PRESENTATO A ECOMONDO IL QUADERNO N. 4 DEL BLUE BOOK
Utilitatis: certificati blu per una gestione responsabile delle risorse idriche anche in agricoltura e nell’industria
L’analisi della fondazione presieduta da Rosario Mazzola (nella foto) svolge una comparazione tecnica dei modelli esistenti di certificazione e commercio di crediti ambientali nel settore idrico, ma anzitutto chiarisce perché oggi più che in passato sia fondamentale superare la criticità della mancanza di un monitoraggio degli usi non civili dell’acqua e adottare politiche e assetti regolatori capaci di far partecipare i settori dell’agricoltura e dell’industria agli obiettivi di una più equilibrata ripartizione dei costi e di un uso più razionale della risorsa.

Rosario Mazzola, presidente Utilitatis
Uno dei grandi problemi dell’acqua in Italia, uno dei tabù che nessuno ha mai voluto affrontare, è il prelievo e l’uso dell’acqua nei settori agricolo e industriale. Si capisce perché: si tratta di due settori vitali per l’economia e per la vita stessa e il costo contenuto per l’uso dell’acqua in questi settori contribuisce a tenere basso il livello generale dei prezzi. Il tabù è talmente forte che in questi settori si è sempre evitato storicamente anche il monitoraggio del consumo dell’acqua. Ce lo ricorda il Quaderno n.4 del Blue Book, presentato ieri da Utilitatis a Ecomondo, a Rimini, e dedicato ai “certificati blu”. L’analisi della fondazione presieduta da Rosario Mazzola e diretta da Francesca Mazzarella svolge una comparazione tecnica dei modelli esistenti di certificazione e commercio di crediti ambientali nel settore idrico, che tratteremo in successivi articoli. Qui ci concentriamo sull’introduzione che spiega le ragioni per cui viene rilanciato lo strumento dei certificati blu – oggetto nei mesi scorsi anche di una proposta di legge in Parlamento (Pdl 2178, prima firmataria Patty L’Abbate – M5S) poi arenatasi alla Camera – e sul capitolo 1 dedicato ai diversi usi della risorsa idrica.
Il monitoraggio “degli usi non civili dell’acqua (agricolo, industriale e per la produzione di energia) – afferma il Quaderno – è ancora un ambito critico, caratterizato da lacune conoscitive e operative. Ad oggi, infatti, il monitoraggio degli usi non civili dell’acqua è alquanto lacunoso: gli indicatori prodotti sono spesso frutto di stime sia per la quasi totale assenza di misure. sia perché non esiste ancora in Italia un sistema informativo altrettanto solido e completo di quello disponibile per gli usi civili”. L’utilizzo dell’acqua per usi civili è l’unico che abbia una tariffa regolata, che pagano le famiglie.
Questo accade nonostante l’uso irriguo sia il settore di gran lunga più idro-esigente, prelevando, secondo l’Istat, il 56% del totale. Il settore industriale manifatturiero ha una quota di prelievo del 13%, l’uso civile del 31%. Si tratta, a conferma della carenza di informazioni, di dati relativi al 2015-2019. Non c’è nulla di più recente ma nulla fa pensare che le proporzioni siano mutate sostanzialmente.
C’è però oggi un problema che promette di rompere il tabù. L’Italia è – dice Utilitatis – “uno dei Paesi europei con il più alto prelievo pro capite di acqua dolce, fattore che sommato a sfide importanti come l’effetto dei cambiamenti climatici sul ciclo idrologico e la demografia, richiede massima attenzione sulle politiche e gli interventi mirati a garantire la disponibilità di risorsa per le generazioni future. Nel contesto del bacino mediterraneo, particolarmente vulnerabile a siccità e stress idrico, emergono alcune priorità fondamentali per affrontare la competizione crescente tra gli utenti finali. Da questo punto di vista il monitoraggio della risorsa è un punto cruciale per meglio bilanciare domanda e offerta”.
Proprio per l’effetto dei cambiamenti climatici, oggi nessuno può più essere considerato esente da un uso responsabile ed efficiente della risorsa idrica. La coscienza che tutti gli utilizzatori della risorsa debbano ridurne gli sprechi e partecipare a politiche di sicurezza idrica è destinata a farsi strada anche in Italia. Poiché però agricoltura e industria restano settori-chiave (oltre che lobby potenti) che non è opportuno subiscano un aggravio eccessivo di costi – e non tutto insieme – Utilitatis comincia a porre sul tavolo un’analisi degli strumenti e dei modelli esistenti che possano accrescere in modo non traumatico la partecipazione di questi settori ai costi della risorsa idrica e a obiettivi di riduzione degli sprechi. Ma, ancora prima, l’analisi evidenzia i rischi che questi stessi settori corrono senza un cambiamento di rotta. “L’approccio economico tradizionale cosiddetto ‘lineare’ (take-use-discharge) – sostiene il Quaderno – sta provocando una forte dipendenza delle attività economiche dal progressivo esaurimento delle risorse idriche, con un impatto negativo sullo sviluppo industriale e sulla società. È necessario sostituire l’impostazione lineare con un approccio circolare in grado di preservare il valore economico dell’acqua lungo l’intero ciclo di utilizzo, riducendo gli sprechi e incentivandone il riutilizzo fisico. Bisogna dunque valutare i fabbisogni idrici dei vari settori, cercando di ridurre o eliminare attività non essenziali e ottimizzando la distribuzione delle acque; inoltre promuovere il riutilizzo delle acque creando percorsi di ricircolo all’interno degli impianti industriali o sfruttando le acque reflue anche per ricaricare falde e corpi idrici superficiali”.
In questo contesto si inseriscono i certificati blu, meccanismi che “incentivano aziende, istituzioni e tutti i principali attori interessati all’utilizzo della risorsa, a implementare strategie per ridurre gli sprechi, migliorare la qualità dell’acqua e investire in tecnologie sostenibili”. Le soluzioni che possono essere adottate fra quelle già sperimentate a livello internazionale – su cui torneremo con i prossimi articoli – “devono comunque essere accompagnate da un impianto normativo e regolatorio di supporto per garantirne la più ampia diffusione possibile e facilitarne la realizzazione”.