L'intesa sui dazi

Ue: accordo meglio di una guerra commerciale. Imprese in allarme

E’ meglio un accordo con dazi al 15% di una guerra commerciale: la Ue difende così l’intesa raggiunta con gli Usa. Forte è la preoccupazione delle imprese per l’impatto delle nuove tariffe sull’export anche se riconoscono che l’intesa pone fine all’incertezza di questi mesi. Tra i primi passi mossi dal Governo, l’istituzione di una task force permanente alla Farnesina per dare supporto alle imprese. Dopo aver festeggiato, i timori per la crescita europee hanno smorzato gli entusiasmi iniziali. La politica si divide: Meloni parla di intesa positiva e le opposizioni parlano di resa.

 

28 Lug 2025 di Maria Cristina Carlini

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Bruxelles difende l’accordo con gli Usa: meglio dazi al 15% di una guerra commerciale. Il mondo delle imprese è in allarme per l’impatto che potrà avere ma almeno fissa un punto fermo ponendo fine all’incertezza e scongiurando lo scenario peggiore di dazi al 30%. La politica si spacca: la maggioranza parla di successo del Governo italiano, per le opposizioni è una resa agli Usa. Le borse prima brindano ma poi con il passare delle ore i timori per le ripercussioni sulla crescita spengono gli entusiasmi. Il giorno dopo l’accordo raggiunto in Scozia tra la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il presidente americano Donald Trump, le reazione,  i commenti, le valutazioni e gli interrogativi sugli effetti di questa intesa danno la cifra complessità dell’attuale scenario e le incognite delle prospettive future: quello raggiunto è un accordo di principio e tanti sono i nodi da sciogliere. E, come spesso accade, è nei dettagli da mettere nero su bianco che si annidano le principali insidie. C’è la nuova tariffa del 15% ma vanno definite le modalità di incremento delle importazioni di energia Usa, 750 miliardi, e l’aumento degli investimenti Ue verso gli Usa per 600 miliardi. E’ poi da vedere quali saranno le merci a dazi zero. Insomma, più che un punto di arrivo l’accordo sembra un punto di partenza e impervia si preannuncia la strada per far diventare questo accordo un vero trattato commerciale.

La difesa della Ue

L’accordo Usa-Ue dispiega subito i suoi primio effetti. Le contromisure europee entrate in vigore venerdì 25 luglio per rispondere ai dazi preannunciati da Trump, saranno sospese da lunedì 4 agosto nell’attesa che venga applicata dal 1° agosto la base del 15% sulle merci importate dall’Ue negli Usa. Difende a spada tratta l’accordo il capo negoziatore, il commissario europeo per il Commercio, lo slovaccio Maros Sefcovic. “Questo accordo crea una stabilità nuova e apre la porta a una collaborazione strategica: è il risultato di mesi di sforzi incessanti. Sono stati sforzi ineguagliabili nell’intensità e di gran lunga superiori a giudicare solo dall’importanza del nostro commercio transatlantico”, ha detto. “I 1.700 miliardi di scambi sottolineano quanto fosse in gioco. Una guerra commerciale sembra uno scenario attraente ma avrebbe avuto conseguenze gravi: con un’aliquota al 30% il commercio transatlantico si sarebbe fermato e avrebbe messo a rischio nell’Ue 5 milioni di posti di lavoro. Le imprese ci hanno chiesto di evitare escalation e di avere un respiro immediato ed è un bene che diversi gruppi industriali abbiano apprezzato il quadro dell’accordo”, ha sottolineato.  Dopo mesi di annunci e marce indietro, di minacce e ripensamenti da parte di Trump, Sefcovic ha detto di contare ora su un nuovo rapporto con la Casa Bianca. “Con le controparti americane stiamo aprendo un nuovo capitolo: abbiamo trascorso molto tempo insieme, ci conosciamo molto meglio di prima, comprendiamo le reciproche sensibilità, le reciproche prospettive e ci terremo informati molto più frequentemente su tutte le decisioni importanti prese”. Tra i diversi temi toccati, Sefcovic ha fatto presente che  “ciò che avvantaggerebbe entrambi, per quanto possibile, è una sorta di unione dei metalli: stabiliremmo contingenti tariffari in base ai flussi storici tra Ue e Usa e in linea con la clausola di nazione più favorita. Ciò significa che la complementarietà dei nostri settori metallurgici continuerebbe a essere ulteriormente sviluppata e che affronteremmo congiuntamente quello che è il problema globale per i settori siderurgici, ovvero la sovracapacità globale”.

L’allarme delle imprese.  Istituita una task force alla Farnesina

Un accordo al ribasso che, però, mette almeno un punto fermo ponendo fine al quel dazio occulto che è l’incertezza e scongiura lo scenario più negativo di dazi al 30%. Tuttavia è forte la preoccupazione del mondo produttivo che ora dovrà fare i calcoli con le nuove tariffe concordate sui beni esportati negli Usa. E soprattutto c’è la richiesta che viene avanzata all’Europa e al Governo di aiuti per i settori più colpiti, dalla moda al food. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ieri ha convocato alla Farnesiana un vertice al quale hanno partecipato le agenzie del Sistema Italia – Ice, Sace, Simest e Cdp, la Rappresentanza Permanente italiana a Bruxelles, l’Ambasciata italiana a Washington e i rappresentanti di varie associazioni produttive tra cui Confindustria, Coldiretti, Confapi, Confagricoltura, Cna Confimi Italia, Federacciai, Farmindustria, Confesercenti, Confartigianato, Confcooperative, Confcommercio, Federlegno e Federvini. Tajani ha innanzitutto annunciato l’istituzione di una Task Force permanente sui dazi alla Farnesina per dare sostegno alle imprese e spiegato come i negoziati con le controparti statunitensi andranno avanti nei prossimi giorni per meglio definire i dettagli in taluni settori, tra cui alcuni di specifico interesse per l’Italia, come quello viti-vinicolo.

L’intesa di principio, raggiunta ieri, come è stato spiegato nel corso dell’incontro, prevede un dazio orizzontale sulle merci europee del 15%, comprensivo del dazio medio in vigore ai sensi dell’OMC, pari al 4,8%. L’intesa prenderà forma tramite una dichiarazione congiunta con gli Stati Uniti (intesa quadro), che dovrebbe essere finalizzata a livello tecnico nei prossimi giorni. La dichiarazione congiunta non è giuridicamente vincolante. Gli impegni in essa contenuti verrebbero declinati in un secondo momento in un accordo sul commercio reciproco (giuridicamente vincolante). L’intesa prevede – tra gli altri – anche prodotti sottoposti a regime “zero-for-zero”, un impegno europeo ad aumentare gli acquisti dagli Stati Uniti, un impegno politico a collaborare per mantenere aperte le catene di fornitura in materia di minerali critici e l’impegno europeo a tenere conto delle “preoccupazioni americane” nel contesto dell’agenda sulla semplificazione. Il governo italiano ha già chiesto a Bruxelles di attivare un servizio di monitoraggio europeo sull’impatto dell’accordo sui dazi e continuerà a lavorare anche per rafforzare il Mercato Unico, semplificare le regole, diversificare le relazioni commerciali e ridurre le nostre dipendenze. “In tale prospettiva, il governo – rifrisce la Farnesina –  reitera il forte impegno a perseguire con determinazione la strategia di diversificazione dei mercati di destinazione dell’export, attraverso l’attuazione del Piano d’Azione per l’Export nei mercati extra-UE ad alto potenziale per accompagnare le imprese italiane verso nuovi mercati a forte crescita e promuovere l’internazionalizzazione del sistema produttivo nazionale. Tale strategia si fonda anche sul rafforzamento degli strumenti di promozione dell’ICE, inclusi quelli che riguardano la partecipazione delle imprese italiane alle fiere di rilevanza internazionale, sui finanziamenti agevolati di Simest e su un’ulteriore ampia estensione della Push Strategy di SACE per raggiungere nuovi mercati e nuovi clienti internazionali”.

Fa i conti il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. “Per noi tutto quello che e’ oltre lo zero e’ un problema. Oggi l’impatto del 15% dei dazi vuol dire per l’impresa italiana 22,6 miliardi di probabile vendita verso gli Stati Uniti”, ha detto. “Pero’ – ha avvertito Orsini – noi stiamo sottovalutando una cosa: non e’ solo l’impatto dei dazi, ma anche la svalutazione dollaro-euro che per noi vuol dire oggi incrementare il dazio di un 13%” mentre “altri Paesi extraeuropei hanno una media del 2%, difficilmente recuperabile”.  Per Orsini, “non e’ un tema solo di governo italiano, ma di Europa, che deve compensare le mancanze di competitivita’ dei nostri prodotti verso gli Stati Uniti e aiutare quei settori piu’ colpiti. Da subito – ha specificato – deve attuare un nuovo piano industriale straordinario per le imprese. Bene sforare il patto di stabilita’ per le armi e per la difesa, ma dobbiamo farlo anche per l’industria e andare da subito a fare accordi con nuovi mercati, dove noi potremo essere forti e sostituire in parte la perdita che abbiamo negli Stati Uniti. Dal lato italiano, dobbiamo subito mettere a terra misure che incentivano gli investimenti e soprattutto riescano a incrementare la produttivita’”.

Per il presidente di FederlegnoArredo, Claudio Feltrin,  l’accordo “non sarà l’ottimale, ma almeno l’incertezza e’ finita. Detto questo – ha avvertito –  ci saranno, ahimè, ripercussioni dirette sul consumatore finale americano e molto dipenderà, proprio dalle modalità con le quali gli importatori americani decideranno di applicare il dazio sulla merce in arrivo dall’Europa. Da questa decisione dipenderà l’impatto reale del dazio. Domani, il nostro settore, sarà comunque al lavoro per contenere al massimo questo impatto nella consapevolezza che sarà importante e strategico guardare e investire in nuovi mercati. Per farlo il sostegno del governo italiano alle nostre imprese risulta indispensabile: la filiera del legno-arredo rappresenta oltre il 4% del fatturato manifatturiero italiano, l’arredo esporta circa il 53% del suo fatturato e gli Usa rappresentano il primo mercato extra UE”. Feltrin ha ricordato che solo a maggio si è registrato un calo del  6,6% delle esportazioni verso il mercato Usa proprio a causa dell’incertezza. Ora, bisogna sbloccare l’accordo del Mercosur in modo da aprire velocemente mercati alternativi. La filiera del legno e arredo esporta negli Usa per circa 2,2 miliardi di euro e l’arredo, con 1,7 miliardi, fa la parte del leone, collocandosi sul mercato medio alto”.

Anche dal fronte sindacale si registrano preoccupazioni e critiche. “Se le anticipazioni venissero confermate, l’Unione europea non avrebbe scongiurato la guerra commerciale con gli Usa, l’avrebbe prima subita senza reagire, per poi perderla con una resa incondizionata della Commissione e dei governi nazionali, a cominciare da quello italiano. In attesa dell’accordo formale, e del quadro completo delle ricadute sui diversi settori produttivi, appare questa la sostanza di quanto accaduto. Per rendersene conto basta elencare i punti di quello che, più che un accordo politico, somiglia a un’autentica capitolazione”, ha dichiarato la Cgil.  “Mentre le merci europee subiranno dazi generalizzati del 15% (oltre alla svalutazione del dollaro, che pesa per un ulteriore 13%), quelle americane non pagheranno alcun dazio. C’è poi l’impegno dell’UE ad acquistare, in tre anni, 750 mld di dollari di beni energetici fossili americani (gas e petrolio), aggravando uno dei principali fattori (i costi delle bollette) che stanno compromettendo la competitività delle imprese europee e i bilanci delle famiglie. A questo vanno aggiunti ulteriori investimenti europei in USA per 600 mld di dollari, che equivarrebbe a delocalizzare le nostre produzioni, con conseguente creazione di lavoro e reddito negli USA anziché in Europa. E ancora: l’acquisto di sistemi d’arma americani, in funzione del folle obiettivo – fissato in ambito Nato – di portare la spesa militare al 5% del Pil. Inoltre, per ringraziare il presidente Trump del trattamento che ci ha riservato, dovremmo garantire: l’assenza di contromisure sui servizi digitali e finanziari, che assicurano agli Stati Uniti un rilevante avanzo commerciale; l’esenzione dalla global minimum tax, decisa in ambito G7, per tutte le multinazionali americane; la non applicazione della digital service tax sulle big tech statunitensi, che potranno continuare a godere dei paradisi fiscali in Irlanda, Olanda, Lussemburgo; la rinuncia, di fatto, a implementare i rapporti commerciali con la Cina e i Brics, che potrebbero rappresentare fondamentali mercati di sbocco per le nostre merci”.

La reazione dei mercati: dall’entusiasmo alla freddezza

L’andamento dei mercati azionari riflette tutta la problematicità dell’accordo. In apertura, le borse hanno apprezzato l’accordo ma poi le piazze finanziarie europee hanno archiviato la seduta in territorio negativo: Francoforte registra la peggiore performance -1,13%,  Parigi -0,43% mentre Milano chiude poco sopra la parita’ +0,01%. A pesare, come hanno spiegato gli analisti, è il timore di ripercussioni sulla crescita europea.  Le esportazioni europee verso gli Stati Uniti saranno ora soggette a un’imposta doganale del 15%, dieci volte superiore al livello pre-guerra commerciale, che si aggirava intorno all’1,5%’. Gli esperti di Unicredit rilevano che  “un accordo asimmetrico tra Unione Europea e Stati Uniti e’ meglio di nessun accordo. Tuttavia, probabilmente non e’ un buon accordo per l’Ue, dato che lascia i dazi statunitensi a livelli molto piu’ alti rispetto a quelli dell’Ue sui beni statunitensi. L’accordo e’ probabilmente abbastanza buono per l’economia europea e per i mercati nella misura in cui toglie dal tavolo un’escalation delle tensioni commerciali”.

Meloni: bene l’intesa, scongiurati gli effetti devastanti di un no deal. Opposizioni in rivolta

Bene l’intesa, per il solo fatto che ci sia stata e abbia scongiurato gli effetti potenzialmente “devastanti” di un no deal. Ma non è ancora il tempo di dare un giudizio sull’esito della trattativa tra Usa e Ue sui dazi, perché le incognite sono ancora troppe e ci sarà da “battersi” per portare a casa “l’accordo migliore possibile”: è cauta la premier Giorgia Meloni che ha commentato l’accordo dall’Etiopia dove ha partecipato al  vertice delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare.  Ora bisognerà vedere bene “i dettagli”, ha sottolineato spiegando di  non avere ancora avuto modo di confrontarsi direttamente con la presidente della Commissione Ue. La base di dazi al 15% “se ricomprende i dazi precedenti che di media erano intorno al 5%, 4,8%, differentemente da quello che prevedeva un possibile accordo al 10% che sommava i dazi precedenti, secondo me è una base sostenibile”. Poi bisognerà vedere voce per voce, assicurarsi che alcuni settori “particolarmente sensibili” come farmaceutica o auto siano “al 15%”, verificare “quali sono le esenzioni” (l’Italia punta soprattutto sull’agroalimentare, dal vino ai formaggi). Una volta completata questa ricognizione a livello nazionale ma anche “europeo”, ha sottolineato Meloni, bisognerà trovare il modo di “aiutare quei settori che dovessero essere particolarmente coinvolti da questa decisione”. Non solo, ora Bruxelles, nella visione meloniana, non ha più “scuse” e non può più “perdere tempo” per semplificare e abbattere quei “dazi interni”, a partire dalla burocrazia, che per il centrodestra hanno finora rallentato la crescita delle imprese del vecchio continente, rendendole meno competitive. Dopo i primi commenti a caldo, domenica sera, ieri le opposizioni sono salite sulle barricate. La segretaria del Pd ha parlato di resa e ha chiesto di “chiarire subito” le misure per “attutire i danni” delle nuove tariffe commerciali. Anche il Movimento 5 Stelle chiede a Meloni di venire in Aula a spiegare la “resa a Trump”, con il leader Giuseppe Conte che parla di una premier che da “ponte è diventata testa di ponte” per il presidente Usa. Per Avs si festeggia “un disastro” mentre Carlo Calenda se la prende di nuovo con von der Leyen che non è “la forza” per guidare l’Europa. Matteo Renzi si chiede invece dove siano finiti i “25 miliardi che Meloni aveva promesso” alle imprese con dazi al 10%.

 

 

 

 

 

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