L’Africa alla sfida dell’urbanizzazione (+3,5% annuo): serve un piano integrato per ambiente, economia e sanità

In molti Paesi del continente anche gli spazi rurali sono ancora molto vissuti. Monica (Studio TaxiBrousse): “Servono nuovi modelli che coniughino flessibilità, comunità e adattività al territorio dove sviluppare una città”.

11 Nov 2025 di Mauro Giansante

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L’Africa alla sfida dell’urbanizzazione (+3,5% annuo): serve un piano integrato per ambiente, economia e sanità

Conflitti, dittature, effetti del cambiamento climatico, precarietà sanitaria, migrazioni interne ed esterne. Eppure, anche in Africa si può parlare anche di altro. Di urbanizzazione e sviluppo dei territori, oltre che di mera crescita demografica. Fenomeni di lunga data ma che già sono in corso da anni, in forma diversa, inun continente vario e variegato dove, comunque, oltre al potenziale delle città c’è da tenere in conto l’attività degli spazi rurali. Alcuni numeri e spunti di riflessione sono emersi ieri pomeriggio alla Fondazione Marco Besso di Roma, all’evento In/Arch “Ex Africa semper aliquid novi”.

Partendo da un dato generale, per cui al 2050 si prevede un 70% di urbanizzazione mondiale, il cosiddetto continente nero è cresciuto di mezzo miliardo soltanto dal 2010 a oggi arrivando a 1,5 miliardi di abitanti. Ogni anno si conta un +3,5% di urbanizzazione in Africa. In tanti Paesi, dalla Costa d’Avorio al Senegal, ogni anno si svolgono le giornate di piantumazione degli alberi. Eppure, è la stessa Africa che annovera il più alto tasso di deforestazione (-11%) mondiale. Più dell’Amazzonia. Ecco perché pensare allo sviluppo degli spazi nel continente deve riguardare sia le città che le aree verdi. Perché molti africani vivono fuori dalle città, nelle campagne.

 

 

D’altronde, svilupparle influisce positivamente sugli impatti sanitari delle persone che ci vivono. Di qui, la proposta di pensare a una pianificazione integrata che tenga conto, insieme, del fattore ambientale, economico e sanitario. Non è facile ma, al netto dei progetti propaganda calati dall’alto dai governi molto si muove anche dal basso. Dalle comunità che, tra l’altro, conoscono il territorio meglio di tutti, se ne prendono cura. Federico Monica (Studio TaxiBrousse): “Servono nuovi modelli che coniughino flessibilità, comunità e adattività al territorio dove sviluppare una città”. La vera sfida, insomma, è coniugare le conoscenze degli urbanisti occidentali con quelle degli indigeni locali, degli architetti del posto. Oltre che trovare interlocutori istituzionali credibili. Solo così si potrà dare concretezza all’antico detto Ex Africa semper aliquid novi: dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo.

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