LA GIORNATA
Rinnovabili, servirà un titolo edilizio anche per l’attività libera. Pareri paesaggistici per rifacimenti e potenziamenti
Per gli impianti non autorizzati, ecco sanzioni pesanti da mille a 150mila euro
7 agosto
IN SINTESI
Ultimo Consiglio dei Ministri prima dell’estate. L’appuntamento è per stamani alle 11 e nell’ordine del giorno c’è, finalmente, anche il Testo Unico sui regimi amministrativi per gli impianti Fer, cioè delle fonti di energia rinnovabile. Le ultime novità rispetto al testo atteso da mesi ormai in Consiglio (qui la prima versione del testo), e originariamente ben visto dagli operatori, non fanno sorridere gli stessi addetti. Infatti, il senso del riordino normativo era accelerare le procedure autorizzative semplificandole con tre vie: attività libera, procedura abilitativa semplificata e autorizzazione unica. Tre format distinti a seconda delle dimensioni degli impianti, della loro potenza e della zona d’installazione, pur lasciando alle Regioni ulteriore spazio di manovra per ulteriori regole ma sempre in ottica semplificativa.
Invece, la nuova bozza ha portato in dote delle complicazioni non da poco a questo percorso che si va a sommare a quello normativo giunto con i decreti Aree idonee e Agricoltura di giugno-luglio. All’articolo 11, anzitutto, si inseriscono pesanti sanzioni amministrative per le installazioni di impianti non autorizzati per un importo tra i mille e i 150mila euro. Ma a far storcere il naso agli addetti energetici è altro. Gli interventi previsti in attività libera, infatti, vengono sottoposti a vincolo paesaggistico “che si esprime entro il termine di trenta giorni dalla data di ricezione dell’istanza di autorizzazione, previo parere vincolante della Soprintendenza competente, da rendere entro venti giorni”.
Per Elettricità Futura, “dopo il Dl Agricoltura, che ha vietato i nuovi impianti fotovoltaici sui terreni agricoli, e il Dm Aree Idonee, che rischia di rendere quasi tutto il territorio non idoneo alle rinnovabili, ora sono minacciati anche i progetti di ammodernamento e potenziamento degli impianti esistenti che non occupano nuovo suolo. In assenza di modifiche, questo Decreto impedirebbe il raggiungimento degli obiettivi del Dm Aree Idonee, del Piano Nazionale Integrato Energia Clima (Pniec) e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr)”. Non solo, “oltre a essere in netto contrasto con la delega del Parlamento, la bozza di Decreto è in netto contrasto con le Direttive europee Red II e Red III perché peggiora il quadro normativo vigente e blocca anche l’ammodernamento e il potenziamento degli impianti esistenti a fonti rinnovabili. Infatti, la normativa nazionale attualmente in vigore consente di ammodernare e potenziare gli impianti rinnovabili già installati senza ulteriori autorizzazioni anche in presenza di vincoli paesaggistici, proprio perché si tratta di impianti esistenti e che quindi avevano già ottenuto tutte le necessarie autorizzazioni. Mentre la bozza di Decreto prevede che anche per questi progetti si debba chiedere una nuova autorizzazione, introducendo inutili costi e lungaggini burocratiche”. Per il presidente Agostino Re Rebaudengo, “non c’è alcun dubbio che in Italia sia diventato impossibile realizzare gli impianti necessari per raggiungere gli obiettivi al 2030 ed evitare di incorrere in pesanti sanzioni europee. Si apre un grave problema di credibilità per il nostro Paese che prende impegni ma poi fa l’opposto e anche di responsabilità nei confronti dei cittadini italiani, perché saranno loro a dover pagare i maggiori costi dell’energia e le sanzioni europee per il mancato raggiungimento degli obiettivi a causa di scelte politiche che precludono questa possibilità, esponendoci al rischio di procedure d’infrazione. Persino gli atti di semplificazione come questo Decreto diventano occasioni per complicare ancora di più il quadro normativo”. Con un allungamento dei tempi autorizzativi che contrasta con il senso del riordino normativo.
Duro anche il Coordinamento Free: “Sembra che ogni occasione sia buona per introdurre qualche ostacolo sul percorso di autorizzazione e gestione di impianti FER e neppure questa bozza di decreto fa eccezione”, ha detto il presidente Attilio Piattelli. “In particolare è spuntata la necessità di acquisire un idoneo titolo edilizio, fatto che sembra applicarsi in modo generalizzato anche agli interventi che dovrebbero essere realizzati in edilizia libera. È poi spuntata la necessità di acquisire pareri paesaggistici per interventi di rifacimento e potenziamento ricadenti in alcune fattispecie di aree tutelate che fino a ora era possibile invece realizzare ricorrendo all’edilizia libera”.
Restano ferme le disposizioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 ai fini dell’acquisizione del titolo edilizio necessario alla realizzazione degli interventi di cui al presente decreto.
“Riteniamo che, avendo il governo definito gli obiettivi al 2030 per lo sviluppo e la realizzazione delle Fer, gli atti legislativi dovrebbero essere indirizzati al loro raggiungimento e quindi individuare in maniera univoca le aree idonee e di accelerazione per facilitare l’ottenimento delle autorizzazioni su queste aree, mentre purtroppo dobbiamo constatare che il recente Decreto Aree Idonee e l’attuale bozza di riordino normativo vanno esattamente nella direzione opposta: complicare anziché semplificare. Esattamente il contrario di ciò che sia il clima sia il sistema paese necessitano per la transizione energetica, la riduzione del costo dell’energia e la sicurezza energetica. E per fare tutto ciò è necessario imboccare con decisione la strada delle rinnovabili senza ripensamenti, per uscire il prima possibile dall’era delle fonti fossili”, ha concluso Piattelli.
Audizioni sul correttivo del Codice: le richieste di Anac, Ance, cooperative, Confartigianato e Anir
Come raccontato ieri su Diac, si sono svolte oggi le altre e principali audizioni sul correttivo al Codice degli appalti. Sono intervenuti Ance, Legacoop, Anac e Rpt. In attesa degli altri documenti, ecco le richieste dell’anticorruzione, dei costruttori, delle cooperative e Confartigianato.
Secondo Busia, presidente dell’Anac, “bisogna limitare il fenomeno dei subappalti a cascata che è a vantaggio solo di chi sta in testa alla catena degli appalti e viene pagato dai lavoratori, dai piccoli imprenditori e dalla stessa stazione appaltante. Quanto più se ne fa un uso solo quando è giustificato, tanto meglio è. Si può lavorare sia sulle motivazioni sia sui controlli nel momento in cui si va oltre il secondo livello prevedendo, per esempio, che dopo il secondo livello non si possa agire se non c’è l’autorizzazione della stazione appaltante e che non si possa agire se tutte le verifiche non sono state fatte. Sarebbe meglio lavorare sui tempi dei pagamenti alle imprese, che sono un problema vero per l’Italia, e non comprimere i tempi della verifica che i lavori siano fatti bene”. E ancora: “Lì meglio metterci più tempo e invece aiutare le piccole e medie imprese ad accedere al mercato”. Sulla norma che ha appena compiuto un anno: “I due elementi qualificanti del nuovo codice sono digitalizzazioni e qualificazione delle stazioni appaltanti e degli operatori economici attraverso i rating reputazionali. Sono due delle principali novità che il nuovo codice ha introdotto e che vanno mantenute e semmai rafforzate. Non facciamo passi indietro su questo. Sono misure che garantiscono e risolvono in concreto molti degli altri problemi che eventualmente sorgono”.
“L’impostazione generale del codice dei contratti pubblici, ispirata alla logica del fare bene e fare presto, appare senz’altro condivisibile. Ma è necessario fare di più per facilitare la concorrenza ed evitare di ricorrere al massimo ribasso nelle gare”, ha detto la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio. “Per gli affidamenti sopra la soglia dei 2-3 milioni di euro, è fondamentale ripristinare l’obbligo di procedure aperte e concorrenziali”, ha spiegato. “Appare non del tutto coerente la scelta di ampliare ulteriormente l’autonomia dei settori speciali, dal momento che rappresentano il 36% del mercato”. Inoltre, “il mercato ha bisogno di omogeneità e certezza del diritto per ben operare e crescere. Non appare condivisibile che chi abbia ottenuto le concessioni senza gara non abbia poi alcun obbligo di recuperare questo gap concorrenziale a valle, ove operi nei settori speciali. In tal modo, è a rischio concorrenza il 50% del mercato”. Serve, secondo i costruttori, “una soluzione in grado di coniugare risultato e concorrenza, efficacia del processo e apertura del mercato a tutte le imprese in grado di competere”. Sbagliata, in sostanza, la scelta di istituzionalizzare, fino alla soglia comunitaria, l’utilizzo delle procedure negoziate senza bando. Quanto, invece, al principio del risultato, che presuppone che l’opera pubblica venga aggiudicata a chi è in grado di assicurare il miglior rapporto qualità-prezzo, “mal si concilia con l’avvenuta eliminazione del tetto massimo al punteggio da attribuire al prezzo in sede di offerta economicamente più vantaggiosa. Così facendo, si finisce per reintrodurre, di fatto, il massimo ribasso che Ance ha sempre fortemente combattuto, perché impedisce la presentazione di offerte serie e ben ponderate, dando luogo a spirali ribassiste che, da tempo, hanno dimostrato di non essere funzionali ad una esecuzione a regola d’arte dei lavori”. Nella nota, e più approfonditamente nei documenti consegnati, i costruttori hanno spiegato che “i principi del risultato, della fiducia, dell’equilibrio contrattuale, dell’apertura del mercato alla concorrenza, nonché, quello della qualificazione delle SA, la spinta verso la digitalizzazione, sono tutte innovazioni di importanza strategica” ma serve appunto una traduzione in cantieri e poi in opere fruibili dai cittadini e, a tal fine, occorre renderli pienamente coerenti con le ulteriori disposizioni di cui si compone il Codice, affinando se del caso, le parti non del tutto allineate. Un altro principio da concretizzare e attuare compiutamente è quello della fiducia. Invece, la figura dell’illecito professionale, che senza dubbio appare migliorata, dovrebbe tuttavia essere ricondotta entro confini più precisi, circoscrivendo le fattispecie rilevanti e superando, ai fini della rilevanza, le misure cautelari e il rinvio a giudizio per tutti i reati, attestandosi sempre sulla pronuncia almeno di primo grado, ha detto l’Ance. Infine, la conservazione dell’equilibrio contrattuale. Positivo, per i costruttori, il ritorno dell’istituto della revisione prezzi, presente in tutte le migliori legislazioni europee ed internazionali. L’assenza, al contrario, ha determinato il rischio di un vero e proprio blocco del settore, se non fossero intervenute le misure emergenziali predisposte dal Governo negli ultimi anni. Ma per fare meglio e di più serve, per l’Associazione, che il 5% costituisca unicamente la soglia di attivazione del meccanismo revisionale, mentre l’80% da liquidare va calcolato rispetto all’intera variazione intervenuta, e non solo alla parte eccedente il 5%. Presupponendo da principio che i progetti messi in gara siano basati su prezzi aderenti agli effetti valori di mercato. Ultimi ritocchi citati riguardano poi il mantenimento dell’attuale sistema su urbanizzazione a scomputo; l’equivalenza delle tutele esclusivamente per i contratti collettivi nazionali e territoriali di categoria stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; il ritorno a un regolamento attuativo dei lavori pubblici.
Per le cooperative, invece, se da un lato il nuovo Codice dei contratti pubblici ha portato diverse innovazioni di grande rilevanza, dall’altro, a un anno dalla sua applicazione, sono necessarie alcune migliorie per risolvere problematiche applicative e perfezionare l’impianto complessivo. “Le risoluzioni presentate dai gruppi parlamentari rappresentano un contributo molto positivo alla discussione”, ha sottolineato ieri in audizione l’Alleanza delle Cooperative. Capitolo prezzi: l’Alleanza delle Cooperative propone un abbassamento e in ogni caso che si chiarisca che la soglia del 5% indicata nella norma non costituisce una franchigia ma una soglia di attivazione della clausola di revisione prezzi prevedendo, inoltre, nel testo del Codice, un’esplicita indicazione, quale causa di attivazione, dell’incremento del corrispettivo legata al costo del lavoro derivante dai rinnovi di tutti i Ccnl applicati dall’appaltatore, a tutti i servizi ad alta intensità di manodopera, nonché i contratti relativi ai servizi sociali, multiservizi e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica. Altre proposte, invece, vertono sui criteri per la valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa (estendere a tutti i settori e abbassare dal 30% al 20% il peso del prezzo sulla valutazione complessiva), alcuni chiarimenti in merito alla regolamentazione della partecipazione dei consorzi cooperativi e non alle gare pubbliche, per valorizzare la partecipazione delle Pmi. Bisogna poi chiarire che il Ccnl può essere applicato diversamente nel settore rispetto a quello della stazione appaltante per definire meglio l’equivalenza delle tutele tra i diversi contratti di lavoro legittimamente applicati dall’appaltatore. Infine, hanno detto le cooperative, sulla regolazione dell’illecito professionale, causa di esclusione dalla gara, va meglio circoscritta la valutazione discrezionale delle stazioni appaltanti, nel rispetto del principio costituzionale di presunzione di innocenza in assenza di condanna.
“Garantire un sistema di appalti pubblici più equo, trasparente e accessibile alle micro e piccole imprese, tutelando la qualità delle opere e scongiurando pratiche sleali”. È quanto hanno chiesto, infine, Confartigianato Imprese e Cna. “Le risoluzioni rappresentano un’opportunità per introdurre correttivi necessari a migliorare l’efficacia del Codice e la trasparenza degli appalti”. Le Confederazioni “hanno ribadito la necessità di una revisione automatica dei prezzi anche per le imprese subappaltatrici, per assicurare equità e prevenire illeciti arricchimenti”. Inoltre, vi è “la necessità di limitare il subappalto a cascata a un solo livello, per evitare pratiche di concorrenza sleale e garantire la qualità delle prestazioni”.
Questo, infine, l’intervento in audizione di Anir Confindustria rappresentata dal Presidente Massimo Piacenti e dal Segretario Generale Paolo Valente. “È una questione cruciale per il settore dei servizi» afferma il Presidente Piacenti, «in questi mesi è stato dimostrato quanto sia volatile il mercato dei beni agro-alimentari. Il Codice Appalti deve poter riconoscere automaticamente la revisione dei prezzi in caso di aumenti, almeno per quanto riguarda il settore dei servizi. La proposta che facciamo da tempo, punta a garantire l’efficacia dei servizi erogati e una maggiore stabilità e sostenibilità delle imprese del nostro settore, che spesso si sono trovate a dover affrontare aumenti dei costi senza la possibilità di adeguare i prezzi nei contratti in essere. Questo non solo mette a rischio la sopravvivenza delle aziende, ma anche la qualità e la sicurezza dei servizi offerti ai cittadini. Sosteniamo da sempre, come ANIR Confindustria, l’importanza della qualità e della sicurezza nei servizi di ristorazione collettiva. Questo della revisione automatica dei prezzi è un passo fondamentale per garantire degli standard di qualità elevati e il miglior modo per le aziende di stare sul mercato. Continueremo a lavorare a stretto contatto con le Istituzioni, e ringrazio tutti gli onorevoli dell’VIII Commissione per il prezioso lavoro che stanno effettuando e l’opportunità che hanno dato alla nostra associazione, di poter continuare a collaborare per migliorare la situazione in un settore cruciale come quello del cibo pubblico”.
Anac, qualificate 4.541 stazioni appaltanti: +6% dal 31 marzo
Aggiornamento al 1° luglio 2024, a un anno dall’entrata in vigore del nuovo Codice appalti, del numero delle stazioni appaltanti che in Italia si sono qualificate: sono 4.541, dice il report Anac, con una crescita del 6% rispetto al 31 marzo. Di queste fanno parte però 202 stazioni appaltanti qualificate con riserva la cui qualificazione decade dal 1° luglio, salva la possibilità per le stesse di fare richiesta successivamente. Senza queste le amministrazioni qualificate scendono a 4.339.
A queste vanno aggiunte 8.063 amministrazioni che si sono convenzionate alle 494 centrali di committenza operative. Proprio questo è il numero che consente all’Anac di affermare che la qualificazione viaggia a pieno regime, di pari passo alla digitalizzazione, e che a oggi è un successo. Il rapporto fra amministrazioni qualificate e amministrazioni convenzionate, che hanno rinunciato a una qualificazione diretta e si “appoggiano” a una centrale di committenza, è quasi di uno a due, l’indice della selezione che chiedeva il codice. Il Report che alleghiamo contiene la fotografia anche per settore e livello di qualificazione, nonché una dettagliata ripartizione regionale.
Il focus di questo Report è, inoltre sulle competenze e sulla formazione delle stazioni appaltanti. “Sia per le non qualificate che per le qualificate in L2 ed L3 il numero totale dei dipendenti della struttura organizzativa stabile (SOS) è di 5 unità, di cui 1 dirigente, 2 funzionari (tranne per le non qualificate in cui il numero di funzionari è uno) e 2 impiegati. Anche il grado di istruzione è lo stesso, se si considera il diploma, mentre la laurea specialistica è posseduta da due unità di personale per le amministrazioni non qualificate e le qualificate in L3 e 2 unità per le qualificate in L2”.

Il valore mediano del personale con un diploma tecnico è invece pari ad 1 per tutte le quattro tipologie di amministrazioni appaltanti. Anche il personale iscritto ad albi professionali presenta lo stesso valore mediano tra le diverse amministrazioni appaltanti ad eccezione delle qualificate in L1. Una maggiore eterogeneità si riscontra, invece, rispetto al numero di dipendenti esperti, ovvero con più di 5 anni di esperienza negli ambiti e settori di qualificazione: 5 unità per le qualificate nel livello massimo (L1), 3 unità per le qualificate in L2 e L3 e 2 unità per le non qualificate. È interessante notare, inoltre, come la presenza di personale con competenze in project management sia invece presente, a livello mediano, con una sola unità e soltanto tra le amministrazioni qualificate per il livello massimo (L1). Riguardo alla “formazione”, invece, risulta che il valore mediano dei dipendenti che partecipa a formazione di base varia dalle 5 unità per le qualificate in L1 alle 3 unità per le qualificate in L2 ed L3 e 2 unità per le non qualificate. Sorprendentemente, invece, il valore mediano delle unità di personale che seguono corsi di formazione avanzata è pari ad 1 e soltanto per le qualificate in L3, mentre i corsi di formazione specialistica vengono utilizzati soltanto dalle qualificate per il livello minimo o massimo (L3 o L1). Risultati molto simili a quelli rappresentati in figura 1, si ottengono considerando il settore dei “servizi e delle forniture” (figura 2).

Conclude il report: “il settore “servizi e forniture” differisce da quello dei “lavori” soprattutto per un valore mediano pari a zero relativamente agli esperti in project management e alla formazione avanzata per tutte le 4 tipologie di amministrazioni appaltanti. Dalla tabella 11 alla tabella 13, oltre alle mediane, vengono riportate altre statistiche come la media, un indicatore di variabilità (deviazione standard) e i valori minimi e massimi assunti dai diversi fattori attraverso i quali sono stati valutati i requisiti delle “competenze” e la “formazione” 7 delle amministrazioni appaltanti. Come si evince dalla tabella 11, le amministrazioni qualificate per livello massimo sono pari a 1.928 per il settore dei “lavori” e 2.563 per quello dei “servizi e forniture”. Tra i due settori non emergono differenze rilevanti se non per il numero medio di dirigenti della SOS (pari a 2,6 unità per “lavori” e 3,6 unità per “servizi e forniture”), il numero di iscritti in albi professionali e di dipendenti che seguono corsi di formazione base (maggiore di circa una unità nel settore Lavori)”.

Quanto al livello intermedio, invece, “si registra una significativa riduzione non solo delle unità di personale ma anche delle loro “competenze” e della loro “formazione”. Il numero medio di dipendenti della SOS si riduce da 25,8 delle qualificate in L1 a 10,4 e da 27 delle qualificate in SF1 a 15,4. Il numero medio di dipendenti con laurea specialistica, con diploma e con diploma di istruzione tecnica, nonché di dipendenti con esperienza ultra-quinquennale negli ambiti e settori di qualificazione e di quelli con competenze in project management si riduce di oltre la metà. La stessa riduzione si registra per la formazione, sebbene nel settore “servizi e forniture” sia molto meno marcata rispetto al settore “lavori”.

Infine, considerando “il livello minimo di qualificazione (L3 ed SF3), si assiste ad una riduzione modesta sia del personale sia delle loro competenze e attività formative e, in alcuni casi, ad un loro aumento, soprattutto nel settore “lavori” (tabella 13). Infatti, mentre nel settore “servizi e forniture” si riducono rispetto al livello SF2, numero, competenze e formazione del personale, ad eccezione della formazione avanzata che aumenta seppur lievemente, nel settore dei “lavori” aumenta, rispetto al livello L2, il numero medio dei dirigenti delle SOS, dei dipendenti laureati e con master e, soprattutto, aumenta notevolmente la formazione dei dipendenti, soprattutto quella avanzata.

Liguria, incontro Toti-Salvini
Incontro a Roma tra Matteo Salvini e Giovanni Toti. È stata l’occasione per fare il punto della situazione sulla regione Liguria: non solo dal punto di vista delle infrastrutture e dello sviluppo economico, ma anche considerando le elezioni che il centrodestra è determinato a vincere. La Liguria ha registrato nell’ultimo triennio una crescita record, oltre la media nazionale in diversi settori chiave: seconda regione d’Italia per crescita del reddito pro capite, quarta per crescita del Pil, tra le prime cinque per crescita dell’occupazione. Negli ultimi anni, hanno convenuto Salvini e Toti, la Liguria ha fatto passi da gigante anche in termini di investimenti e nuove opere: un patrimonio che non può essere disperso. Così, ieri, una nota della Lega.
Piano Mattei, ecco il comitato tecnico
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ha firmato il 30 luglio il Dpcm che istituisce il comitato tecnico per il Piano Mattei definendone la composizione e le funzioni. Sette i membri, quattro della Presidenza del Consiglio. Fabrizio Saggio, che sarà presidente; Lorenzo Ortona, Simonetta Saporito e Angelandrea Falcone. E ancora: Alessandro Guerri (Mase), Riccardo Ercoli (Mef) e Massimo Riccardo (ministero degli Esteri).
Il Comitato tecnico opererà presso la presidenza del Consiglio dei ministri, nell’ambito della Struttura di missione del Piano Mattei, i componenti lavoreranno senza retribuzione specifica, con compiti deliberativi e di indirizzo.
Edison energia fornirà elettricità da fonti green a Rfi
Edison Energia, società del Gruppo Edison attiva nella vendita di energia elettrica e gas a famiglie e imprese e servizi a valore aggiunto al segmento retail, ha vinto la gara indetta da Rete Ferroviaria Italiana per la fornitura di 100 GWh all’anno di energia elettrica certificata green. La fornitura sarà destinata a uffici, locali tecnologici, stazioni e altri impianti fissi su tutto il territorio nazionale.
Snam, accordo con il Viminale
Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e l’Amministratore Delegato di Snam, Stefano Venier, hanno sottoscritto oggi al Viminale un protocollo per prevenire e contrastare il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nelle attività che caratterizzano il core business del Gruppo Snam. L’intesa, che si inserisce in una più ampia strategia di sistema-Paese e di partenariato pubblico-privato, rafforza la cooperazione su scala nazionale in materia di sicurezza pubblica e di legalità per garantire una sempre maggiore tutela dell’economia legale, anche in considerazione dell’impegno assicurato dall’Azienda per la realizzazione, nei prossimi anni, di importanti opere strategiche, alcune delle quali in attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).
La collaborazione tra il Ministero dell’Interno e Snam mira inoltre a realizzare una più efficace prevenzione delle minacce alla sicurezza delle infrastrutture essenziali per il sistema gas italiano oltre che delle irregolarità nella gestione del personale e nell’assegnazione degli appalti. È prevista l’istituzione di una cabina di regia, composta da rappresentanti del Viminale e di Snam, che garantirà un costante scambio informativo fra le parti e monitorerà sullo stato di attuazione dell’intesa. In attuazione dell’accordo potranno inoltre essere stipulati, con i medesimi obiettivi, protocolli a livello locale tra Snam e Prefetture, tenendo conto delle peculiarità di ciascun territorio dove l’azienda opera.