Il Rapporto Svimez 2024
Il Sud cresce ancora più del Nord, spinta da Pnrr e costruzioni. Il rischio è il ritorno alla NORMALITÀ
Ci sono segnali di rallentamento della crescita del Mezzogiorno e dal 2025 si prospetta un’inversione di rotta con il rischio di una riapertura della forbice tra Nord e Sud e questo pone un problema di crescita per l’intero Paese. A trainare la crescita di questi anni è stato il settore delle costruzione e gli investimenti del Pnrr, che hanno contribuito per tre quarti alla crescita del Pil. Questi, sottolinea la Svimez, rimangono strategici in quadro di politica economica restrittiva con la manovra che taglia risorse al Sud e cancella Decontribuzione Sud. Ma va anche rafforzato il tessuto produttivo del Mezzogiorno

Luca Bianchi, Dg Svimez
IN SINTESI
Il Mezzogiorno continua a crescere più del Nord anche se quest’anno si riduce lo scarto rispetto al 2023. Ma sembrano gli ultimi sprazzi perché già si staglia all’orizzonte la prospettiva di un ritorno alla vecchia “normalità”, cioè di una crescita più stentata rispetto al resto del Paese. Diversi i fattori critici che rischiano di far invertire la rotta: il ritorno a politiche fiscali restrittive, il taglio dei fondi al Sud previsti dalla manovra di bilancio 2025, l’abrograzione della misura Decontribuzione Sud hanno un impatto negativo che neanche gli investimenti legati al Pnrr, traino della crescita di questi anni, potrebbero riuscire a compensare. E’ un campanello d’allarme quello che suona la Svimez nel Rapporto 2024 dal titolo ” Competitività e coesione: il tempo delle politiche”, presentato ieri dal direttore generale Luca Bianchi. Un Rapporto all’insegna della “grande incertezza”, come ha detto lo stesso Bianchi, che pesa sull’economia nazionale e su quella del Sud dove rischia di riaprirsi la forbice di crescita da Nord e Sud..
Ad accelerare il passo del Sud, in questi anni, è stata la spinta arrivata dalla robusta dinamica delle costruzioni, +4,9% contro il 2,7% del resto del Paese, trainati dalla spesa in opere pubbliche. Accanto a questo, ci sono diversi fattori che hanno contribuito al divario di crescita favorevole al Sud: l’inedita intonazione espansiva della politica di bilancio, i cui effetti, a differenza del passato, si sono dispiegati in maniera piuttosto oomogenea tra territori, sostenendo i redditi, il lavoro e assicurando condizioni di continuità operativa alle imprese; il rallentamento delle regioni esportatrici del Nord, che hanno risentito della frenata della congiuntura tedesca; la dinamica stagnante del Pil delle regioni centrali. Ma determinante, appunto, è stata la crescita degli investimenti in costruzioni. Il favorevole ciclo del settore è stato decisivo nel sostenere la ripresa, soprattutto nel Mezzogiorno: per effetto del superbonus nel biennio 2021-2022, e dal 2023, grazie all’avvio dei cantieri del Pnrr. Guardando al periodo 2019-2023, gli investimenti in costruzioni, pubblici e privati, sono aumentati in termini reali del +40,7% nel Mezzogiorno, oltre cinque punti in più della media del Centro-Nord.
E’, dunque, questo il quadro che ha dato corpo alla differenziazione regionale dei tassi di crescita del Pil, la principale peculiarità del quinquennio 2019-2023 e la sua entità è stata tale da invertire il tradizionale pattern Nord/ Sud. Al Nord come al Sud, le performance migliori hanno interessato le economie regionali dove l’effetto espansivo delle costruzioni e la ripresa dei servizi hanno compensato la dinamica meno favorevole dell’industria. Ma il vento sta cambiando. La fase straordinaria che ha caratterizzato il periodo successivo alla pandemia è stata affrontata in tutti i maggiori paesi con politiche di bilancio fortemente espansive per sostenere famiglie, imprese e lavoro. Oggi siamo tuttavia entrati in una nuova fase: la politica di bilancio europea ha modificato la propria intonazione, e si è avviato il percorso di rientro del deficit pubblico dei paesi membri. L’Italia è chiamata a realizzare un drastico miglioramento dei saldi di finanza pubblica, con una discesa del deficit in rapporto al Pil dal 7,2 del 2023 al 3,6% nel 2024, una correzione di entità impressionante, destinata a protrarsi nel successivo biennio (2,9% nel 2026): uno dei più ampi aggiustamenti fiscali mai realizzati.
Le previsioni 2024-2026: il Sud torna a frenare
Ora, per il 2024, la Svimez stima una crescita del Pil italiano del +0,7%, in linea con il 2023. La crescita italiana tornerebbe così sotto la media europea (+0,9% l’Ue a 27), dopo le buone performance degli anni scorsi. Dallo scenario previsivo al 2026 risulta un graduale peggioramento della crescita nazionale: il Pil italiano crescerà 6 decimi di punto sotto la media Ue-27 nel 2025 (+0,9% contro +1,5%) e a un tasso quasi dimezzato nel 2026 (+1,0% contro +1,8%). Nel 2024, il Mezzogiorno cresce ancora, e per il secondo anno consecutivo, più della media del Centro-Nord: +0,9% contro +0,7%. Si riduce tuttavia sensibilmente lo scarto favorevole al Sud rispetto al 2023, quando il Pil del Sud è cresciuto quasi un punto percentuale sopra la media del Centro-Nord.
A politiche invariate, il 2025 rappresenta un anno di passaggio verso differenziali territoriali di crescita guidati da fattori strutturali sfavorevoli al Sud, a causa del rientro dalle politiche di stimolo agli investimenti privati e di sostegno ai redditi delle famiglie, solo parzialmente compensati dall’impatto positivo degli investimenti del Pnrr. Dal prossimo anno, la Svimez evidenzia i rischi di un ritorno alla “normalità” di una crescita più stentata al Sud rispetto al resto del Paese: nel 2025 il Mezzogiorno tornerà a crescere meno del Centro-Nord (+0,7% contro +1,0%), confermando questa tendenza nel 2026 (+0,8% contro 1,1%).
Pnrr stimolo determinante per la crescita ma va anche rafforzato il tessuto produttivo del Sud
Le analisi Svimez confermano il ruolo determinante di stimolo del Pnrr alla crescita dell’area, ma evidenziano anche la necessità di accompagnare il ciclo di investimenti in infrastrutture economiche e sociali con un rilancio delle politiche industriali volte al rafforzamento del tessuto produttivo locale. Nel triennio 2024-2026, l’impatto aggiuntivo degli investimenti del Pnrr sul Pil meridionale è stimato in circa 1,8 punti percentuali, superiore a quello rilevabile nelle regioni del Centro-Nord (1,6 punti). In media, circa tre quarti della crescita del Pil del Mezzogiorno nel triennio è legata alla capacità di attuazione degli investimenti del Piano, a fronte di circa il 50% nel resto del Paese. “Il Pnrr è il tema strategico, stiamo procedendo, siamo strettamente legati l’attuazione del Pnrr, la variabile investimenti è decisiva e sulla loro attuazione ci giochiamo gran parte della crescita del prossimo triennio”, ha detto Bianchi. Ma come procede l’attuazione? “Il 75% delle risorse riguardano ancora lavori in corso, come dire che abbiamo vinto la battaglia dei bandi ma è ancora in corso quella dell’avanzamento; su 140 miliardi 105 sono in corso, non emergono profondissimi divari nell’attuazione tra Nord e Sud, i progetti conclusi sono il 36% al Sud, il 39% al Nord”. E c’è un elemento che emerge con nettezza: “i Comuni hanno raccolto la sfida del Pnrr”. Anche se, rileva il Rapporto, dal protagonismo che il Pnrr ha restituito alle amministrazioni comunali sono seguiti carichi amministrativi e sforzi aggiuntivi di spesa che hanno gravato su enti depauperati negli anni, soprattutto al Sud, di risorse umane e finanziarie, e con dipendenti sempre più anziani a causa dei reiterati blocchi del turnover.
Le risorse Pnrr a titolarità dei comuni per interventi di carattere infrastrutturale ammontano a 26,8 miliardi di euro, 11,3 dei quali in dotazione ai comuni meridionali. L’utilizzo prioritario riguarda il rafforzamento delle infrastrutture sociali, seguite da quelle di trasporto, e da quelle ambientali e idriche. Il maggiore sforzo attuativo richiesto ai comuni del Sud è desumibile dalle risorse pro capite da mobilitare: circa 600 euro per abitante in media nelle regioni del Mezzogiorno, a fronte di 430 euro nel Centro-Nord. I comuni del Mezzogiorno sono fin qui riusciti a mobilitare una quota di risorse in linea con gli obiettivi del Piano. I progetti non ancora avviati al 31 luglio 2024 valgono a livello nazionale 7,3 miliardi (il 24% del totale dei progetti), di cui 5,6 su progetti con avvio fissato oltre questa data. Perciò, solo 1,7 miliardi sono riconducibili a progetti non avviati effettivamente in ritardo. La quota di risorse su progetti in effettivo ritardo è maggiore nei comuni del Centro-Nord (28%) rispetto al Mezzogiorno (19,6%), sia nel caso di ritardo lieve (inferiore ai 7 mesi) che di ritardo grave (superiore ai 7 mesi). Tale dato, tuttavia, è spiegato anche dai ritardi nell’espletamento delle gare dei comuni del Sud, che hanno causato la posticipazione delle date di inizio dei lavori. La gravità del problema del mancato avvio dei progetti dipenderà dalla capacità delle amministrazioni in ritardo di attivarne l’esecuzione entro il 2024.
Infatti, l’avvio dei lavori per la gran parte dei progetti, soprattutto al Sud, è previsto nel secondo semestre del 2024, per il quale mancano informazioni di monitoraggio. Gli investimenti del Pnrr consentiranno di accrescere l’offerta di servizi educativi per la prima infanzia e raggiungere una copertura del 41,3% a livello nazionale, valore non lontano dal target del 45% fissato a livello europeo per il 2030. Nonostante ciò, i divari territoriali rimarranno ampi: undici regioni riusciranno a superare il target del 45% (Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lazio, Toscana, Sardegna, Marche, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, Abruzzo, Umbria e Molise); sette raggiungeranno livelli compresi fra il 38 e il 45% di copertura (Puglia, Calabria, Piemonte, Veneto, Lombardia, Basilicata e Trentino Alto Adige); due (Campania e Sicilia), nonostante l’investimento, non riusciranno a raggiungere neanche la copertura del 33%.
Nella legge di bilancio taglio di 5,3 miliardi al Sud nel triennio 2025-27
Intanto, si indeboliscono gli impegni finanziari per il Mezzogiorno. La Legge di Bilancio 2025 prevede una riduzione delle risorse destinate al Sud di circa 5,3 miliardi di euro nel triennio 2025-2027. È stata abrogata, dal 2025, la misura di parziale decontribuzione a favore delle imprese private che operano nel Mezzogiorno (Decontribuzione Sud), introdotta dalla Legge di Bilancio 2021. L’agevolazione consisteva in un esonero parziale dei contributi sociali dovuti dai datori di lavoro, con riferimento ai rapporti di lavoro dipendente sia esistenti che di nuova attivazione; lo “sconto” era pari al 30% e si sarebbe gradualmente ridotto al 20% nel biennio 2026-2027 e al 10% nel 2028-2029. La misura ha svolto un ruolo importante in questi anni, prima nel favorire la tenuta dell’occupazione nella crisi e poi per sostenerne la dinamica nella ripresa. L’eliminazione della Decontribuzione Sud dal 31 dicembre 2024 comporta impatti significativi su crescita e occupazione. Nel 2023, ha riguardato mediamente più di 2 milioni di lavoratori per una spesa di oltre 3,6 miliardi e lo stanziamento cancellato per effetto dell’abolizione dell’agevolazione è pari a 5,9 miliardi per il solo 2025. Secondo stime Svimez, l’abrogazione comporterà una riduzione di due decimi di punto della crescita del Pil del Mezzogiorno e di tre decimi dell’occupazione, con circa 25 mila posti di lavoro a rischio. La Legge di Bilancio 2025 prevede, a compensazione, il finanziamento di un nuovo Fondo per interventi al Sud, con una dotazione di 2,4 miliardi nel 2025 e ulteriori 4,4 nel successivo biennio. Si tratta tuttavia di uno stanziamento che, oltre ad avere una dotazione pari a circa la metà di quanto tagliato, non ha ancora una chiara destinazione né uno strumento attuativo, con il conseguente rischio di essere ridotto in corso d’anno per far fronte ad esigenze congiunturali.
Per la Zes unica vanno accelerate le procedure attuative
La Zes unica per il Mezzogiorno è un tentativo di operazione di sistema che estende a tutto il Sud i vantaggi fiscali e di sburocratizzazione delle otto precedenti Zes. Il suo elemento di maggiore novità, ancora in fase potenziale, è proprio rappresentato dal tentativo, dopo molti anni di politiche orizzontali, di impostare una strategia organica per il rafforzamento industriale del Mezzogiorno attraverso il ritorno a un principio di selettività, funzionale all’obiettivo di irrobustire alcune filiere strategiche nazionali ed europee identificate nel Piano strategico. Il potenziale della Zes unica non è tanto negli strumenti specifici previsti, quanto nella possibilità di orientare e coordinare, sulla base di strategie definite a livello di macroarea, anche le altre programmazioni di sviluppo territoriale (Pnrr e fondi di coesione). Un percorso che però necessita di un’accelerazione delle procedure attuative – il Piano strategico non risulta ancora formalmente approvato – e di risorse certe nel tempo per le agevolazioni alle imprese (il credito d’imposta Zes è finanziato per il solo 2025), ma soprattutto di una continuità di impegno politico. L’incertezza sulle prospettive delle deleghe governative per il Mezzogiorno e il rischio di uno spacchettamento delle deleghe su Affari europei, Sud e Pnrr rischiano di pregiudicare il completamento delle riforme avviate.
“Il Nord e’ relativamente in crisi piu’ del Sud, e la prospettiva non e’ che Sud mantiene la crescita e il Nord mantiene la crescita. E la prospettiva e’ pesante per il Nord e per il Sud”, ha sottolineato il presidente della Svimez, Adriano Giannola. “Questa prospettiva da’ origine alla legge Calderoli. La legge Calderoli e’ la fuga disperata del Nord per la sua crisi. E’ una illusione, e’ un suicidio, pero’ quello era, perche’ costituzionalizza la spesa storica. La legge Calderoni una cosa faceva subito, immediatamente, contro la Costituzione: la costituzionalizzazione della spesa storica sulle materie che era possibile avere, quindi era prendo tutto e scappo. La Corte Costituzionale ha dissezionato la legge chirurgicamente, con molta professionalita’, e ha rimesso la palla al Parlamento”.