LA CONVENTION DI FORZA ITALIA A TORINO
Piano casa: otto domande senza risposta. Le priorità di imprese e professioni, la rotta incerta del governo
Fondi urgenti per Casa e Rigenerazione. Rosso chiede al Mef risorse per la legge ferma al Senato. Per Brancaccio (Ance) c’è un problema di governance e di priorità nei finanziamenti: la preoccupazione – condivisa da Saporito (Bocconi) – è evitare squilibri fra riqualificazione energetica e disagio abitativo. Prato (Mecenate 90): attivare il Cipu. Buttieri (Federcasa) cerca fondi Bei per ristrutturare 60mila alloggi.
IN SINTESI
Più che un Piano casa è un’Araba fenice. Governo e maggioranza lo usano come bandiera da sventolare all’occorrenza, poi lo nascondono per mesi, a volte lo ripropongono all’attenzione del dibattito pubblico per farne una priorità politica, come ha fatto Forza Italia negli “stati generali” di sabato scorso a Torino, più volte lo ignorano, altre volte ne fanno improvvisamente oggetto di polemica o lo evocano come fosse un sogno o un film surreale: una battuta di 30 secondi di Giorgia Meloni a l Festival dell’Amicizia di Rimini scatena una ricorsa a non si sa cosa, diverse battute di Matteo Salvini mirano a prenderne la guida, gli attacchi di Antonio Tajani ricordano che la casa è nei principi fondativi dati a Forza Italia da Silvio Berlusconi. Mai nessuno dà una certezza in un cammino fatto passo dopo passo, mai una precisazione di contenuti, mai un’indicazione neanche vaga – figuriamoci chiara – di cosa se ne voglia fare, con quali e quante risorse, con quali obiettivi in quali tempi.
Il paradosso più grande accade proprio a Torino, dove in quattro ore e mezza e di confronto serrato e intenso con imprese, professionisti, aziende pubbliche, studiosi, esperti e operatori, l’unica novità di queste ultime settimane – l’inserimento nell’articolo 133 della legge di bilancio di un finanziamento europeo al Piano casa, non quantificato, a carico di un’altra Araba fenice, il Piano sociale per il clima – non viene mai neanche citata. Anzi, no. La cita esplicitamente solo il segretario generale di Mecenate 90, Ledo Prato, amico e lettore di Diario DIAC, che ricorda la norma in collegamento al Piano sociale per il clima e la raccorda alla direttiva Case green (in realtà la destinazione non è ancora definita), quasi a chiedere spiegazioni agli uomini di governo e di maggioranza che sono lì su cosa accadrà. E il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, che interviene da lì a pochi minuti ed è il responsabile di quel Piano sociale per il clima, colui che deve dare le carte e decidere la ripartizione dei 7 miliardi di euro europei disponibili per sette anni fra quattro priorità (Piano Casa, politiche di contrasto al disagio abitativo, mobilità sostenibile e povertà energetica), colui che oggi potrebbe dare un’illuminazione su quante risorse e destinate a cosa, semplicemente ignora il “gancio” di Ledo Prato, il “gancio” dato dalla realtà della manovra, e si mette a parlare di nucleare.
Un film surreale. Un film surreale che Forza Italia ha provato, a tratti e con tanta buona volontà di ascolto, a fermare, per fare stavolta un cammino nella realtà. Certo, queste sono kermesse fatte anche per alzare le bandiere di partito in epoca di manovra e infatti il segretario Antonio Tajani e molti altri interventi confermano che Forza Italia farà le barricate per impedire l’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi. Qualcun altro, come l’organizzatore della convention, il senatore Roberto Rosso, e il capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri, stanno più sul pezzo e chiedono a governo e maggioranza di mettere agli atti le loro proposte sul Piano casa, giusto a ricordare che non sarà una partita a due fra Salvini e Palazzo Chigi, e soprattutto di mandare avanti la legge sulla rigenerazione urbana, di cui Rosso è relatore e Gasparri padre putativo. Quella legge è stata ostacolata in tutti i modi dal ministro alle Infrastrutture, è ancora ferma all’esame degli emendamenti che non possono andare avanti se il Mef non esprime un parere sui 3,3 miliardi in dieci anni che la commissione Ambiente del Senato chiede per il provvedimento. Per ora ci sono 80 milioni, “un assegno depositato in banca per aprire il conto corrente”, ironizza Rosso, e dal Mef, sollecitato in molte occasioni, non sono arrivati segnali, neanche nella legge di bilancio. Che quindi, da quel che si intuisce, vira sul Piano casa e ignora la rigenerazione urbana.
Inevitabili a Torino anche alcuni interventi – ma solo due o tre – che richiamano al Salva-Milano, naufragato al Senato e ora rilanciato da Forza Italia con la variante del commissario straordinario agli alloggi venduti alle famiglie e poi rimasti bloccati. Giusto per strizzare l’occhio a un settore immobiliare ed edilizio che in realtà qui si aspettava chiarezza sul Piano casa, anche perché sul caso Milano Forza Italia ha organizzato un altro appuntamento per il 5 novrembre.
La giornata di sabato a Torino è stata comunque molto utile per raccogliere un’antologia dei dubbi degli operatori sulla indefinitezza dell’attuale Piano casa, per fare il punto sulle richieste delle categorie economiche e professionali, per capire le molte questioni lasciate per aria che il governo ignora, senza provare a dare una risposta in una interlocuzione seria. Forza Italia si è impegnata a prendere nota e inserire queste osservazioni nel “suo” Piano casa. Prendendo vari spunti dagli interventi fatti, ricapitoliamo quindi in otto domande fondamentali (rielaborate da noi) le questioni lasciate dal governo senza risposta.
Le otto domande senza risposta
1. Quanti e quali finanziamenti per il Piano Casa?
La questione chiave della marcia rallentata del Piano casa è che al momento ci sono solo 660 milioni (di cui 100 milioni fino al 2028 per progetti pilota e 560 milioni dopo il 2028), del tutto insufficienti anche ad avviare un intervento. La questione continua a non essere affrontata apertamente dalla politica. Come detto, la legge di bilancio fa un passo avanti considerevole che Diario DIAC ha evidenziato a più riprese (si veda qui uno degli articoli) con l’articcolo 133 che destina i 7 miliardi europei (8,75 con i cofinanziamenti nazionali) del fondo sociale per il clima al Piano casa e alle politiche contro il disagio abitativo (insieme a mobilità sostenibile e povertà energetica). Un’ipotesi, riportata da DIAC, parla di tre miliardi destinati complessivamente alla casa: questa ipotesi non è mai stata smentita da ambienti di governo. Non c’è però, al momento, nessuna certezza, almeno fino al momento in cui sarà presentata la proposta di Piano sociale clima a Bruxelles. Sulla questione mai una riunione di governo, mai una dichiarazione della premier Meloni o del ministro dell’Economia Giorgetti. Nessuna certezza. E questa assenza di certezze è stata ibadita e sottolineata da molti interventi, in particolare dal presidente del Consiglio nazionale degli Architetti, Massimo Crusi.
2. Che cosa si farà con i finanziamenti del Fondo sociale per il clima dell’Unione europea? Solo cappotti?
Un punto di riferimento comunque c’è: l’articolo 113 della legge di bilancio. Non c’è né una quantificazione precisa né la destinazione dei fondi, ma solo una procedura per definire il Piano – che fa capo al Mase – e le quattro priorità, indicate in termini generici. All’osservazione fatta da Ledo Prato, di cui si è detto, va affiancata un’osservazione fatta dalla presidente dell’Ance, Federica Brancaccio, “a margine” del suo intervento al convegno di Torino. “Pensiamo che gli interventi per l’efficientamento energetico – ragiona Brancaccio – siano importanti e siamo stati i primi, come Ance, a porre la questione dell’attuazione della direttiva Case Green sul patrimonio immobiliare italiano. Ma oggi la situazione abitativa è drammatica e non vorremmo che i fondi disponibili fossero destinati tutti a fare cappotti per le case popolari. Serve, in altre parole, un piano che parta dalle vere priorità, contrastare il disagio abitativo”. Sulla stessa linea Raffaella Saporito (Sda Bocconi) quando, illustrando una ricerca sui risultati del Next Generation Eu in ambito casa, ha sottolineato che il 90% dei progetti in tutta Europa ha riguardato la riqualificazione energetica degli alloggi ma – ha ammonito – “attenzione perché la riqualificazione energetica incide sulla povertà abitativa molto più nel Nord Europa che nel Sud”.
3. Quale governance per il Piano casa?
Ancora Brancaccio ha rilanciato uno dei temi che con regolarità l’Ance pone al governo: la necessità di definire per il Piano casa una governance che superi la frammentazione attuale con 40 soggetti che hanno competenza sul tema. Richiesta sacrosanta, che impatta direttamente sulle tensioni politiche, sotterranee, che intorno al Piano casa si giocano. La richiesta del ministro Salvini di un ministero della casa, all’interno del MIT e affidato a lui, è scomparso dai radar. E Giorgia Meloni ha risposta Rimini parlando di “collaborazione con Salvini” che a molti è sembrato un modo per dire che il coordinamento sarà a Palazzo Chigi, con una cabina di regia. Strumento obiettivamente debole che non sembra risolvere il problema della frammentazione. Non è chiaro, al momento, neanche se la partita sia aperta o meno.
4. Esiste una modalità per ristrutturare velocemente 60mila alloggi popolari inagibili?
Marco Buttieri, presidente di Federcasa, la federazione che associa 85 aziende di edilizia residenziale pubblica con 800mila alloggi in gestione, ha confermato la stima di 60mila alloggi popolari attualmente vuoti perché rilasciati in condizione che non li rendono abitabili. Serve un intervento immmediato per rimettere questi alloggi a disposizione di altrettante famiglie presenti nelle graduatorie. Serve un’azione politica che consenta di intercettare i fondi che sulla casa ha intenzione di mettere a disposizione la Banca europea degli investimenti. Federcasa sta lavorando con le Regioni, con la Bocconi, con Invimit a un progetto da presentare a Lussemburgo, ma senza un quadro nazionale normativo e finanziario stabile è difficile portarlo avanti.
5. Quali leve fiscali e finanziarie per favorire l’intervento privato?
Raffaella Saporito (Sda Bocconi) ha spiegato che “non ci sono interventi di housing sociale che ricadano nel triangolo della sostenibilità economica, sociale e ambientale e che non passino per il rapporto fra pubblico e privato”. Ma il “cuore del problema” nella costruzione di un nuovo modello di rapporto pubblico-privato non è quello – che si presenta in una luce più tradizionale – degli strumenti finanziari, ma piuttosto quello della “governance finanziaria pubblica”. I modelli che abbiamo rilevato hanno successo – ha detto Saporito – sono quelli che prevedono “agenzie finanziarie nazionali forti che non svolgono soltanto una funzione di accesso al credito, ma anche il disegno di sistemi finanziari che a livello locale riescono poi a costruire operazioni complesse, perché noi oggi ci concentriamo troppo sulla componente di capitale, sui CAPEX, ma ci dimentichiamo della gestione corrente, dei costi correnti, soprattutto alla luce dei canoni molto bassi che rendono impossibili modelli sostenibili”.
Brancaccio ha preso la cosa da un’altra angolazione, quella del rapporto fra istituti di credito e settore delle costruzioni. “Bisogna avere – ha detto – il coraggio di utilizzare strumenti e leve finanziarie innovative per aumentare la quota di edilizia residenziale pubblica che oggi è al 2,8% e dovrebbe arrivare almeno alla media europea del 15-20%. Vanno eliminati costi aggiuntivi che rendono impossibile fare un’offerta di alloggi in affitto a canoni calmierati. La politica europea, che oggi è molto sensibile al tema della casa, dovrebbe premere sulla Banca centrale perché riduca gli accantonamenti che le banche sono costrette a fare sui mutui, oggi tenuti al livello assurdo del 150%”.
6. E’ possibile lavorare più di concerto per avere norme più chiare e di interpretazione univoca?
Praticamente da tutti gli operatori è venuta l’ennesima richiesta a fare in fretta le riforme della legge urbanistica e del testo unico dell’edilizia per ricondurre a unitarietà l’interpretazione delle norme su istituti fondamentali. Sul testo unico un certo sconcerto è stato manifestato per i tempi che si sono notevolmente allungati. anche sull’imminente presentazione del disegno di legge delega da parte del ministro Salvini in Cdm ci si chiede quali siano i tempi, che dovevano essere rapidissimi dalla presentazione delle linee guida fatta dal ministro ormai già quattro mesi fa. Una domanda-chiave su queste riforme – ma anche con riferimento alle norme prodotte in passato sulle sanatorie e nel salva-casa – l’ha fatta il presidente del Consiglio Nazionale dei Geometri e dei Geometri Laureati, Paolo Biscaro. “Non è possibile – ha chiesto – lavorare più di concerto per evitare che poi, per alcune dimenticanze o per una scarsa considerazione della ricaduta sui territori, creino difficoltà nell’ambito dell’applicazione quotidiana?”. Le norme di leggi, secondo Biscaro, che ha citato ad esempio anche la norma troppo generica dell’articolo 5 della legge sulla rigenerazione urbana sulle deroghe in materia di distanze, non devono lasciare alcuno spazio a interpretazioni diverse, aprendo il varco a interventi interpretativi della magistratura.
6. Rigenerazione urbana: ci saranno i fondi per la legge?
La questione che Forza Italia e, in particolare, Roberto Rosso e Maurizio Gasparri hanno voluto ribadire come una priorità per Forza Italia è il finanziamento della legge sulla rigenerazione urbana. C’è poco da aggiungere a quanto noto, se non che l’esame in commissione Ambiente è bloccato dall’attesa del parere del Mef sull’articolo del testo unico bis che stabilisce in 3,4 miliardi le risorse necessarie nell’arco 2026-2036. Al momento nella legge di bilancio non c’è traccia di risorse da destinare al Fondo nazionale rigenerazione urbana. Rosso ha ribadito il suo punto di vista, già espresso chiaramente alla Diac Coneference del 9 ottobre. Occorre un finanziamento lungo, con un orizzonte di dieci anni, o almeno di cinque, altrimenti riceveremo solo progetti piccoli e frammentari perché nessuno si impegna per un progetto di rigenerazione urbana complesso se non può contare su un orizzonte finanziario lungo”.
7. L’inevitabile intreccio fra piano casa e rigenerazione urbana: rilanciare il CIPU
A porre . in termini interrogativi – la questione dell’ineludibile intreccio fra piano casa e rigenerazione urbana – e forse a venire a sostegno delle tesi di Forza Italia che questo legame ha voluto ribadire – è stato ancora Ledo Prato. “Non esiste un diritto pieno all’abitare – ha detto – senza la soddisazione di un diritto pieno alla città che costruisca opportunità e relazioni sociali. Il fabbisogno abitativo sarà realizzato all’interno dei programmi di rigenerazione urbana? Mi chiedo allora quale sarà la relazione fra queste due policy pubbliche, la politica abitativa e quella della rigenerazione urbana. Per assicurare una interazione programmatica fra rigeenrazione urbana e piano casa non sarebbe necessaria una cabina di regia? Il governo ha ricostituto il Cipu, il comitato interministeriale per le politiche urbane, penso che abbia fatto bene, ma ora bisogna farlo funzionare”.
Sul ruolo della politica della casa come vettore di politica sociale e di rigenerazione è intervenuta ancora Saporito (Sda Bocconi). “Quando è – si è chiesta – che la casa diventa un vettore sociale? Quando non va da sola: quando abilita l’accesso allo studio, come nel caso degli studentati, quando abilita l’accesso al lavoro ed è sempre stato così con le case popolari costruite vicine ai sito produttivi, quando abbraccia il tema sociale della tutela della salute, penso ai senior housing. La casa va desettorializzata, va sfilata dai verticali minsteriali e va trasversalizzata rispetto alle politiche pubbliche”.
8. Che fine ha fatto il piano casa di Confindustria?
Gabriele Buia, presidente degli industriali parmensi e delegato del presidente di Confindustria Orsini per il piano casa, ha rilanciato la proposta che vorrebbe garantire un alloggio a canone calmierato per i lavoratori degli stabilimenti industriali che oggi fanno fatica a trovare manodopera. Uno degli ostacoli al trasferimento di lavoratori da una zona all’alttra del Paese – o dall’estero – è proprio il costo dell’affitto che supera di gran lunga, in moltissime zone produttive, il limite del 30% del reddito che gli industriali considerano un limite fisioloigco. Buia non ha dato aggiornamenti sull’interlocuzione con il governo ma elementi di novità sostanziale non ci sono. Buia ha rilanciato sia lo strumento delle cartolrizzazioni, aperte ad aziende e famiglie del territorio, che dovrebbero garantire il finanziamento del piano, sia la richiesta principale al governo e al Mef in particolare di una garanzia statale limitata su queste cartolarizzazioni.