IL LABIRINTO OSCURO DELL'EDILIZIA / 18

Piani attuativi e piani di lottizzazione convenzionati: necessarietà o derogabilità nell’esame delle ordinanze del Gip di Milano. Imprescindibilità della pianificazione attuativa

Il DDL Salva Milano/Italia, approvato dalla Camera dei Deputati il 21 novembre e in attesa del voto in Senato, rappresenta un intervento normativo di grande rilevanza per il settore edilizio e urbanistico nazionale.

Negli articoli precedenti abbiamo esaminato le motivazioni che hanno portato i gip del tribunale di Milano all’emissione di diverse ordinanze di sospensione lavori e di sequestro di alcuni cantieri evidenziando la necessita dei piani attuativi indispensabili per la verifica dell’adeguamento delle dotazione degli standard e delle relative opere di urbanizzazione primaria, evidenziando tale obbligo con riferimento sia al Dm 1444/1968, sia alla legge 1150/1942.

La settimana scorsa sono continuate le audizioni all’8° commissione Ambiente e Territorio del Senato sul Ddl. Nelle sedute del 28 gennaio, 4 e 11 febbraio la Commissione di Palazzo Madama ha ascoltato sul provvedimento di  interpretazione autentica in materia urbanistica ed edilizia una serie di stakeholders e di esperti in materia urbanistica ed edilizia, tra cui il sottoscritto in qualità di coordinatore del comitato scientifico UNITEL, l’associazione dei Tecnici degli Enti Locali.

Il mio intervento si è concentrato sulle criticità della normativa vigente e sulle necessità di una revisione complessiva del Testo Unico dell’Edilizia (TUE), al fine di superare le incertezze interpretative che caratterizzano il settore, ed ho sottolineato la necessità di una riforma organica del TUE, evidenziando come le continue modifiche e stratificazioni normative abbiano generato confusione e incertezza applicativa.

17 Feb 2025 di Salvatore Di Bacco

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Il Ddl “Salva Milano” si inserisce in questo contesto, tentando di dare un’interpretazione autentica per la corretta applicazione dell’articolo 41-quinquies, primo comma, della Legge urbanistica (Legge n. 1150/1942), che individua i limiti di volumi e altezze delle costruzioni nell’ambito del territorio comunale. Un tentativo che, rischia di amplificare le incertezze anziché risolverle, in assenza di un quadro normativo più chiaro e stabile.

Uno dei temi centrali affrontati durante l’audizione riguarda la definizione di “ristrutturazione edilizia” in relazione agli interventi di demolizione e ricostruzione. L’attuale formulazione normativa ha generato interpretazioni contrastanti, portando a pronunce giurisprudenziali che, in alcuni casi, hanno assimilato tali interventi a nuove costruzioni, con conseguenze rilevanti in termini di distanze, oneri urbanistici e titoli abilitativi. L’auspicio è che il Ddl “Salva Milano” non si traduca nell’ennesima norma di interpretazione controversa, ma rappresenti un passo verso una riforma più ampia e strutturata dell’intero sistema edilizio e urbanistico nazionale. L’articolo di questa settimana, entra nel dettaglio della disamina da parte dei giudici penali sulla imprescindibilità della pianificazione attuativa prevista dall’art. 41 quinquies comma 6 della legge 17 agosto 1942, n. 1150.

Imprescindibilità della pianificazione attuativa

Secondo i giudici l’imprescindibilità della pianificazione attuativa, in diversi interventi su Milano, deve essere ulteriormente affermata alla luce della realizzazione di interventi edilizi rilevanti in termini di impatto urbanistico che incidono sul carico urbanistico delle zone interessate, in ragione dell’elevato numero di abitanti in più che gli edifici andranno ad ospitare e che, in quanto tale richiedevano l’adozione di un piano attuativo.

Quando invece al carico urbanistico si richiama testualmente quanto affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte secondo la quale la nozione di carico urbanistico: “deriva dall’osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all’insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell’attività da costoro svolte. Quindi il carico urbanistico è l’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio” (sez. U. Sentenza n. 12878 del 29 gennaio 2003)

La giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato – richiamata nella circolare n. 1/2023 per giustificare giuridicamente le procedure utilizzate come prassi dal Comune di Milano – secondo la quale in presenza di una “pressoché completa” edificazione della zona non è necessario un piano attuativo per interventi edilizi di altezza superiore a 25 mt secondo i giudici fa riferimento esclusivamente ad aree interessate da interventi edilizi nei casi di “lotto residuale ed intercluso”, e non nell’ipotesi in cui: “..per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona  (ad esempio, completando il sistema della viabilità secondaria nella zona o integrando l’urbanizzazione esistente per garantire il rispetto degli standards minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l’armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all’edificazione)”

Ed ancora: “…l’esigenza di un piano attuativo, quale presupposto per il rilascio dei permessi, si impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e, quindi anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già compromesse ed urbanizzate, che richiedono una necessaria pianificazione della maglia e perciò anche in caso di lotto intercluso o di altri casi analoghi di zona già edificata ed urbanizzata…” (Consiglio di Stato 7843/2020 e 3699/2010)

Anche la giurisprudenza del TAR Lombardia ha stabilito che: “Una zona si deve considerare completamente urbanizzata quando risulta compitamente e definitivamente collegata e integrata con già esistenti opere di urbanizzazione (strade, servizi, piazze, giardini); la valutazione della congruità del grado di urbanizzazione spetta unicamente al comune e in ogni caso un’area puo’ essere considerata suscettibile di edificazione anche in assenza dello strumento attuativo, soltanto quando si accerti la sussistenza di una situazione di fatto perfettamente corrispondente a quella derivante dall’attuazione del piano esecutivo e, quindi, allorché la zona sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione, primarie e secondarie, previste dagli strumenti urbanistici” (T.A.R. Lombardia (MI) Sez. II n. 4 del 4 gennaio 2011)

Chiarimenti della Giurisprudenza amministrativa

1° caso Zone assolutamente inedificate

Negli ultimi anni la Giurisprudenza amministrativa ha chiarito quali sono le situazioni che in concreto, si possono verificare (Consiglio di Stato n. 8270 del 2019): “In caso di zone assolutamente inedificate, in cui si tratti di asservire per la prima volta all’edificazione, mediante costruzione di uno o più fabbricati, aree non ancora urbanizzate che richiedano, per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondari, l’esistenza del piano esecutivo, (piano di lottizzazione o piano particolareggiato) è senza dubbio presupposto indispensabile per il rilascio del titolo edilizio” (Consiglio di stato, Sez. IV 27 aprile 2012, n. 2740 e sez. V, 24 settembre 2001, n. 4993).

In tali situazioni, l’integrità d’origine del territorio non è sostanzialmente vulnerata, perciò deve essere rigorosamente rispettata la cadenza, in ordine successivo, dell’approvazione del piano regolatore generale e della realizzazione dello strumento urbanistico d’attuazione, che garantisce una pianificazione razionale e ordinata del futuro sviluppo del territorio dal punto di vista urbanistico.

2° caso Lotto intercluso

All’estremo opposto, rispetto alle aree totalmente inedificate, si pone il caso in cui l’istanza edilizia riguardi un “lotto intercluso” o “lotto residuo” , ossia un’area compresa in zona totalmente dotata di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti, cioè da opere e servizi realizzati per soddisfare i necessari bisogni della collettività quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell’acqua e dell’energia elettrica, scuole, etc.

Per la precisione, la giurisprudenza amministrativa ritiene realizzata la fattispecie del lotto intercluso solo se l’area edificabile di proprietà del richiedente:

  1. Sia l’unica a non essere stata ancora edificata;
  2. Si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni;
  3. Sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione (primarie e secondarie), previste dagli strumenti urbanistici;
  4. Sia valorizzata da un progetto edilizio conforme al Piano Regolatore Generale.

In termini urbanistico-edilizi, per poter qualificare l’area come lotto intercluso non necessaria l’interclusione del terreno da tutti i lati, bensì l’esistenza di un area c.d. “relitto”, autonomamente edificabile, perché già urbanisticamente definita, ossia compitamente e definitivamente collegata e integrata con già esistenti opere di urbanizzazione (strade, servizi, piazze, giardini) e/o con altri immobili adiacenti.

Ed ancora: “In presenza del lotto intercluso, poiché la completa e razionale edificazione e urbanizzazione del comprensorio interessato ha già creato una situazione di fatto corrispondente a quella che deriverebbe dall’attuazione del piano esecutivo (piano particolareggiato, piano di lottizzazione, etc.) lo strumento urbanistico esecutivo si ritiene superfluo” (Consiglio di Stato sez. IV, 10 gennaio 2012, n. 26)

In casi del genere il Comune non può pretendere di subordinare il rilascio del titolo edilizio alla predisposizione di un piano di lottizzazione, anche se astrattamente previsto dallo strumento generale.

3° caso Zone intermedie

Nelle situazioni intermedie, nelle quali il territorio risulti già, più o meno intensamente urbanizzato, la giurisprudenza amministrativa ha adottato soluzioni più rigorose, ritenendo che il piano attuativo sia strumento indispensabile per l’ordinato assetto del territorio, stante il chiaro tenore dell’art. 9, comma 2, D.P.R. 380/2001, che costituisce regola generale ed imperativa in materia del governo del territorio, quando lo strumento urbanistico generale prevede che la situazione debba aver luogo mediante un piano di livello inferiore, il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed efficace, ovvero quando è concluso il relativo procedimento.

Conclusioni dei giudici di Milano

I giudici di Milano insistono sul fatto che il piano attuativo non può avere equivalenti e quindi non è consentito superarne l’assenza facendo leva sulla situazione di sufficiente urbanizzazione della zona.

Ciò impedisce che in sed amministrativa o giurisdizionale possano essere effettuate indagini volte a verificare se sia tecnicamente possibile edificare vanificando la funzione del piano attuativo.

In tal caso, l’Amministrazione dovrà condurre adeguata istruttoria al fine di valutare lo stato di urbanizzazione già presente nella zona ed evidenziare le concrete ed ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione.

Infatti, solo il comune essendo in possesso delle informazioni concernenti l’effettiva consistenza del suo territorio, delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, dei servizi pubblici, e delle edificazioni pubbliche e private già esistenti, sarà sicuramente in grado di stabilire se e in quale misura un ulteriore eventuale carico edilizio possa armonicamente inserirsi nell’assetto del territorio già presente.

In questa ultima ipotesi, il Comune, quindi, dovrà preventivamente esaminare, in relazione alla dimensione dell’intervento richiesto, allo stato dei luoghi, alla documentazione prodotta dall’interessato ed alle prescrizioni di zona del piano di fabbricazione, se il Piano regolatore fornisca indicazioni esaustive sulle modalità edificatorie nonché lo stato di urbanizzazione e di edificazione dell’area interessata in relazione all’adeguatezza e fruibilità delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria e di conseguenza valutare se persiste o meno la necessità di adottare il piano attuativo prima del rilascio del permesso di costruire, dando atto delle dette verifiche nelle motivazioni della propria decisione.

Tali orientamenti sopra indicati sono assolutamente consolidati secondo le indagini della Procura di Milano e recentemente confermati con Sentenza del Consiglio di Stato, sentenza n. 5293 del 2023:

“Il principio secondo cui nelle zone già urbanizzate è consentito derogare all’obbligo dello strumento attuativo, può trovare applicazione solo nell’ipotesi, del tutto eccezionale, che si sia già realizzata una situazione di fatto che da quegli strumenti consenta con sicurezza di prescindere, in quanto risultano oggettivamente non più necessari, essendo stato pienamente raggiunto il risultato (come adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie previste dal piano regolatore) cui sono finalizzati.

Per l’applicazione del principio, pertanto è necessario che lo stato delle urbanizzazioni sia tale da rendere assolutamente superflui gli strumenti attuativi.

Tale situazione, del tutto peculiare, deve riguardare l’intero contenuto previsto dal piano regolatore generale per tali strumenti attuativi e deve concernere le urbanizzazioni primarie e quelle secondarie in riferimento all’assetto definitivo dell’intero ambito territoriale di riferimento. Ogni altra soluzione implicherebbe l’inammissibile conseguenza di trasformare lo strumento attuativo in un atto sostanzialmente facoltativo…”

I medesimi principi sono stati espressi anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha costantemente affermato che :

“…l’esigenza di un piano attuativo sussiste anche in zone già edificate quando l’insediamento pianificato renda necessario un raccordo con il preesistente aggregato abitativo e un potenziamento delle opere di urbanizzazione già esistenti…”

In particolare la Corte di Cassazione ha affermato che:

“In materia edilizia, è configurabile il reato di lottizzazione abusiva anche nel caso di interventi realizzati, in difetto di uno strumento pianificatorio di dettaglio, in zone già urbanizzate o parzialmente urbanizzate, purché i consistenza e complessità tali da costituire una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in mancanza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali, che garantisca il raccordo della nuova edificazione a quella esistente” (sez. 3, Sentenza n. 36616 del 7 giugno 2019)

Quindi, dalle indagini del Tribunale e della Procura nella maggior parte dei casi esaminati, le aree risultano più o meno intensamente già urbanizzate, e quindi il piano attuativo è strumento indispensabile per l’ordinato assetto del territorio, alla luce di quanto affermato dall’art. 9 comma 2 del D.P.R. 380/2001, che costituisce regola generale ed imperativa in materia del governo del territorio.

Le conclusioni dei Giudici sono conseguenti alle suesposte argomentazioni, e quindi per una coerente realizzazione dell’intervento edilizio in esame e dell’insieme degli importanti interventi edilizi che si andranno  a realizzare, sarebbe stata necessaria la previa redazione di un piano attuativo di iniziativa pubblica o privata, unico strumento idoneo al perseguimento di un ordinato ed equilibrato assetto e sviluppo territoriale, ed anche al reperimento di una congrua dotazione di aree per servizi pubblici (opere di Urbanizzazione primaria e secondaria) , alla determinazione ed al reperimento delle necessarie risorse per le infrastrutture richieste dall’indotto nuovo carico urbanistico, nell’ambito delle attività di pianificazione urbanistica di dettaglio richiesta dall’art. 41 quinquies, della legge urbanistica fondamentale, nelle parti non abrogate da alcuna norma di legge.

E dunque, in assenza del dovuto piano attuativo, anche la Scia Alternativa al permesso di costruire non poteva costituire un valido titolo abilitativo.

Dopo aver illustrato, le motivazioni che hanno portato i gip del tribunale di Milano ad affermare l’imprescindibilità della Pianificazione attuativa nei casi oggetto delle indagini della procura di Milano e di conseguenza dell’utilizzo improprio della scia,  nei prossimi articoli analizzerò le motivazioni “tecnico/giuridiche” del perché non è possibile utilizzare tale istituto giuridico anche in rapporto alla legge regionale lombarda.

Letture per ogni utile approfondimento

29.01.2025 – Gli standard urbanistici in Italia dal 1942 a oggi: storia e controstoria

22.01.2025 – Piani attuativi e piani di lottizzazione convenzionati: necessità o derogabilità nell’esame delle ordinanze del Gip di Milano

15.01.2025 – Il discrimine tra “nuova costruzione” e “ristrutturazione edilizia” nell’esame delle ordinanze del Gip di Milano

08.01.2025 – Salva Milano/Italia: gli interventi di ristrutturazione edilizia ricostruttiva e le norme sulle distanze tra le costruzioni  dell’articolo 2 bis comma 1 ter del TUE

16.12.2024 – Salva Milano/Italia: il discrimine tra “nuova costruzione” e “ristrutturazione edilizia” dell’articolo 3, comma 1, lettera d) del TUE.

10.12.2024 – Il salva-Milano e salva-Italia: evoluzione normativa del concetto di ristrutturazione edilizia conservativa e ricostruttiva

03.12.2024 – Il salva-Milano è salva-Italia nel tentativo di mettere fine alla disorganica evoluzione seguita al Dpr 380/2001

26.11.2024 – Milano capitale delle costruzioni in Italia: storia e cronistoria del “caso Milano”

 

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