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La GRANA idroelettrico, l’Italia alla prova delle concessioni

La scorsa settimana sono giunte ben undici offerte per il rinnovo di due concessioni che riguardano le centrali lombarde di Resio (Valcamonica, Brescia) e Codera Ratti-Dongo (Valchiavenna, Como-Sondrio), rispettivamente da 4 e 19 Mw. I player protagonisti sono nove e per lo più italiani ma a far storcere il naso a molti è la presenza di due aziende straniere.

31 Ott 2024 di Mauro Giansante

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Tu chiamale, se vuoi, concessioni. Per l’Italia non corrispondono esattamente a emozioni quanto piuttosto a dei fastidi normativi di cui si torna a parlare ciclicamente e che rientrano nella famosa categoria del “ce lo chiede l’Europa”. E quindi è percepito come un affare antipatico di per sé. Di idroelettrico si parla in queste settimane perché la scorsa settimana sono giunte ben undici offerte per il rinnovo di due concessioni che riguardano le centrali lombarde di Resio (Valcamonica, Brescia) e Codera Ratti-Dongo (Valchiavenna, Como-Sondrio), rispettivamente da 4 e 19 Mw.

Riparte la corsa delle concessioni

I player protagonisti sono nove e per lo più italiani ma a far storcere più di un naso è anche la presenza di due aziende straniere. Parliamo di Edison, Linea Green (A2a), Acea Produzione, Italgen (gruppo Italmobiliare), Alperia Greenpower, Bkw Hydro Italia, Asco Eg (Ascopiave), Eisackwerk-Tecnoenergia e Slovenské Elektrárne. La risposta per l’aggiudicazione è attesa per dicembre 2025 ma prima dovranno essere ammesse tutte le offerte, avviato il procedimento unico e la conferenza dei servizi, quindi sarà insediata la commissione di valutazione.

La Lombardia avanza, dunque, in un percorso che dovrà coinvolgere tutte le Regioni. Ad ora, si sta procedendo con gare tout court ma l’obiettivo è far avanzare quella che a fine 2023 era stata proposta dal Mase come quarta via rispetto alla triplice opzione europea di gare, project financing e società pubbliche. Tale quarta via è rappresentata, invece, dal nuovo coinvolgimento degli stessi operatori già in possesso degli impianti in cambio di investimenti tali da garantire una corretta gestione delle centrali. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il Pnrr, poiché il piano prevede che le procedure per le gare dovessero concludersi a fine 2023. Dunque, anche qui l’Italia è in ritardo. Ma ancora più nel mezzo (tra il dire e il fare) c’è Raffaele Fitto vicepresidente della nuova Commissione europea sul quale confida tutto il mondo industriale del settore – spalleggiata dalla maggioranza di governo attuale – impaurito dall’incremento del canone.

Tutte le paure sull’idroelettrico

Quanto allo spauracchio per l’attivismo degli operatori esteri, la ragione fornita dalle imprese italiane è quella del rischio di vedersi portar via il controllo di un settore strategico per il Paese (l’Uncem, Unione nazionale dei comuni, comunità ed enti montani, parla di rischio colonizzazione dei territori). Sul quale, però, serve rinnovare un impegno economico che Confindustria Energia stima tra 14 e 16 miliardi di euro, correlati sia al rinnovo delle concessioni sia al contesto di rincari dei prezzi dell’energia. Per il Comitato del grande idroelettrico, invece, “il rinnovo deve essere l’occasione per riportare interventi ed investimenti sul settore idroelettrico, e per garantire più efficienza nella gestione della risorsa idrica e maggiore sicurezza alle popolazioni. I bandi devono essere gestiti al meglio dalla Regione che ne ha autorità legislativa ed è tenuta a interpellare i territori. A loro volta gli amministratori, le forze economiche e i sindacati locali dovrebbero condividere una strategia e dei documenti per avanzare delle precise richieste. Il Comitato ritiene che l’opzione preferenziale di rinnovo rimane quella della società pubblico-privata comprendente Regione ed enti locali, ma purtroppo non si andrà in questa direzione per cui bisogna predisporre accuratamente gli impegni che il gestore privato dovrà assumersi”.

Quanto ai tempi di gestione delle centrali, l’Italia ha concessioni di quindici, venti o trent’anni mentre nel resto d’Europa si va dai quarant’anni della Francia fino ai novanta dell’Austria. In termini operativi, invece, la strada preferita dagli operatori è quella del ripotenziamento delle centrali che, secondo Enel Green Power garantirebbe un guadagno di “5,8 gigawatt di potenza e 4,4 terawattora di energia annua, con un risparmio di oltre 2 milioni di tonnellate di anidride carbonica e la creazione di 2mila ulteriori posti di lavoro (diretti e indiretti) per l’esecuzione dei lavori”.

C’è poi il fronte delle paure ambientali. Italia Nostra, associazione impegnata nella tutela del patrimonio naturale e culturale, si è detta preoccupata de rinnovo delle concessioni per impianti come quello valtellinese, sostenendo “l’importanza di garantire che il rinnovo delle concessioni avvenga nel rispetto di criteri di sostenibilità ambientale e sociale”. Va quindi data “priorità al risanamento ambientale: I bacini idrografici della Valtellina hanno già subito pressioni significative dovute all’attività idroelettrica. È essenziale che il nuovo gestore si impegni a effettuare interventi di risanamento ambientale e a garantire la sicurezza idrica, con particolare attenzione alla rigenerazione degli ecosistemi locali e alla riduzione dell’impatto sui corsi d’acqua”.

La speranza dell’Italia si chiama Raffaele Fitto

A livello politico, detto della speranza Fitto, qualche giorno fa il responsabile energia di Fratelli d’Italia Riccardo Dragoni ha spiegato che “giova ricordare che recentemente la Commissione europea ha chiarito, chiudendo alcune procedure di infrazione, che la concorrenza nell’assegnazione delle concessioni non porterebbe benefici di rilievo e potrebbe inficiare il raggiungimento di altri obiettivi strategici dell’Unione come la decarbonizzazione della produzione di energia elettrica e l’autonomia energetica del continente”. Ecco perché secondo Fdi quella sull’idroelettrico “è una stortura tutta italiana” sulla quale si è espressa il 7 ottobre la Corte costituzionale (ordinanza 161/2024) chiedendo alla Corte di giustizia Ue – ha ricordato Dragoni – “di chiarire se la produzione di energia da fonte idroelettrica sia da ritenersi prestazione di servizi o (solo) produzione di beni”. In questo secondo caso, “la revisione dell’impegno sottoscritto dall’Italia con una normativa che introduca per l’idroelettrico soluzioni simili a quelle adottate per il geotermico, non potrebbe essere considerata un «reversal» anche ai fini delle valutazioni in tema di Pnrr, restituendo tra l’altro alle Regioni un margine di operatività maggiore e più proficuo”.

Quante centrali idroelettriche ci sono in Italia

La situazione attuale degli impianti, intanto, vede 4.860 centrali (dati Terna di febbraio 2024) per una potenza installata di circa 22 Gw, 15mila occupati, il 20% del fabbisogno energetico nazionale prodotto, il 40% di contributo all’energia rinnovabile generato. A settembre, secondo i dati Terna, su un fabbisogno di energia elettrica in Italia è stato pari a 25,4 miliardi di kWh, in diminuzione dell’1,3% rispetto allo stesso mese del 2023, la fonte idrica ha contribuito per una quota pari al 37,2%, prima del solare e ancor più dell’eolico. Per Assoidroelettrica, riguardo al Testo Unico sulle rinnovabili (attualmente bloccato in Parlamento) “rispetto agli impianti autoirizzabili in Pas fino a 100kw, si parla di nuovi impianti. Per l’idroelettrico c’è anche la possibilità di riattivare impianti dismessi, importanti anche dal punto di vista paesaggistico. Riattivare questi impianti con Pas significherebbe, oltre che generare energia pulita, migliorare i paesaggi”. Intanto, giusto per aumentare il senso di inadeguatezza italiana, ad agosto la Cina – tramite la State Grid Corporation – ha completato la più grande centrale idroelettrica a pompaggio al mondo. Un impiant da 2,6 miliardi di dollari con una capacità da 3,6 Gw inaugurato per le Olimpiadi invernali di Pechino 2022. Al 2030, il Dragone vuole portare la sua potenza idrica a 120 Gw.

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