I COSTI DEL PROGETTO E I FONDI DISPONIBILI
Per il Ponte decollo lento fino al 2027, il grande sprint dal 2029. Salvini chiede 3,5 miliardi in più
Dal confronto fra la spesa prevista dal progetto definitivo e i fondi che sarebbero resi disponibili dall’emendamento Lega-Salvini alla legge di bilancio si evidenzia come ci sia un rallentamento rispetto ai programmi fino al 2028 e poi una forte accelerazione dal 2029 al 2032. Se passa la proposta leghista, la grande opera avrà comunque 3.564 milioni di euro rispetto agli stanziamenti attuali, con una “riserva” di 1.693 milioni rispetto ai costi preventivati.

Sono giorni decisivi per garantire un futuro sereno al Ponte sullo Stretto che, dopo aver ottenuto il via libera (sia pure condizionato) dal parere di Valutazione di impatto ambientale, cerca ora dalla legge di bilancio la provvista che gli renda la navigazione verso il 2032 tranquilla.
L’emendamento leghista ispirato da Matteo Salvini, che DIARIO DIAC ha già illustrato nell’articolo che si può leggere qui, chiede al bilancio dello Stato 3.564 milioni complessivi aggiuntivi nell’arco del periodo 2025-2032, sia pure con uno spostamento che alleggerisce i conti dello Stato spostando una cospica fetta di quasi 6 miliardi sui Fondi di sviluppo e coesione del ministero delle Infrastrutture.
Ma la dinamica più interessante che l’emendamento evidenzia viene dal confronto fra questa richiesta di fondi che arriva dal Mit e il cronoprogramma della spesa contenuto nel progetto definitivo-bis approvato dalla Stretta di Messina e presentato con tutti gli aggiornamenti necessari alla commissione Via per il parere. Interessante perché fra il cronoprogramma e la disponibilità di fondi c’è sempre uno scarto (come si evince dalla tabella): nel quinquennio 2024-2028 i costi originari sono sempre maggiori dei fondi, nel quadriennio 2029-2032 sono sempre i fondi a superare i costi originari.
La spiegazione può essere duplice. Quella più plausibile è che le molte condizioni poste dal parere Via e le opere accessorie che si renderanno necessarie, più un ritardo dovuto proprio alla necessità di integrare la documentazione per la Via, inducano a rivedere i tempi di realizzazione dell’opera, spostando in avanti una consistente quota di lavorazioni. Anche perché le condizioni poste dal parere Via impatteranno molto anche sulla realizzazione del progetto esecutivo. Il decollo sarà quindi lento – secondo questa spiegazione – per le difficoltà progettuali, procedurali e di avvio delle lavorazioni e sarebbe inutile quindi impegnare fondi che poi non si riuscirebbero a spendere e anzi evidenzierebbero ancora di più i ritardi. D’altra parte, i ritardi sulla tabella di marcia rispetto ai primi annunci di Salvini su apertura dei cantieri e posa delle prime pietre sono già evidenti (e non saranno certo le opere accessorie e di preparazione a ridimensionarli).
Possibile, ma meno probabile, anche la spiegazione opposta: che sia la carenza di finanziamenti nei primi anni a rallentare la marcia dei cantieri. Il ricorso al Fsc del ministero delle Infrastrutture, dotato sempre di una cassa con il contagocce, potrebbe dare credito a questa spiegazione che però si scontra con la straordinaria concentrazione di risorse che il ministro è riuscito a ottenere finora e che probabilmente rafforzerà ancora con questa legge di bilancio, a scapito anche di molte altre opere sul territorio (come ha sempre denunciato l’Ance).
Comunque stiano le cose, e sempre nell’ipotesi che l’emendamento Molinari (capogruppo della Lega alla Camera) passi, il nuovo cronoprogramma che ne scaturirebbe sarebbe comunque del tutto onorevole per i promotori del Ponte, il ministro Salvini, la società Stretto di Messina, il general contractor guidato da Webuild. Il ritardo contenuto sarebbe assorbito da un piano di navigazione stabile e realistico che continuerebbe a mantenere fermo il termine “salviniano” del 2032. Sempre che le difficoltà evidenziate dal parere di Via e il decollo rallentato rispetto alle aspettative non siano invece la registrazione di una difficoltà a rispettare programmi e tempi, vizio tipicamente italiano alle prove con un’opera assolutamente straordinario. In questo caso l’effetto potrebbe essere di boomerang: come ci dimostra perfettamente il Pnrr, accumulare per necessità negli ultimi anni di un programma di investimenti la gran parte di spesa non è mai una buona scelta, perché erode le riserve temporali e i margini di flessibilità operativa, comprime i tempi di realizzazione e aumenta i rischi di sforamento dei tempi. In questo caso, però, almeno per ora il piano regge bene ed è vero comunque che non ci sono scadenze ultimative come quelle del Pnrr.