L'Architettura vista da LPP

L'ARCHITETTURA VISTA DA LPP

La mostra Tribute. L’architettura come forma di dialogo, che racconta, attraverso nove lavori, la migliore produzione dello studio Archea/Marco Casamonti, farà storia. E la ricorderemo negli anni a venire con una battuta: la festa organizzata dalla mamma per celebrare il papà.

Come spiega il curatore, Luca Molinari, nell’introduzione al catalogo, secondo Antonio di Pietro Averlino detto il Filarete (1400-1469) una buona opera di architettura deve avere non solo una madre, che è l’architetto, ma anche un padre, che è il committente. Quel papà di cui spesso, per esaltare la creatività della mamma, ci dimentichiamo. Ma senza l’apporto del quale non si sarebbe potuto fare granché.

Non so quanto questa immagine possa essere oggi giudicata patriarcale e maschilista dai sostenitori del politically correct e/o della cultura woke.

L’idea però di coinvolgere in una mostra di architettura il committente è molto efficace dal punto di vista della strategia commerciale e, vedrete, che presto, magari senza più evocare le figure di mamma e papà, sarà adottata da altri importanti studi di architettura. Celebrando i committenti, lo studio Archea/ Marco Casamonti, in fondo, celebra se stesso, la abilità a portare i clienti dalla propria parte promuovendoli in molti modi.

L'ARCHITETTURA VISTA DA LPP

Con questo articolo, Luigi Prestinenza Puglisi avvia la sua rubrica settimanale su Diario DIAC. Un grazie sentito a lui per questa preziosa collaborazione ritrovata che ci aiuta a capire meglio cosa vogliamo essere (g.s.).

Quale è lo stato di salute dell’architettura italiana? Saremmo tentati di rispondere che è buono. Ci sono, infatti, numerosi studi di progettazione che realizzano edifici piacevoli, raffinati e anche sofisticati. Lavorano un po’ in quasi tutte le regioni della Penisola con risultati notevoli. Assistiamo al fiorire di opere in Puglia, in Sicilia, nel Trentino Alto Adige, nel Veneto. E poi c’è Milano, una delle capitali dell’architettura europea.

Si tratta di belle costruzioni, ma difficilmente di capolavori. Spesso gli edifici sono molto simili tra loro. Sono caratterizzati da ampie vetrate, da materiali naturali, dal disegno sicuro e raffinato dei dettagli. Alcuni parlano di taglio sartoriale. Altri di artigianalità. Pochi di poesia.

Ecco il punto. Il gioco delle forme sembra spesso ridursi a una semplice questione di stile, a una ricerca di valore aggiunto per meglio piazzare il bene sul mercato.

Il recente libro scritto a quattro mani da un appassionato architetto, Gianluca Peluffo, e da un non meno appassionato critico, Valerio Paolo Mosco, denuncia tale condizione cercando di individuare una via di uscita a partire da una rigorosa autoanalisi. Ovviamente, come rigorose possono essere le autoanalisi di un architetto e di un critico di architettura.

Lo fa a partire dal titolo: Spazi, corpi, figure.

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