I dati dell'Istat di ottobre

Industria, la produzione al 21° CALO annuo. Tiene su base mensile

Il mese di ottobre segna un altro record negativo per l’industria italiana che registra una nuova flessione annua. Un calo che interessa tutti i principali settori di attività. In questo quadro, positiva è la tenuta su base mensile con una variazione nulla rispetto a settembre. I primi dieci mesi dell’anno registrano un arretramento del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2023. Da Confindustria arriva poi un rapporto che conferma un’altra criticità per le imprese: il mismatch tra domanda e offerta di figure professionali. Due aziende su tre hanno sempre più difficoltà a reperirle

10 Dic 2024 di Maria Cristina Carlini

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Prosegue la serie nera per l’industria italiana con la produzione che segna il ventunesimo calo consecutivo su base annua. Un altro record negativo che fa sembrare (quasi) una notizia buona il dato di tenuta a livello congiunturale. I dati che arrivano dall’Istat relativi al mese di ottobre confermano la lunga fase di difficoltà in cui versa la manifattura nazionale. Su base tendenziale, “prosegue la lunghissima fase di contrazione dell’indice corretto per gli effetti di calendario. La flessione è diffusa a tutti i principali settori di attività ed è più marcata per i beni intermedi e i beni strumentali”, sottolinea l’istituto di statistica.

Nel dettaglio, l’indice destagionalizzato della produzione industriale rimane invariato rispetto a settembre. Nella media del trimestre agosto-ottobre il livello della produzione diminuisce dello 0,7% rispetto ai tre mesi precedenti. L’indice destagionalizzato mensile presenta aumenti congiunturali nei comparti dell’energia (+1,7%) e dei beni di consumo (+1,5%); variazioni negative registrano invece, i beni strumentali (-0,2%) e i beni intermedi (-1,0%).

Al netto degli effetti di calendario, a ottobre l’indice complessivo diminuisce in termini tendenziali del 3,6% (i giorni lavorativi di calendario sono stati 23 contro i 22 di ottobre 2023). Il calo interessa tutti i principali comparti: la riduzione è meno pronunciata per i beni di consumo e l’energia (-0,8% per entrambi i settori), mentre risulta più rilevante per i beni intermedi (-5,2%) e per i beni strumentali (-4,4%). I settori di attività economica che registrano gli incrementi tendenziali più elevati sono le industrie alimentari, bevande, tabacco (+3,7%), la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (+1,6%) e le altre industrie manifatturiere (+1,5%). Le flessioni maggiori si rilevano nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-16,4%), nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-15,9%) e nell’attività estrattiva (-12,4%). A settembre, rileva sempre l’Istat, la produzione dei soli autoveicoli cala del 40% rispetto all’anno precedente. Con il dato di ottobre, si può ora avere anche una maggiore visibilità sull’andamento complessivo dell’anno. Nei primi 10 mesi del 2024, la produzione industriale registra un calo del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2023.

Quello di ottobre è, dunque, come si è detto il ventunesimo calo consecutivo su base annua. Ma i segnali di affanno e difficoltà si manifestano anche prima. E’ a settembre 2022 che comincia la serie negativa, interrotta con l’unico, isolato valore positivo di gennaio 2023 (con un aumento del 2,6%). Ma dopo, da febbraio 2023, riparte la discesa. La contrazione di ottobre risulta leggermente più contenuta della flessione di settembre (-3,9%, il più ampio calo del 2024) ma rimane, comunque, tra i valori più alti dell’anno. Su base congiunturale, l’andamento si mostra, invece, più altalenante. Gli unici due dati con il segno più solo quelli di maggio e giugno (entrambi +0,5%). Tre mesi – febbraio, agosto e ora ottobre – presentano una variazione nulla.

Cgil: 21 mesi ininterrotti di calo, il Paese è in crisi

“L’Istat, che solo pochi giorni fa aveva dovuto rettificare le previsioni sul Pil 2024, riportando il tasso di crescita al più realistico 0,5%, oggi ha certificato il 21° mese consecutivo di calo della produzione industriale, confermando una tendenza negativa su beni di consumo, beni strumentali e intermedi. Una fotografia distante anni luce dalle roboanti dichiarazioni della Presidente Meloni che continua a raccontare un paese immaginario, mentre quello reale affonda”,  dichiara il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo. “È un dato che come Cgil ci aspettavamo – prosegue Gesmundo – perché, al di là della narrazione sempre meno credibile del Governo, la crisi dell’industria la misuriamo quotidianamente ai tanti tavoli istituzionali di crisi al Mimit e a quelli che quotidianamente affrontiamo sui territori. Tavoli che ormai hanno un tratto comune fatto di chiusure e delocalizzazioni di fabbriche e imprese, di riconversioni industriali che impoveriscono qualità di produzione e occupazione, di licenziamenti e cassa integrazione, ammortizzatore che a settembre (ultimo dato disponibile) registra poco meno di 45 milioni di ore, con un incremento del 18,87% sullo stesso mese del 2023”.

Le imprese industriali hanno anche più difficoltà a trovare profili professionali. Il rapporto di Confindustria

Se, da un lato, l’Istat conferma lo stato di affanno dell’industria, dall’altro, arriva la conferma anche di altre criticità che devono fronteggiare le imprese italiane: il mismatch tra domanda e offerta di figure professionali.  Più di due terzi delle imprese italiane segnalano difficoltà nel trovare le competenze necessarie per le proprie attività, con criticità particolarmente evidenti nel reperimento di profili tecnici, indicati dal 69,2% delle aziende, e di personale per mansioni manuali, segnalate dal 47,2% a livello nazionale e dal 58,9% nel settore industriale. Le difficoltà appaiono meno significative in relazione alle competenze trasversali, segnalate dal 16,5% delle imprese, e a quelle manageriali, indicate dall’8,3%. Sono questi i dati che emergono dall’Indagine Connfindustria sul Lavoro 2024, presentata ieri a Roma. Le difficoltà delle imprese si concentrano soprattuttoin settori chiave come la transizione digitale, dove due aziende su tre segnalano problemi nel trovare competenze adeguate. Anche l’internazionalizzazione  rappresenta un’area critica per circa un terzo delle imprese, mentre la transizione green viene indicata dal 15,1% delle aziende come un ambito in cui è complesso reperire figure specializzate. Per far fronte a queste problematiche, le imprese italiane puntano su diverse soluzioni. La formazione del personale
interno rappresenta la risposta principale, adottata dal 59,7% delle aziende. Molte realtà, pari al 49% del totale, si affidano a consulenze esterne per colmare i gap di competenze, mentre quasi un terzo (28,5%) partecipa a iniziative educative territoriali, come gli ITS Academy, i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO), e i tirocini curriculari.L’incidenza del mismatch varia a seconda del settore e delle dimensioni aziendali. Nel comparto industriale, il 73,5% delle imprese dichiara difficoltà nel reperire competenze, contro il 65% nel settore dei servizi. La percentuale cresce con la dimensione dell’impresa, passando dal 64,8% nelle piccole realtà, al 72,8% nelle medie, fino al 77,6% nelle grandi aziende.La formazione del personale emerge, quindi, come uno degli strumenti più efficaci per superare le carenze di competenze. Nel 2023, il 57% delle imprese italiane ha investito in attività formative, ma questa percentuale sale al 66% tra le aziende che hanno dichiarato difficoltà di reperimento. Il fenomeno è particolarmente evidente nel settore industriale, dove si registra una differenza di 18 punti percentuali rispetto alla media generale, con un picco del 21,6% tra le piccole imprese.

 

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