L'audizione alla Camera
Rixi: “Nessuna privatizzazione delle Fs ma aperti a investimenti RAB. Le NOMINE sono responsabilità della holding e del Mef, non del Ministero delle Infrastrutture”
In una audizione davanti alla Commissione Trasporti della Camera, Rixi ha toccato tutti i temi caldi del dossier Ferrovie: ha chiarito che non entreranno i privati nel capitale ma l’analisi in corso verte sull’apertura a investimenti sul modello Rab nel perimetro dell’alta velocità. Netto sulle nuove nomine: il Mit non interviene ma sono scelte dell’azienda con l’avallo del Mef. Per rilanciare l’azienda, l’ad ha fatto le sue scelte con un “riequilibrio manageriale infragruppo”
Sulla (non) privatizzazione delle Ferrovie dello Stato, la linea del Governo è chiara. “Non c’è intenzione di privatizzare il gruppo” e “non facciamo entrare i privati nel capitale di Fs”. La strada che si sta percorrendo è quella di un’apertura agli investimenti privati secondo il modello Rab perché sarebbe, altrimenti, impossibile finanziare con le sole risorse pubbliche un fabbisogno di 200 miliardi di investimenti necessari per ammodernare la rete nei prossimi 10-15 anni. Sul rinnovo dei vertici delle controllate, il Mit non è stato in partita perché le nomine non sono di sua competenza ma essendo di secondo livello spettano alla holding Fs con l’avallo del Mef. Sono due dei temi ‘caldi’ che hanno tenuto banco nell’audizione del viceministro delle Infrastrutture e Trasporti, Edoardo Rixi, nella lunga audizione, ieri davanti alla Commissione Trasporti della Camera sullo stato delle Ferrovie.
Il primo punto fermo, dunque, che Rixi ha voluto fissare è che la proprietà delle Ferrovie rimarrà pubblica: “non c’è un ingresso dei privati. La privatizzazione vuol dire o vendere parte del gruppo sul mercato, o far entrare privati all’interno del gruppo; la proprietà continuerà a rimanere pubblica”, ha ribadito Rixi. Quello che si sta facendo, ha spiegato, è “analizzare la possibilità sulle tratte che sono oggi a mercato, quindi non sui servizi regionali, ma sull’alta velocità, di aprire investimenti remunerati, quindi di far ricorso a capitali privati, è invece un tema” anche perché “il fabbisogno di Rete ferroviaria italiana per essere competitiva a livello europeo e diventare il primo grande operatore europeo è di investimenti per oltre 200 miliardi di euro: calcolate che il Pnrr ne ha portati 24 miliardi. Se, in 10 o 15 anni, abbiamo bisogno di quella somma – ha sottolineato Rixi – tutti sappiamo che il bilancio dello Stato non è in grado di erogarla, a meno di non decidere di raddoppiare le tasse agli italiani: siccome è un servizio ad alta remunerazione, si sta vedendo nel gruppo di incentivare tutto il tema degli investimenti, e quindi di creare una società, FS International, che pensi all’internazionalizzazione del gruppo e che quindi farà servizi non in Italia, ma negli altri mercati, non solo europei, ma anche extraeuropei, nordamericani e asiatici”.
A riscaldare gli animi c’è poi sempre il tema delle nomine, che, a distanza di una settimana dalle assemblee che hanno dato il via libera i nuovi vertici con il passaggio di Gianpiero Strisciuglio da Rfi a Trenitalia, rimane un nervo scoperto, a giudicare dal pressing in audizione del Pd (che aveva presentato a gennaio un’interrogazione parlamentare sulla compatibilità dell’incarico). E il ragionamento di Rixi, più volte ribadito, è stato netto: in virtù di una divisione dei poteri, “Il Mit non si occupa delle nomine ma esercita il proprio ruolo di vigilanza sulla gestione del contratto di programma con Rfi. Il Mit- ha insistito – non si occupa di procedure di nomine, non è penetrante nei processi interni di audit del gruppo. E’ il Mef che decide la congruità delle nomine. A me non interessa che l’ad sia Tizio o Sempronio, a me interessa che faccia bene il suo lavoro”. Rixi ha, quindi, ricordato i passaggi di questa vicenda (come Diario Diac ha riportato in queste settimane): l’indicazione dei nomi da parte del cda di FS Spa; la richiesta del Mef di un audit dell’azienda per verificare l’esistenza o meno di ostacoli sulla conferibilità dell’incarico a Strisciuglio e l’indicazione di procedere in assenza di fattori ostativi; la verifica dell’audit dell’assenza di questi elementi e quindi il via libera dell’ assemblea. Iter di cui l’Art è stata informata e alla quale deve essere trasmesso tutto il dossier.
“C’è stato – ha puntualizzato Rixi in sede di replica – un amministratore delegato che ha fatto il suo piano per rilanciare l’azienda e risolvere le criticità. All’ad è stata data una copertura per andare a fare le sue scelte per l’efficientamento e ha pensato di fare questo spostamento per esigenze di riequilibrio manageriale infragruppo. L’azienda ha seguito la sua strada in maniera lineare con prudenza e trasparenza. Tutte le richieste – ha quindi aggiunto rivolto ai parlamentari – tutte le richieste e le domande devono essere rivolte al gruppo”.
Altro tema caldo quello dei lavori e dei cantieri sulla rete. “Nei prossimi 10 anni saranno realizzate infrastrutture per uno sviluppo complessivo di circa 700 chilometri di nuova rete: se vogliamo considerare anche i raddoppi di linea, arriviamo a 1250”, ha riferito Rixi. “Negli ultimi 10 anni – ha rimarcato – mi sembra che abbiamo fatto 100 km di rete: è evidente che stiamo parlando di insiemi difficilmente commensurabili. Negli ultimi 20 anni abbiamo fatto 1000 chilometri, e l’età media della rete è vicina agli 80 anni, ma escludendo l’alta velocità la media arriva intorno ai 100 anni. Per adeguare l’intero sistema – sostiene – abbiamo bisogno di risorse, di tempi, ma dobbiamo anche riuscire a mantenere il servizio e lavoriamo quindi in condizioni di particolare stress”. Sulla rete ferroviaria “nel 2023 abbiamo avuto circa 3,8 miliardi di manutenzioni tra ordinarie e straordinarie. Nel 2024 il dato è più alto, e nel 2025 sarà ancora più alto. La media con cui siamo partiti era nel 2010 di 1,8 miliardi e nel 2020 di 2,8 miliardi: dal 2020 a oggi abbiamo incrementato di un miliardo il tema delle manutenzioni”, ha detto ancora Rixi ricordando che “la rete non solo è stressata per i lavori, ma, come quella autostradale, ha avuto in passato dei momenti in cui erano diminuite fortemente le manutenzioni” e se le manutenzioni ordinarie sono insufficienti “poi diventano manutenzioni straordinarie, che sono quelle che mettono più in crisi la rete”. Basta poi guardare ai numeri dell’alta velocità: i volumi complessivi circolanti sono cresciuti dai 308 treni del 2017 ai 377 del 2024, con punte superiori ai 400 treni sulle tratte ad alta velocità, con la stessa infrastruttura e senza infrastrutture nuove.
Inoltre, c’è un problema di ritardo tecnologico. Sui nodi ferroviari, “abbiamo ancora tecnologie risalenti agli anni ’50 sul nodo di Napoli, su Milano Centrale del 1985, mentre la centralina di Roma che era saltata creando problemi era del 1999”. Ma per intervenire la strada non è il modello tedesco con la chiusura: “ad esempio la stazione di Milano Centrale si può aggiornare in un anno e mezzo o due, ma chiudendo la stazione. Si sta cercando di trovare una via di mezzo tra il disagio e la velocità di esecuzione dei lavori”. Inoltre, in Italia abbiamo già circa 1.100 chilometri di rete ferroviaria attrezzati col sistema Ertms; Rfi ha nuovi investimenti tecnologici per l’attrezzaggio di altri 4.200 chilometri di rete esistente, e di circa 500 chilometri di nuova rete che stiamo costruendo”.
Rixi ha parlato anche di intermodalità. “Sono in corso interlocuzioni con le regioni per razionalizzare e ottimizzare il sistema degli incentivi a sostegno del settore logistico intermodale”, ha riferito. Ad oggi “abbiamo regioni che hanno condiviso col Governo la necessità di mettere quote come Ferrobonus mentre altre non hanno partecipato”. Per questo, spiega, “sul territorio nazionale, a seconda dei territori che si passano, gli incentivi sono differenti; quello che vorremmo è armonizzare il territorio nazionale convincendo le regioni italiane che investire sul ferro sia un vantaggio innanzitutto per loro”.
Tra le domande dei parlamentari, anche lo stato dell’arte e dei finanziamenti della Torino-LIone. “Il consiglio di amministrazione di Telt nella seduta svolta a luglio 2024, ha preso atto della nuova programmazione dei lavori, aggiornando il cronoprogramma dell’opera che prevede la messa in servizio commerciale della linea il 31 dicembre 2033, e ha aggiornato il costo a vita intera della sezione transfrontaliera all’importo di 11,1 miliardo di euro a valuta del 2012, pari a 14,7 mld di euro a valuta corrente. Il contributo ricevuto dall’Ue nell’ambito del programma Cef 2021-’27, pari a 700 mln di euro, è in linea con quanto ricevuto per il tunnel di base del Brennero l’anno precedente”.