ENEA-CONFINDUSTRIA

Nucleare, con impianti Smr-Amr 117mila occupati e ritorno al 2,5% Pil

Ad oggi, sono più di 70 le aziende operative nel settore ma secondo lo studio occorrerà implementare nuove risorse economiche per sostenere investimenti alla ricerca e alla formazione di tecnici e competenze. I vantaggi energetici e tecnologici, la linea del governo e le proteste delle opposizioni. Obiettivo Pniec è avere i primi reattori dal 2035 ma secondo quanto dichiarato a fine giugno dal ministro Pichetto il deposito nazionale di scorie sarà operativo non prima del 2039.

16 Lug 2025 di Mauro Giansante

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117mila nuovi posti di lavoro, 39mila diretti, per un ritorno pari al 2,5% del prodotto interno lordo. Sono i numeri snocciolati ieri da Enea e Confindustria sulle potenzialità del nuovo nucleare nel momento in cui venga incluso nel mix energetico nazionale. A livello occupazionale, l’indotto diretto sarebbe di 39mila nuovi addetti. Lo scenario prevede poi l’operatività del primo impianto, che sia Smr – Small Modular Reactor o Amr – Advanced Modular Reactor, implementando i primi e poi i secondi. Con costi che sulla base dei dati Iea possono aggirarsi sui 70-110 euro al MWh. “Il mercato cumulato della filiera nucleare italiana potrebbe arrivare a 46 miliardi di euro con 15 miliardi di valore aggiunto diretto e un impatto economico annuale che può superare i 50 miliardi circa il 2,5% del Pil2, ha dettagliato il delegato all’energia di Confindustria, Aurelio Regina.

Ad oggi, sono più di 70 le aziende operative nel settore ma secondo lo studio occorrerà implementare nuove risorse economiche per sostenere investimenti alla ricerca e alla formazione di tecnici e competenze. Secondo la linea Enea-Confindustria, il nucleare annovera tra i vantaggi: emissioni minime lungo l’intero ciclo di vita, produzione programmabile di elettricità e calore, basso fabbisogno di combustibile, ridotta produzione di rifiuti, costo dell’energia stabile perché non influenzato dalla volatilità delle materie prime e maggiore affidabilità della rete elettrica, senza oneri aggiuntivi per la distribuzione.

 

 

Una linea condivisa, come noto, dal governo Meloni e sposata nello specifico dal ministero dell’Ambiente a guida Gilberto Pichetto Fratin. “Tutti i dati previsionali ci danno un’esplosione dei consumi che può portare al raddoppio in 10-20 anni. A maggior ragione dobbiamo attrezzarci non per sostituire ma per integrare le energie rinnovabili con qualcosa di continuativo che è il nucleare”, ha detto ieri il ministro. Mentre il presidente di Confindustria Emanuele Orsini ha spiegato che “è importante avere un tema di sicurezza nazionale” e ora bisogna “partire dalle esigenze del Paese”. Oggi, ha detto, i consumi del nostro Paese sono 300 terawatt ora, nel 2030 arriveranno a 400, nel 2050 a 600. “Serve capire come colmare questo gap, benissimo le rinnovabili, ma anche qui abbiamo lanciato un allarme: i 150 gigawatt mettiamoli a terra velocemente, non possiamo essere contrari alle rinnovabili e al nucleare“. E nel frattempo, ha aggiunto, bisogna cercare di trovare un percorso per il nucleare. Nel Pniec definitivo inviato a Bruxelles (ma contestato sia dall’Ue che dal Fmi, si vedano gli articoli in coda scritti su questo giornale) l’obiettivo (o la speranza) è avviare i primi reattori modulari di piccola taglia (Smr) nel 2035, raggiungendo 2 GW al 2040 e fino a circa 8 GW al 2050, coprendo così intorno all’11% della domanda elettrica nazionale a regime (circa 66 TWh).

Linea politica opposta è quella delle “sinistre”, con la sola Azione quale forza non di governo che sostiene il nuovo nucleare. Il portavoce di Avs, Angelo Bonelli ha ricordato sempre ieri che “il nucleare da fissione non è una risposta efficace né sostenibile alla sfida della decarbonizzazione”, spiegando che “non si tratta solo di una scelta che ignora due referendum popolari, ma di un’opzione economicamente insostenibile”. L’esempio è “l’unico reattore Epr  completato in Europa, a Flamanville, in Normandia, è costato 23,7 miliardi di euro, con lavori iniziati nel 2007 e conclusi solo nel 2024, per una potenza di appena 1,6 GW”. In più, “il costo dell’energia prodotta si aggira sui 120-123 euro/MWh: una cifra che non rende questa fonte competitiva”. Anche dai Cinque stelle si sono levate note a dir poco critiche: “Siamo certi del fatto che se viene lasciato spazio alle energie rinnovabili e all’efficienza i costi delle bollette si riducono, al contrario di quanto accadrebbe invece se si decidesse di investire sul nucleare come affermano anche studi internazionali, Banca D’Italia, e il premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi”, ha detto il deputato Enrico Cappelletti, membro della commissione attività produttive, citando l’esempio spagnolo di uscita dal nucleare e conseguente investimento su eolico e solare per abbattere i costi. Il Pd, invece, ha spesso fatto notare l’incoerenza dell’esecutivo sul tema: “Il governo Meloni vuole riaprire le centrali nucleari ma non riesce nemmeno a gestire in maniera seria ed efficace la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi presenti attualmente nel nostro Paese”, avevano detto a fine giugno i deputati del Nazareno. Il riferimento era alla confusione generata da Pichetto sul deposito nazionale, finita con l’ammissione che “orientativamente si ritiene che si possa prevedere per il 2029 il rilascio del provvedimento di Autorizzazione Unica e per il 2039 la messa in esercizio”. Non proprio domani. Mentre occorrerà aspettare almeno fine anno perché veda la luce il ddl delega approvata a febbraio dal governo. “Speriamo venga incardinato a settembre ma i tempi li decide il Parlamento”, ha detto Pichetto.

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