al debito comune, dici no al mercato unico, dici no all’Unione dei capitali. Non puoi dire no a tutto, altrimenti devi anche ammettere che non sei capace di attuare i valori fondamentali per cui questa Ue è stata creata. Quindi quando mi chiedono cosa è meglio fare ora, dico non ne ho idea, ma fai qualcosa”, incalza Draghi. “È sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre più come se fossimo un unico Stato. La complessità della risposta politica che coinvolge ricerca, industria, commercio e finanza richiederà un grado di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori: governi e parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo”.
Draghi tiene a precisare che la sua non è una proposta centralizzatrice. “Non sto suggerendo necessariamente una centralizzazione, sto suggerendo che dovremmo essere in grado di fare le cose insieme come se fossimo un unico Stato, ma questo dipenderà dalla legittimità democratica. Perché dobbiamo fare le cose insieme? Ci troviamo in una situazione in cui l’entità dei problemi supera le dimensioni dei nostri Paesi”, è la risposta dell’ex premier. Di fronte ci sono le sfide della difesa, del clima e dell’innovazione. Il fabbisogno finanziario è “enorme”: 750-800 miliardi – ed è una stima prudente – sui quali è “necessario emettere titoli di debito comune e questo debito comune deve essere, per definizione, sovranazionale, perché alcuni Paesi dispongono di spazio fiscale, ma non sufficiente nemmeno per i propri obiettivi, mentre altri Paesi non hanno alcuno spazio fiscale”.
“Per aumentare la capacità di finanziamento, la Commissione propone una gradita razionalizzazione degli strumenti finanziari dell’Ue. Ma non sono previsti nuovi fondi Ue. Il metodo proposto consiste nel combinare gli strumenti dell’Ue con un uso più flessibile degli aiuti di Stato coordinati da un nuovo strumento europeo. Anche se speriamo che questa costruzione fornisca il sostegno finanziario necessario, il successo – indica Draghi – dipenderà dall’uso che gli Stati membri faranno del margine di manovra fiscale di cui dispongono e dalla loro disponibilità ad agire in un quadro europeo. La Commissione è solo un attore. Può fare molto nei suoi settori di competenza esclusiva, come il commercio e la politica della concorrenza. Ma non può agire da sola. Il Parlamento europeo, i parlamenti nazionali e i governi nazionali devono stare al suo fianco”.
C’è un altro aspetto che Draghi sottolinea. “La risposta deve essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra parte, con l’economia europea che ristagna mentre gran parte del mondo cresce. La risposta deve essere commisurata all’entità delle sfide. E deve essere focalizzata sui settori che guideranno l’ulteriore crescita”. “Il Parlamento ha un ruolo chiave nel rendere più rapide le decisioni dell’Ue. Se seguiamo le nostre consuete procedure legislative, che spesso richiedono fino a 20 mesi, le nostre risposte politiche potrebbero essere superate non appena prodotte”, dice Draghi che ribadisce quanto aveva scritto nei giorni scorsi in un editoriale sul Financial Times sulle barriere interne che l’Europa si è creata da sola. Barriere che, secondo le stime del Fmi equivalgono a una tariffa di circa il 45% per il settore manifatturiero e del 110% per i servizi, e che vanno abbattute mentre è necessario “standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più equo. Spesso siamo noi stessi il nostro peggior nemico in questo senso”. Inoltre, “dobbiamo aiutare le nostre aziende leader a recuperare terreno nella corsa all’IA, convogliando maggiori investimenti nelle infrastrutture informatiche e nelle reti digitali”.
Inoltre, “dobbiamo abbassare i prezzi dell’energia. Questo è diventato imperativo non solo per le industrie tradizionali, ma anche per le tecnologie avanzate”. Draghi ricorda poi le ragioni degli altri prezzi dell’energia Ue, già scritti nel suo rapporto: il coordinamento limitato dell’approvvigionamento di gas naturale, il funzionamento del mercato dell’energia, i ritardi nell’installazione di capacità rinnovabile, le reti sottosviluppate, la tassazione elevata e i margini finanziari. “Questi e altri fattori sono tutti opera nostra e quindi possono essere modificati se abbiamo la volontà di farlo”, sottolinea. “Dobbiamo garantire condizioni di parità per il nostro settore innovativo delle tecnologie pulite, in modo che possa beneficiare delle opportunità della transizione”.