Il rapporto Bei
Imprese Ue REATTIVE agli shock, supply chain più robuste
Con la serie di shock degli ultimi dieci anni, le imprese europee hanno navigato in un mare di incertezze. Secondo il rapporto della Banca europea degli investimenti, hanno comunque dimostrato agilità e reattività nell’affrontare la situazione determinata dalle interruzioni delle supply chain con risposte articolate, aggiustando le proprie strategie, puntando sul green e la digitalizzazione. Dal rapporto emerge come il mercato unico europeo sia un importante punto di forza di grado di alleviare e fronteggiare gli effetti di queste interruzioni.
IN SINTESI
Sono almeno dieci anni che il commercio internazionale è sotto pressione. Dal 2015 ad oggi, si è susseguita una serie di shock con le tensioni commerciali Usa-Cina, il Covid, la guerra Russia-Ucraina, le strozzature dei flussi del Canale di Panama e la crisi del Mar Rosso, e ora il conflitto dei dazi innescato dall’Amministrazione Usa. Tutto questo ha determinato un’era di incertezza globale nella quale sono costrette a navigare le aziende europee e in questo contesto “le supply chain resilienti e reattive non sono più un’opzione ma sono essenziali”. Ma, in un frangente così complesso, le imprese Ue non sono state a guardare ma hanno saputo dare risposta a queste nuove sfide muovendosi almeno su tre principali direttrici: la diversificazione dei fornitori, l’accelerazione sul digitale e sulla transizione green. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto della Bei, la Banca europea degli investimenti, “Shock waves from turbolent times”, che si focalizza su come le imprese europee stanno ricalibrando le supply chain non solo per fronteggiare e proteggersi da queste ‘disruption’ ma anche per costruire catene di forniture più sostenibili e robuste per il futuro.
Il rapporto della Bei si basa su un sondaggio svolto 12 mila aziende nell’Unione Europea e 800 negli Usa. Tutti i settori dell’economia dell’UE hanno dovuto affrontare significative tensioni nella catena di approvvigionamento, ma la natura di tali tensioni varia a seconda del settore. La percentuale di aziende che ha segnalato almeno una tensione commerciale varia dal 25% nel settore manifatturiero di base e delle costruzioni al 35% nel settore delle infrastrutture e dei macchinari elettronici e automobilistici. L’accesso limitato alle materie prime e le interruzioni della logistica sono le preoccupazioni più frequentemente citate. L’accesso ai semiconduttori e ad altri componenti è meno rilevante, fatta eccezione per le aziende high-tech e le aziende di macchinari elettronici e automobilistici, per le quali l’accesso limitato ai semiconduttori è una preoccupazione primaria. La preoccupazione maggiore per le aziende di servizi e infrastrutture sono le interruzioni della logistica.
Dal sondaggio è emerso che il 64% delle aziende dell’UE che importano da paesi extra-UE ha adattato le proprie catene di approvvigionamento già entro il 2024. Il 36% degli importatori extra-UE e il 20% degli importatori intra-UE tracciano digitalmente le proprie catene di approvvigionamento. Il 46% delle aziende dell’UE ha adottato o prevede di adottare misure per ridurre le emissioni di carbonio. Solo il 6% delle aziende dell’UE si preoccupa dei problemi di approvvigionamento quando importa dai paesi dell’UE, rispetto al 36% per le merci provenienti dalla Cina. Gli aggiustamenti sembrano essere commisurati alle tensioni riscontrate. Le aziende operanti nei settori dell’elettronica, della meccanica e dell’automotive o nei settori chimico, farmaceutico, della plastica e dei metalli non solo hanno segnalato maggiori ostacoli ma sono state anche più propense a reagire. Analogamente, gli importatori extra-UE, che hanno riscontrato maggiori tensioni nelle loro catene di approvvigionamento, sono stati più propensi ad adeguarsi rispetto agli importatori intra-UE
Il rapporto della Bei mostra che le aziende dell’UE sono molto esposte alle tensioni commerciali, e anche quelle che non importano segnalano di essere influenzate da un accesso limitato alle materie prime o da disservizi logistici. In passato, “le imprese europee sono state ingegnose, capaci di reagire (specialmente quelle più colpite dalle tensioni commerciali, il che dimostra che l’esperienza pregressa favorisce la resilienza) e molto impegnate nel commercio”, sottolinea la banca che avverte: “con l’evolversi della situazione, l’incertezza rimane molto alta. Le aziende considerano questa incertezza come il principale ostacolo agli investimenti. Innovazione e digitalizzazione sono fondamentali per la resilienza delle catene del valore globali e per la produttività futura. Per questo, la capacità di anticipare è cruciale. La prova che le aziende che importano dagli Stati Uniti già nel 2024 stavano modificando le loro strategie di approvvigionamento dimostra che i sondaggi possono essere utili come indicatori predittivi”.
Il mercato unico Ue si rivela un punto di forza: aumentano le aziende che prevedono un export più forte in Europa
La Bei tocca quindi il tema cruciale del mercato unico dove “c’è ancora molto lavoro da fare”. Confermando le conclusioni del Rapporto Draghi sulla competitività dell’UE, i risultati dell’Indagine sugli investimenti della BEI (EIBIS) mostrano che le frizioni di mercato rimangono elevate quando si esporta verso altri paesi dell’UE e che il costo della conformità a nuove normative, standard o certificazioni UE rimane uno dei principali ostacoli commerciali per gli importatori. Ma il mercato unico dell’UE è un punto di forza per i Paesi esportatori dell’UE. Quasi la metà degli esportatori dell’UE (46%) dichiara
di aver aumentato negli ultimi due anni il volume delle esportazioni o il numero di destinazioni di esportazione all’interno dell’Unione Europea, rispetto al 36% che ha aumentato le esportazioni o le destinazioni al di fuori dell’Europa. Inoltre, la quota di aziende dell’UE che prevede di aumentare i volumi delle esportazioni e/o il numero di destinazioni di esportazione all’interno dell’Unione Europea nei prossimi due anni (a partire dal momento dell’indagine sul campo nel 2024) è di 21 punti percentuali superiore alla quota di aziende che prevedono di aumentare i volumi e/o le destinazioni al di fuori dell’Europa. Un’analisi più dettagliata dei risultati mostra che la quota di aziende che hanno aumentato i volumi delle esportazioni all’interno dell’Europa è stata di 9 punti percentuali superiore rispetto a quella al di fuori dell’Europa, e si prevede che il divario aumenterà fino a 21 punti percentuali nei prossimi due anni. Sebbene in passato il numero di destinazioni di esportazione all’interno dell’Unione Europea non fosse un obiettivo prioritario, la quota di aziende che prevede di aumentare il numero di destinazioni all’interno dell’Europa è di 14 punti percentuali superiore rispetto alle aziende che prevedono di aumentare le proprie destinazioni al di fuori dell’Europa. Nella maggior parte dei settori, le imprese dell’UE prevedono una crescita delle esportazioni più forte all’interno dell’Unione Europea rispetto all’esterno nei prossimi due anni. Nel settore delle costruzioni, la differenza tra la quota di imprese che prevedono una crescita delle esportazioni all’interno e all’esterno dell’Unione Europea è di 43 punti percentuali. La differenza è di circa 37 punti percentuali nei servizi e di 24 punti percentuali nelle infrastrutture. Non vi è una grande differenza tra la quota di imprese che prevedono una crescita all’interno e all’esterno dell’Unione Europea nei settori dell’elettronica e dell’automotive. Le imprese hanno aspettative simili in termini di diversificazione delle esportazioni: le imprese di costruzioni, servizi e infrastrutture hanno maggiori probabilità di aumentare la diversificazione all’interno dell’Unione Europea rispetto all’esterno nei prossimi due anni.
Le aziende dell’UE che esportano verso gli Stati Uniti e la Cina hanno diversificato i loro mercati più delle aziende che esportano verso altri mercati all’interno o all’esterno dell’Unione Europea. Le aziende dell’UE che esportano verso gli Stati Uniti hanno avuto maggiori probabilità di diversificare le loro esportazioni verso i paesi dell’UE negli ultimi due anni rispetto alle aziende che esportano verso la Cina (45% contro 34%), altri paesi extra-UE (24%) e esclusivamente verso i paesi dell’UE (19%) (Figura 39). Allo stesso tempo, le aziende dell’UE che esportano verso la Cina hanno avuto maggiori probabilità di diversificare le esportazioni extra-UE rispetto alle aziende che esportano verso gli Stati Uniti (58% contro 42%) o altri paesi extra-UE (23%). Ciò dimostra che le aziende esposte verso gli Stati Uniti e la Cina hanno attivamente adattato le loro strategie di diversificazione delle esportazioni negli ultimi due anni. Guardando al futuro, la principale differenza tra le aziende che esportano verso gli Stati Uniti o la Cina rispetto ad altri paesi è una maggiore aspettativa di diversificazione al di fuori dell’Unione Europea.
Non emerge ancora una tendenza alla deglobalizzazione ma le imprese devono diversificare la supply chain
C’è un altro importante elemento che emerge dal rapporto della Bei e cioè che non c’è ancora una tendenza alla deglobalizzazione (in parte perché la delocalizzazione è costosa e perché i servizi sono finora sfuggiti al protezionismo). Nondimeno, le imprese dell’UE devono diversificare le loro catene di approvvigionamento per ridurre i rischi e migliorare la propria resilienza. Tuttavia, la riduzione del rischio è complicata e costosa, come dimostra il fatto che le aziende che importano input essenziali dalla Cina hanno maggiori probabilità di incontrare interruzioni, ma anche diminuzioni dei prezzi degli input. A questo proposito, il prezzo, oltre alla qualità, è un fattore chiave citato dalle aziende nella scelta dei fornitori, rendendo i dazi ancora più problematici. Parallelamente, gli importatori di input essenziali incontrano maggiori difficoltà a trovare fornitori alternativi all’interno dell’Unione Europea. La riduzione del rischio è anche più ardua nei settori tecnologici: le aziende che utilizzano tecnologie uniche – una componente essenziale della competitività – segnalano una maggiore probabilità di essere vulnerabili al rischio geopolitico.
La necessità di diversificare spiega perché l’Unione Europea stia cercando di accelerare l’attuazione di nuovi accordi commerciali (come il Mercosur), perfezionare quelli attuali (come l’accordo di commercio e cooperazione UE-Regno Unito) e perseguirne di nuovi (ad esempio, con India o Indonesia). In questo contesto globale, gli investimenti in settori chiave come l’innovazione e la digitalizzazione gettano le basi per catene del valore globali resilienti e una maggiore produttività, sottolinea la Bei. In questo contesto, il ruolo dei mercati dei capitali e delle istituzioni finanziarie è cruciale. “Il nostro rapporto mostra che le aziende con un buon supporto politico e un accesso ai finanziamenti sono in grado di reagire meglio alle tensioni commerciali. Pertanto, misure politiche che aiutino le aziende a sostenere i livelli di investimento, riducendo attivamente i rischi, consentiranno loro di rimanere competitive in questo mondo incerto”.