Trascuriamo le potenzialità (positive e negative) delle infrastrutture se non valutiamo adeguatamente effetti di sistema e di rete
Non sempre gli effetti legati alla costruzione di nuove infrastrutture risultano positivi se valutati nella loro organicità. In mancanza di un’accurata e obiettiva valutazione d’impatto, benefici inferiori alle attese o effetti di sistema indesiderati possono emergere una volta completata l’opera. A titolo di esempio, il cosiddetto paradosso di Braess dimostra che, in alcuni casi particolari, un incremento della dotazione infrastrutturale di un territorio, come la costruzione di un nuovo tratto stradale, può persino portare a un peggioramento della situazione di partenza. Si tratta di un esempio limite che, tuttavia, nel processo di scelta degli investimenti prioritari, aiuta a capire l’importanza di uno studio accurato, serio e approfondito sulle dinamiche di rete, gli sipllover spaziali e settoriali e il comportamento dei singoli utenti.
IN SINTESI
Può capitare che l’analisi ex-post dei benefici di sistema di una nuova opera infrastrutturale tradisca le aspettative iniziali. Senza soffermarci sui casi, spesso fisiologici, in cui i benefici collettivi di certe infrastrutture non necessariamente corrispondono con le preferenze delle realtà locali su cui insistono[1], qui ci concentriamo su casi più generali in cui effetti imprevisti o sottovalutati, emergono, a regime, per via di una mancanza di valutazione di impatto accurata e/o obiettiva.
A titolo di esempio si pensi a come lo sviluppo di nuove infrastrutture di trasporto, progettate per ridurre il gap di accessibilità di certi territori, possa accelerare la penetrazione di aziende maggiormente competitive, con la possibilità paradossale di sfavorire o rallentare le prospettive di sviluppo delle imprese locali (esternalità negative); oppure a come nuovi archi stradali possano marginalizzare certe aree aprendo vie più rapide per raggiungere destinazioni ritenute strategiche; o ancora a come un’opera progettata per favorire lo sviluppo modale in una direzione (es. su gomma) possa ostacolare lo sviluppo modale in un’altra direzione (es. su rotaia o via mare), confliggendo con obiettivi a più lungo termine in altri ambiti (ambiente, salute, tutela del paesaggio, etc.) o con interessi economici specifici (settoriali o territoriali). Ma l’impatto di un intervento che non tenga conto di tutti gli effetti di sistema – compreso il comportamento dei singoli utenti – può avere implicazioni ancora più sorprendenti, come testimoniato dal cosiddetto “paradosso” di Braess sulle reti di trasporto[2].
Il paradosso di Braess
Consideriamo il percorso schematizzato nel diagramma presentato in questa pagina che collega due località A (origine) e B (destinazione). Il flusso di utenti sulla rete è tale che vi siano sempre N=N1+N2 vetture circolanti, N1 percorrenti la prima tratta e N2 la seconda. Lungo la prima tratta gli utenti devono superare un ponte il cui tempo di attraversamento (T1) dipende linearmente da numero di mezzi N1, ovvero dal traffico, e un tratto a “scorrimento rapido” il cui tempo di percorrenza (T2) non dipende dal traffico. Simmetricamente, la seconda tratta include un primo tratto a scorrimento rapido e un ponte con le stesse caratteristiche, cioè T3=T2 e T4=T1. Se si pone, per fissare le idee, N=4000, T1=N1/100 minuti e T2=45 minuti è chiaro che nell’ipotesi di completa razionalità nelle scelte degli utenti (possiamo immaginarli dotati di un navigatore satellitare capace di rilevare il traffico in tempo reale) all’equilibrio si avrà N1=N2=N/2=2mila (i percorsi sono equivalenti) e quindi i tempi per percorrere le due tratte coincidono e risultano pari a 65 minuti (20 minuti per attraversare il ponte e 45 minuti per la tratta a scorrimento).
Supponiamo ora che i decisori pubblici decidano di costruire un nuovo tratto stradale che colleghi in un tempo estremamente rapido l’uscita del primo ponte e l’ingresso del secondo. Non è difficile intuire come, all’equilibrio, questa nuova configurazione comporti che tutti gli N utenti scelgano il percorso attraverso il nuovo tratto (anche con il massimo livello di traffico il tempo di attraversamento del primo ponte, 40 minuti, risulta inferiore al tempo di percorrenza del tratto a scorrimento, 45 minuti). Il tempo di attraversamento sarà allora (trascurando il tempo di transito nel nuovo tratto) T1+T4=N/100+N/100=40+40=80 minuti, quindi maggiore rispetto alla configurazione di partenza.

Figura – Illustrazione del “paradosso” di Braess |
| Si ponga: N=4000, a=1/100, t=45 minuti, t*= 0.
Tempo totale nel caso iniziale (gli automobilisti si dividono equamente tra i due percorsi): T=20 + 45 = 65 minuti
Tempo totale nel secondo caso (gli automobilisti scelgono tutti il percorso attraverso il nuovo tratto): T=40 + 40 = 80 minuti |
Conclusioni
Si tratta chiaramente di un esempio limite che, tuttavia, enfatizza l’importanza di uno studio preliminare preciso ed accurato sulle dinamiche di rete e sul comportamento dei singoli utenti. Più in generale, proprio la natura di network di molte infrastrutture enfatizza l’aspetto del “coordinamento”; le ricadute di nuovi interventi infrastrutturali sul sistema economico possono essere diverse a seconda che gli investimenti si inseriscano in un quadro coordinato, che miri a migliorare la funzionalità complessiva del sistema (identificazione e ottimizzazione degli spillover positivi e minimizzazione di quelli negativi), o siano rivolti a conseguire obiettivi di carattere puramente locale, quindi senza tenere conto delle esternalità spaziali. Sotto questa prospettiva diventa chiaro come sia fondamentale cogliere, oltre all’effetto Keynesiano di più breve periodo e gli eventuali effetti di rilocalizzazione delle attività e delle risorse economiche, anche gli effetti di sistema che emergono quando l’infrastruttura rende possibile più strette interazioni tra gli agenti economici delle diverse realtà locali, eventualmente, contribuendo a diffondere benefici di agglomerazione. Va precisato che, sebbene gli effetti di spillover siano più facilmente identificabili per territori geograficamente contermini, effetti più positivi si possono ottenere mediante il coordinamento degli investimenti su scala più ampia.
[1] Esistono meccanismi di compensazione, anche se molto spesso nel nostro Paese trascurati, studiati per tenere conto dell’insorgenza naturale di fenomeni cosiddetti NIMBY, ovvero idiosincrasie locali verso certe tipologie di opere, si pensi alle esperienze con la TAV, gli impianti di trattamento dei rifiuti, i rigassificatori o i campi eolici
[2] Non si tratta di un vero e proprio paradosso ma piuttosto di un’osservazione contro intuitiva legata al comportamento collettivo degli individui nel traffico