L'ANALISI
Non sparate sul correttivo, ora abbiamo un codice Salvini
Un buon lavoro che consolida il codice 36 e risolve le due maggiori ciriticità, l’equo compenso e la revisione prezzi per i lavori. Restano due criticità gravi: il vulnus anticoncorrenziale e l’ambiguità sulle tutele contrattuali. L’unica mina urgente è la revisione prezzi per il settore dei servizi. Il corpo principale delle norme va valutato alla prova dell’attuazione: il nodo del Bim per cui il rinvio parziale non risolve alcun problema, il nuovo partenariato pubblico-privato con un po’ di concorrenza a monte, il nuovo consiglio consultivo tecnico a costi ridotti e competenze allargate, gli accordi di collaborazione troppo deboli in partenza.

Sono stati pubblicati in questi giorni commenti, articoli, post sui giornali, sul web, sui social che evidenziano in modo polemico gli aspetti critici del correttivo del codice appalti (decreto legislativo 209/2024) trascinando singole argomentazioni critiche in un giudizio complessivo negativo.
In realtà, il correttivo appalti a firma Salvini-Griglio (la sua capacità dell’ufficio legislativo) è, al momento, un’operazione coerente con le premesse poste dallo stesso ministro delle Infrastrutture e destinata ad avere successo, almeno in termini politici. È vero, restano alcune aree molto critiche, che potrebbero produrre impatti seri nel medio periodo, ma l’impianto del codice esce rafforzato da questa prima revisione. Vediamo perché.
- Il dato di partenza. Anzitutto un dato numerico sul codice 36. Molti – anche autorevoli giornali e autorevoli istituzioni – nei mesi scorsi hanno scritto o detto che il 2024 ha visto un crollo delle procedure di appalto rispetto al 2023 e che, almeno in parte, questo è attribuibile al codice. Fare un confronto con il 2023 e il 2022, anni drogati dal Pnrr, non ha alcun senso. Aspettiamo i dati finali per il 2024 ma fino a novembre il dato che conta è che il mercato degli appalti era oltre il +30% rispetto all’ultimo anno fisiologico con cui si può fare un paragone, il 2021. Questo dato percentuale cresce molto se il confronto lo facciamo con tutti gli anni precedenti. Questo dice che il punto di partenza del correttivo non poteva e non doveva essere una discontinuità forte, bensì un aggiustamento puntuale e mirato su cose che non funzionavano o minacciavano di non funzionare. A differenza di altre riforme della disciplina degli appalti – e anche grazie al Pnrr – il codice 36 non ha determinato un blocco né una riduzione significativa delle procedure di appalto. Che poi il 90% del numero di queste procedure sia senza un bando di gara è un altro tema, molto critico per gli alfieri della concorrenza, fra cui certamente si annovera Diario DIAC. Ma non è un tema critico per il ministro Salvini, come lui stesso ha spiegato più volte.
 - Il consolidamento del codice 36. Il correttivo svolge ora un’operazione di consolidamento del codice 36 che avviene anzitutto con due azioni: da una parte, rende ancora più coerente l’impianto normativo, risolvendo il principale elemento di criticità di sistema (l’equo compenso) e rafforzando l’unica vera riforma presente nel codice (la disciplina della revisione prezzi contenuta all’articolo 60) dopo averne sventato gli attacchi per azzerarla; d’altra parte, il correttivo trasforma la pallida paternità politica del codice 36 originario in una forte paternità politica salviniana del codice rivisto. Nella fase di emanazione del codice e in quella immediatamente successiva di verifica della corrispondenza agli obiettivi Pnrr, Salvini si era visto solo per intestarsi, con l’estensione delle procedure negoziate rispetto al testo della commissione Carbone, una battaglia anticoncorrenziale contro Draghi e contro Bruxelles, mentre ora il ministro, dopo aver difeso e rilanciato il codice, mette con piena convinzione la sua firma sotto l’intero provvedimento, ridimensionando il ruolo di Palazzo Chigi e intestandosi alcuni passaggi positivi di riforma. In altri termini, ora abbiamo il “codice Salvini”.
 - Restano tre grandi problemi. Diciamo subito che restano tre grandi problemi di sistema: la revisione prezzi per i settori dei servizi, rimasta bloccata con le vecchie regole della franchigia al 5% e della rivalutazione all’80% (da affrontare subito); la disciplina del contratto di lavoro da applicare ai lavori dell’appalto, dove lo stralcio dell’ultimo minuto della norma di garanzia del sistema delle casse edili conferma il sospetto di un assalto al sistema bilaterale delle tutele (si veda l’articolo di denuncia su Diario DIAC); il vulnus anticoncorrenziale per cui non è certo l’obbligo per la stazione appaltante di pubblicare sul proprio sito i “documenti preliminari” di gara a risolvere la questione (che comunque resterà sospesa fino al 2026 perché su questo aspetto il codice è di fatto congelato dal Pnrr e perché l’unica autorità in grado di piegare Salvini, la commissione Ue, è alle prese con le nuove direttive sugli appalti e forse con una rivisitazione complessiva del suo pensiero sulla concorrenza negli appalti).
 - Gli aspetti positivi del codice: la soluzione all’equo compenso. Fino a tre mesi fa era la mina senza soluzione, con l’Anac che si contraddiceva, la giurisprudenza spaccata, i due principi dell’equo compenso e della concorrenza entrambi legittimi e meritevoli di essere difesi. La soluzione prevista dal correttivo all’articolo 14 (con tre nuovi commi 15-bis, 15-ter e 15-quater) ha messo tutti d‘accordo, quasi un miracolo. Per le gare di servizi è prevista la possibilità di formulare ribassi solo sul 35% del corrispettivo, con formule di calmierazione che avvicinano il ribasso effettivo praticabile al 20%. Per gli affidamenti diretti di servizi di ingegneria e architettura, il ribasso massimo praticabile del 20% è scritto esplicitamente. Si torna, di fatto, al decreto Karrer, con la semplice differenza che quello era un modo per introdurre la concorrenza, in ossequio ai principi Ue, questo un modo per contenerla fortemente. Sarà interessante vedere se qualcuno dei giocatori in campo romperà l’equilibrio presentando ricorsi al Tar.
 - La revisione prezzi per i lavori: riforma pallida ma salva. L’unica riforma davvero positiva inserita nella disciplina degli appalti dal codice 36, l’articolo 60 sul meccanismo di revisione prezzi che dovrebbe facilitare l’attuazione contrattuale, ha rischiato di uscire svuotata dal correttivo: la prima versione approvata dal Cdm di fatto ne azzerava gli effetti. È finita con una soluzione che non è quella ottimale proposta dai costruttori e fatta propria dal tavolo del Mit ma che almeno sgombera il campo dagli equivoci che l’avevano di fatto paralizzata: la vecchia franchigia del 5% viene chiarito che è effettivamente una franchigia ma viene ridotta al 3%, mentre per compensare parzialmente l’effetto di questo chiarimento la compensazione viene portata dall’80 al 90% del rialzo dei costi. Siamo lontani dal modello francese (e anche dalle percentuali di compensazione effettiva che in quel caso arrivano al 90% e nel caso italiano oscillano ora fra l’11% e il 50% come spiegato nell’articolo di Diario DIAC sulle simulazioni ANCE) ma un meccanismo di revisione prezzi funzionante è un salto culturale notevole, considerando anche che a un certo punto si era messo di traverso il Mef. Salva, per quanto pallida, l’unica vera riforma positiva del codice 36.
 - Il rinvio parziale per il Bim e altre questioni irrisolte da valutare alla prova dell’attuazione. L’innalzamento della soglia delle opere soggette a progettazione in BIM da un milione a due milioni di euro (previsto dall’articolo 15 del correttivo che modifica l’articolo 43 del codice) riduce del 70% circa il numero dei lavori che entreranno nel nuovo regime di digitalizzazione (“metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni per la progettazione e la realizzazione di opere”). Sospiro di sollievo per molte stazioni appaltanti, dunque, ma il rinvio parziale non risolve nessuno dei problemi gravissimi di ritardo che le amministrazioni pubbliche evidenziano in fatto di digitalizzazione. Sarebbe stato utile accogliere la proposta del Consiglio nazionale degli ingegneri di fissare da subito una soglia di 500mila euro per le opere da assoggettare a Bim dal 1° gennaio 2026. Più utile potrebbe essere un provvedimento, anche un decreto legge, che definisca ora un percorso rigoroso (in termini di strutture, formazione, competenze, scadenze, procedure) per affrontare tutti gli aspetti di una completa digitalizzazione del sistema. Il corpo principale delle norme del correttivo va valutato alla prova dell’attuazione: oltte al nodo del Bim, il nuovo partenariato pubblico-privato con un po’ di concorrenza a monte, il nuovo consiglio consultivo tecnico a costi ridotti e competenze allargate, gli accordi di collaborazione troppo deboli in partenza.
 - Le polemiche pure sull’entrata in vigore al 31 dicembre. Sono apparsi molti commenti, anche di osservatori autorevoli, scandalizzati per la data di entrata in vigore nel giorno di pubblicazione in Gazzetta (31 dicembre 2024) come fosse stato un assalto alla democrazia. In più occasionale il governo aveva detto che puntava a rispettare il termine del 31 dicembre posto per alcune scadenze del Pnrr relative al sistema degli appalti. Magari era un eccesso di scrupolo, ma è agli atti, anche con Bruxelles. Dov’è la sorpresa? Crediamo come oro colato alle bozze circolate quando era stata chiaramente detta un’altra cosa? C’era da meravigliarsi, semmai, a leggere quelle bozze con la vacatio legis di quindici giorni. Qualcuno ricorda la corsa, quella sì poco razionale, fatta per il codice 50?