PROGETTO CORALE / 3
L’intuizione geniale, il coraggio della politica, il radicamento sociale, la storia che nutre l’identità: i corsi e ricorsi rigenerativi del Villaggio artigiano nato nel 1949 a Modena
Esiste un luogo, a Modena, lontano dal marmo bianco dei monumenti UNESCO e dal rombante rosso delle Ferrari, in cui il tempo sembra sospeso e la dimensione dell’esplorazione e degli spazi di quiete sembra reimpossessarsi della città.
Siamo al Villaggio Artigiano di Modena ovest, poco più di un kilometro di distanza dal centro storico, lungo la via Emilia.
Il Villaggio ha una genesi peculiare, che lo ha trasformato in un caso-studio nazionale e nel “padre” di un modo, molto emiliano, di fare programmazione territoriale con e a sostegno della comunità locale.
Il villaggio artigiano Modena Ovest, primo in Italia, nasce infatti a partire dal 1949 per volontà del sindaco Alfeo Corassori, ex bracciante e militante del Partito comunista, e dell’Assessore ai Lavori Pubblici Mario Pucci, ingegnere professionalmente legato al mondo del rinnovamento urbanistico milanese.
In un periodo in cui ancora più del 50% della popolazione modenese viveva di agricoltura, l’urgenza a Modena era rappresentata dalla necessità di fornire casa e lavoro ai molti operai dell’industria siderurgica e meccanica, licenziati dopo la fine del “boom” dovuto alle necessità belliche. Al sindaco comunista, per far fronte agli oltre 30.000 disoccupati, con le casse comunali semivuote, viene allora un’idea coraggiosa quanto rischiosa, ovvero usare, in un periodo di grandi scontri ideologici, gli strumenti del mercato e le risorse dei privati per inventare una inedita via di sviluppo.
Nel 1949, il Comune decide infatti per la realizzazione di un “quartiere artigianale attrezzato”, selezionando un’area per lottizzarla in piccole e piccolissime parcelle da concedere a prezzo di costo a famiglie e piccole cooperative. Nel ’53 si inizia a fare sul serio, il sindaco Corassori organizza assemblee con gli operai disoccupati per convincerli non solo ad accettare il sacrificio economico e personale necessario per avviare un ‘azienda, ma anche, e soprattutto, a saltare la barricata e a diventare “padroni”. E, insieme ai tecnici e alla Giunta, inventa gli strumenti per rendere il tutto possibile: il Villaggio artigiano è infatti un’invenzione urbanistica, del tutto anti-burocratica, per compiere la quale il Comune di Modena non ha quasi strumenti a disposizione, se non il diritto di dichiarare edificabile un’area. Inizia allora ad acquistare aree da privati disposti a cederle a prezzo agricolo in cambio di un buon incentivo, ovvero la possibilità di conservare per se stessi un lotto, di urbanizzarlo e rivenderlo quindi a prezzo molto alto. Il Comune, poi, urbanizza l’area acquistata e la rivende agli aspiranti imprenditori a un prezzo che lo ripaga dell’investimento ma molto al di sotto dei costi di mercato delle aree fabbricabili. Il modello funziona: è semplice, ingegnoso, conveniente per tutti. Il Comune non deve spendere, le imprese ricevono con lo sconto sull’acquisto una sorta di finanziamento d’avvio. Nel giro di sei anni tutti i 74 lotti del nuovo Villaggio sono occupati produttivamente.
Sulle nuove aree il Comune provvede alle urbanizzazioni primarie, ma anche ai servizi, quali scuole e mense sociali. I privati, invece, realizzano nel proprio lotto sia il capannone per la produzione che l’abitazione, riprendendo il modello casa-bottega che consente loro di ottimizzare i tempi e identificarsi pienamente con l’azienda.
Il modello funziona così bene che viene non solo ampliato con ulteriori aree a sud, ma anche replicato nei decenni successivi in altre due zone della città ed esportato oltre i confini modenesi. Nel Villaggio Artigiano di Modena ovest, intanto nascono e si sviluppano aziende che poi costituiranno l’ossatura dell’attuale automotive, futuri fornitori di Enzo Ferrari, geniali riparatori e carrozzieri a cui si rivolgeranno star di Hollywood e per cui progetteranno i principali architetti modenesi dell’epoca, e prende piede una “comunità di base” del riformismo cattolico guidata dal prete-operaio Beppe Manni. Le imprese si supportano a vicenda, spesso hanno l’una le chiavi del magazzino dell’altra, per prelevare in caso di emergenza qualche materiale, lasciando semplicemente un biglietto.
Una storia gloriosa e duratura, che però, negli anni Novanta, inizia ad entrare in crisi sia per il trasferimento di alcune aziende, diventate troppo grandi per restare al Villaggio, sia per i cambiamenti generali del sistema produttivo.
Intorno al 2010, quando il Comune decide nuovamente di mettere mano all’area, l’aspettativa è quella di trovarsi di fronte ad una grande quadrante urbano dismesso, che necessita di una trasformazione radicale, a favore magari di funzioni e architetture più “contemporanee”. Grazie però a una fase preliminare di studio, si scopre che la situazione è in realtà molto diversa: è vero, diverse aziende si sono trasferite, molti immobili sono in stato di scarsa manutenzione, ma non sono vuoti. In modo silenzioso e spontaneo, laddove c’erano fabbri, operai di fonderia o geniali meccanici si scopre che si sono insediati quelli che verranno ribattezzati, di lì a poco, gli “artigiani 2.0” della Modena del terzo millennio: fotografi, editori, designer, comunicatori hanno preso il posto dei precedenti inquilini, apprezzando la “taglia” degli immobili produttivi, la presenza della residenza, il contesto lavorativo che permette di “sentirsi capiti” e, ovviamente, il costo ridotto dell’affitto. Sì, perché i vecchi proprietari non mollano, non vendono, e difficilmente ristrutturano, troppo il legame affettivo con quei beni e forte la convinzione che qualcuno, prima o poi, li apprezzerà.
E l’apprezzamento in effetti arriva: grazie al lavoro degli uffici comunali, il Villaggio torna al centro di politiche sperimentali. Viene censito, studiato, mappato, fotografato nei suoi aspetti fisici e imprenditoriali. Tra il 2009 e il 2012 si organizzano convegni sulla storia dell’area, ma anche seminari sui nuovi artigiani (è il periodo della creative class di Florida) per capire se e come possano rappresentare una nuova risorsa socio-economica per la città, raccogliendo l’eredità degli imprenditori del dopoguerra e attualizzandola.
Il settore economico del Comune lavora a creare un network tra imprese creative e vecchi artigiani, il settore Cultura promuove Festival ed eventi all’interno del Villaggio per rivitalizzarne l’identità, mentre l’Urbanistica ragiona di norme ad hoc, che consentano di non perdere l’anima del villaggio fatta di tetti a shed, lotti lunghi e stretti e grandi vetrate, innovando il modello casa-bottega ma consentendo di incrementare la qualità edilizia e dello spazio pubblico. Insieme al CUP delle professioni tecniche viene anche svolto un workshop di due giornate in cui proprietari degli immobili, aspiranti imprese, progettisti privati e tecnici comunali sperimentano a piccoli gruppi la trasformazione degli edifici, raccogliendo idee e stimoli per scrivere nuove Norme tecniche per il comparto. Che vengono di fatto prodotte con il Piano Urbanistico POC MOW del 2013.
Per dare poi gambe a quello strumento urbanistico, il Comune pubblica una selezione per un piano di comunicazione, crea un sito web dedicato in cui coinvolgere nuovi e vecchi stakeholders del Villaggio, individua infine un capannone, sul quale sviluppare, in accordo con la proprietà, un bando di gestione ad affitto calmierato per la realizzazione di un hub di imprese creative, che fungano da “soggetto pilota” della sperimentazione di ripensamento del villaggio.
Ora, se avete già le valigie pronte per andare a visitare questo luogo incredibile e vedere di persona gli esiti di questo processo, che, reinterpretando la collaborazione pubblico-privato delle origini, prometteva di Rigenerare un’area tanto preziosa quanto significativa, aspettate un attimo.
Sì, perché da quel 2013, complice la crisi economica e lo scarso potere d’acquisto della creative class in salsa modenese, cambi nella guida politica, difficoltà procedurali nel dare forma alle intenzioni con tempestività, nel Villaggio davvero poco è cambiato. Almeno a un primo sguardo che si sofferma prevalentemente sul costruito e sulla qualità delle strade e dei servizi. C’è un progetto coraggioso che ha applicato le norme del POC MOW, a cura dello studio dell’architetto Claudio De Gennaro e che risalta con i suoi shed e i suoi cortili nuovi e innovativi, staccandosi dal dimesso contesto generale. Ma a livello edilizio non c’è quasi null’altro.
Eppure, se si percorre il reticolo geometrico delle strade e si arriva in fondo a via Biondo, si inizia a capire che, sebbene in modo silenzioso e poco appariscente, qualcosa di diverso c’è. Infatti, su uno dei capannoni si legge “Ovestlab” e si vedono giovani e meno giovani che entrano ed escono dalla porta sul fianco del capannone, magari con in mano una cesta di frutta, una sedia di legno giallo o una rivista.
Ovestlab è ciò che è germinato da quelle attività degli anni dieci del Duemila e, come tutti i bravi figli, ha intrapreso strade inattese e sviluppato una propria identità autonoma, fiera e sorprendente.
OvestLab è una Fabbrica Civica in cui si intrecciano arte, artigianato, rigenerazione urbana e partecipazione dei cittadini. È un centro multidisciplinare in cui attività di formazione, produzione artistica, trasformazione urbanistica e cura degli spazi interagiscono, avviando circoli virtuosi in grado di aumentare la qualità della vita del territorio e riavviare un dialogo con le attività economiche, ingaggiando allo stesso tempo la comunità locale nei processi di cambiamento. Gestito dal 2017 dall’associazione Amigdala (che aveva conosciuto il Villaggio a seguito del bando per hub creativo del Comune e se n’era innamorata), in collaborazione con il Comune di Modena e insieme all’associazione Archivio Architetto Cesare Leonardi, si configura dunque come un centro culturale multidisciplinare che opera a supporto di processi di re-immaginazione collettiva della città.
L’attività è organizzata attorno a quattro tematiche principali: l’ARTE PUBBLICA, intesa come produzione artistica e ospitalità di artisti chiamati a mettersi in relazione con lo spazio urbano, il TERRITORIO CONDIVISO, ovvero azioni e strumenti che permettono ai cittadini di essere protagonisti della gestione del territorio che abitano e di poter accogliere come risorsa nuove progettualità, il PATRIMONIO DEI SAPERI, con cui si intende la condivisione e messa in moto dei saperi e delle competenze ancora vive al Villaggio Artigiano, dove linguaggi differenti possano interagire, e infine l’ECONOMIA CIVICA, per l’immaginazione e la messa in campo di nuove forme di economia più equa e inclusiva che difendano e promuovano, nello stesso tempo, un valore sociale, culturale e ambientale.
Ovestlab muove dunque le persone, quelle storiche del Villaggio, che qui trovano un luogo di aggregazione, di validazione della propria identità e di competenze ed energie per reimmaginarsi, ma anche persone nuove, che vengono da altre parti d’Italia e dall’estero, affascinate dalla metafisica del luogo, dalla sua narrazione e dalla sensazione di libertà immaginifica che il Villaggio e la sua storia ancora emanano. Persone che producono cultura artistica, che diffondono cultura sociale e che riportano vitalità e forza ad un quadrante urbano. Lo rigenerano, senza opere murarie o pratiche edilizie.
Almeno fino ad ora. Infatti, a seguito dell’iniziativa Alberi Festival svoltasi al villaggio poche settimane fa, in autunno inizierà una prima trasformazione fisica dello spazio del villaggio: due strade, ora prive di ombra e di spazi per i pedoni, verranno riqualificate con alberi e rese a misura d’uomo e di resilienza climatica. Sarà un primo passo, a cura di Pubblico e Privato insieme, per attivare la rigenerazione fisica, partendo però dagli spazi pubblici e non dai capannoni, valorizzando quella dimensione collettiva del Villaggio intrinseca nella sua stessa storia.
Aspettate dunque l’autunno per una visita, quando i colori delle foglie faranno da cornice alle geometrie dei capannoni e la loro stoica bellezza potrà emergere pienamente tra un racconto del passato e una promessa di ombra e di brezza del futuro.