Gli standard urbanistici in Italia dal 1942 a oggi: storia e controstoria
L’articolo di questa settimana, entra nel dettaglio della storia degli standard urbanistici a partire dalla pianificazione attuativa prevista dall’art. 41 quinquies comma 6 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ed evidenziando il contesto storico ed evolutivo degli stessi fino ad arrivare a oggi, al caso Milano, con il tentativo di effettuare una interpretazione autentica di tale norma a distanza di oltre ottanta anni dalla sua emanazione.

IN SINTESI
Gli standard urbanistici previsti dalla legge 1150/1942
La legge 17 agosto 1942, n. 1150, cosiddetta “Legge Urbanistica Fondamentale” rappresenta una pietra miliare nella storia della pianificazione urbanistica italiana. Ha introdotto una serie di norme e principi fondamentali per la regolamentazione dell’attività urbanistica e edilizia nel territorio italiano. Tra gli aspetti più rilevanti della legge vi sono gli standard urbanistici, che definiscono i criteri e le modalità per la pianificazione e lo sviluppo delle aree urbane. In questo articolo, esploreremo in dettaglio gli standard urbanistici previsti dalla Legge 1150 del 1942, analizzando il loro contenuto, le finalità e le implicazioni pratiche.
Contesto storico e normativo
La Legge 1150 del 1942 è stata emanata in un periodo di grande trasformazione urbanistica e sociale in Italia. L’obiettivo principale e la sua “mission” era quello di disciplinare l’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati, garantendo uno sviluppo urbanistico ordinato e sostenibile, introducendo una serie di strumenti di pianificazione, tra cui i piani regolatori generali e i piani particolareggiati, stabilendo i criteri per la formazione e l’approvazione di detti piani.
- Standard urbanistici: definizione e finalità
Possiamo definire gli standard urbanistici come dei criteri e parametri che definiscono le modalità di utilizzo del suolo e la distribuzione di alcune funzioni urbane all’interno delle aree edificabili. Il primario obiettivo degli standard è quello di garantire un equilibrio tra le diverse esigenze della comunità, come la residenza, il lavoro, il commercio, i servizi e le aree verdi. Tali standard previsti dalla legge 1150 del 1942 includono:
1. Densità edilizia. La densità edilizia è il rapporto tra la superficie edificabile e la superficie totale dell’area. Questo parametro definisce il numero massimo di edifici o unità abitative che possono essere costruiti in una determinata area, garantendo un utilizzo equilibrato del suolo e prevenendo la sovrappopolazione.
2. Altezze degli edifici. La legge stabilisce limiti alle altezze degli edifici, al fine di garantire un’adeguata illuminazione naturale, ventilazione e sicurezza. Questi limiti variano a seconda delle caratteristiche dell’area e delle esigenze specifiche della comunità.
3. Distanze minime tra edifici. Gli standard urbanistici prevedono distanze minime tra gli edifici, al fine di garantire la privacy, la sicurezza e la qualità della vita degli abitanti.
Queste distanze variano a seconda del tipo di edifici e delle funzioni urbane.
4. Aree verdi e spazi pubblici. La legge prevede la creazione di aree verdi e spazi pubblici all’interno delle aree edificabili, al fine di migliorare la qualità della vita e promuovere la sostenibilità ambientale. Questi spazi includono parchi, giardini, piazze e aree ricreative.
5. Infrastrutture e servizi. Gli standard urbanistici definiscono i criteri per la pianificazione e la realizzazione delle infrastrutture e dei servizi pubblici, come strade, reti idriche, fognature, impianti di illuminazione e servizi di trasporto. Questi criteri garantiscono un’adeguata accessibilità e funzionalità delle aree urbane.
Strumenti di pianificazione urbanistica
- La stessa legge 1150 del 1942 ha introdotto diversi strumenti di pianificazione urbanistica, che utilizzano gli standard urbanistici come base per la loro elaborazione e attuazione. Tra questi strumenti troviamo:
1. Piano Regolatore Generale (PRG). Il PRG è lo strumento principale di pianificazione urbanistica a livello comunale. Esso definisce le destinazioni d’uso del suolo, la distribuzione delle funzioni urbane e gli standard edilizi da rispettare.
2. Piani Particolareggiati. I piani particolareggiati sono strumenti di dettaglio che specificano le modalità di attuazione del PRG in aree specifiche del territorio comunale. Essi definiscono in modo preciso le caratteristiche degli interventi edilizi, le infrastrutture e i servizi da realizzare, e gli standard urbanistici da rispettare.
3. Piani di lottizzazione. I piani di lottizzazione sono strumenti di pianificazione che regolano la suddivisione delle aree edificabili in lotti, definendo le modalità di utilizzo del suolo e gli standard edilizi da rispettare. Essi sono elaborati dai proprietari delle aree e approvati dal comune.
Implicazioni pratiche degli standard urbanistici
Gli standard urbanistici previsti dalla Legge 1150 del 1942 hanno importanti implicazioni pratiche per la pianificazione e lo sviluppo delle aree urbane. Essi garantiscono un utilizzo equilibrato e sostenibile del suolo, promuovendo la qualità della vita e la sicurezza degli abitanti. Inoltre, favoriscono la creazione di spazi pubblici e aree verdi, migliorando l’estetica e la funzionalità delle città. In sintesi, rappresentano un elemento fondamentale per la pianificazione e lo sviluppo delle aree urbane in Italia. Essi definiscono i criteri e le modalità di utilizzo del suolo, garantendo un equilibrio tra le diverse esigenze della comunità e promuovendo la sostenibilità ambientale. La
conoscenza e l’applicazione corretta di questi standard sono essenziali per assicurare uno sviluppo urbano ordinato e armonioso.
Introduzione degli standard: l’articolo 41 quinquies
Gli standards urbanistici generali sono stati introdotti la prima volta nei Comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione dall’art. 41-quinquies della legge urbanistica del 1942 e successivamente integrata e trasposta nell’art. 17 della legge n. 765 del 1967.
La norma introduceva limiti uniformi ed omogenei con finalità di coesione ed unità su tutto il territorio nazionale, a seconda della zona e del carattere residenziale o produttivo della costruzione.
L’art. 17 della legge n. 765 del 1967, ha previsto che, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbano essere osservati in tutti i Comuni limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi, reinviano ad un atto amministrativo per la definizione, per ciascuna zona territoriale omogenea, degli anzidetti limiti e rapporti, i quali sono stati poi definiti e contestualizzati con il DM 2 aprile 1968, n. 1444.
Il decreto ministeriale voleva garantire a tutta la popolazione una dotazione minima di standard urbanistici, determinando per quel che concerne il nostro tema:
- rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi;
- quantità minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali nelle singole zone territoriali omogenee;
- rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti produttivi e agli spazi pubblici destinati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi;
- limiti di densità edilizia;
- limiti di altezza degli edifici;
- limiti di distanza tra i fabbricati.
Il DM imponeva che tali limitazioni dovevano essere inderogabili e obbligatori, pena
l’applicazione di sanzioni amministrative e/o penali in caso di loro violazione, e le Regioni possono prevederne l’adeguamento esclusivamente in aumento e non in diminuzione.
Definizione degli standard e limiti inderogabili DM 1444/1968: rapporti massimi
I rapporti massimi che intercorrono tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi, sono fissati in misura tale da assicurare per ogni abitante, insediato o da insediare, la dotazione minima, inderogabile, di mq. 18 per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie.
Tale quantità indicata in maniera complessiva va ripartita nel modo seguente:
- mq 4,50 di aree per l’istruzione: asili nido, scuole materne e scuole d’obbligo;
- mq 2,00 di aree per attrezzature di interesse comune: religiose, culturali, sociali,
assistenziali, sanitarie, amministrative, per pubblici servizi, ecc.; - mq 9,00 di aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti con l’esclusione di fasce verdi lungo le strade;
- mq 2,50 di aree destinate a parcheggi (che si aggiungono alle superfici a parcheggio previste dall’art. 18 della legge n. 765 del 1967).
Le quantità minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali nelle singole zone territoriali omogenee, devono tenere, per ciascuna di esse delle articolazioni così come illustrato di seguito:
- nelle zone A, l’amministrazione comunale, qualora dimostri l’impossibilita – per mancata
disponibilità di aree idonee, ovvero per ragioni di rispetto ambientale e di salvaguardia delle caratteristiche, della conformazione e delle funzioni della zona stessa – di raggiungere le quantità minime relativi ai rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o ai parcheggi, deve precisare come siano altrimenti soddisfatti i fabbisogni dei relativi servizi ed attrezzature; - nelle zone B, quando sia dimostrata l’impossibilita – detratti i fabbisogni comunque già
soddisfatti – di raggiungere la predetta quantità di spazi su aree idonee, gli spazi stessi vanno reperiti entro i limiti delle disponibilità esistenti nelle adiacenze immediate, ovvero su aree accessibili tenendo conto dei raggi di influenza delle singole attrezzature e della organizzazione dei trasporti pubblici.
Definizione degli standards e limiti inderogabili DM 1444/1968: densità edilizia, altezza e distanze
Il DM 1444/1968 fissa anche i limiti di densità edilizia, di altezza degli edifici e di distanza tra i fabbricati.
Quanto ai limiti inderogabili di densità edilizia per le diverse zone territoriali omogenee, essi sono stabiliti come segue:
- nelle zone A, è previsto che per le operazioni di risanamento conservativo ed altre
trasformazioni conservative, le densità edilizie di zona e fondiarie non debbano superare quelle preesistenti, computate senza tener conto delle soprastrutture di epoca recente prive di valore storico-artistico. Per le eventuali nuove costruzioni ammesse, la densità fondiaria non deve superare il 50% della densità fondiaria media della zona e, in nessun caso, i 5 mc/mq; - nelle zone B: le densità territoriali e fondiarie sono stabilite in sede di formazione degli strumenti urbanistici tenendo conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento urbano e delle quantità minime di spazi previste dagli artt. 3, 4 e 5 del d.m. n. 1444/1968 di cui abbiamo detto sopra. Qualora le previsioni di piano consentano trasformazioni per singoli edifici mediante demolizione e ricostruzione, non sono ammesse densità fondiarie superiori ai seguenti limiti: 7 mc/mq per comuni superiori ai 200 mila abitanti; 6 mc/mq per comuni tra 200 mila e 50 mila abitanti; 5 mc/mq per comuni al di sotto dei 50 mila abitanti. Gli abitanti sono riferiti alla situazione del Comune alla data di adozione del piano. Sono ammesse densità superiori ai predetti limiti quando esse non eccedano il 70% delle densità preesistenti;
- nelle zone C, i limiti di densità edilizia di zona risulteranno determinati dalla combinata applicazione delle norme di cui agli artt. 3, 4 e 5 del DM 1444/1968 e di quelle di cui agli artt. 8 e 9 dello stesso decreto, nonché dagli indici di densità fondiaria che dovranno essere stabiliti in sede di formazione degli strumenti urbanistici, e per i quali non sono posti specifici limiti.
Quanto ai limiti di altezza massima degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee, essi sono stabiliti come segue:
- nella zone A: – per le operazioni di risanamento conservativo non è consentito superare le altezze degli edifici preesistenti, computate senza tener conto di soprastrutture o di sopraelevazioni aggiunte alle antiche strutture; – per le eventuali trasformazioni o nuove costruzioni che risultino ammissibili, l’altezza massima di ogni edificio non può superare l’altezza degli edifici circostanti di carattere storico-artistico;
- per la zone B: – l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planivolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all’art. 7;
- nelle zone C, che sia contigue o in diretto rapporto visuale con zone del tipo A, le altezze massime dei nuovi edifici non possono superare altezze compatibili con quelle degli edifici delle zone A predette;
- per gli edifici ricadenti in altre zone, le altezze massime sono stabilite dagli strumenti urbanistici in relazione alle norme sulle distanze tra i fabbricati di cui all’art. 9 del DM 1444/1968.
Quanto ai limiti di distanza tra fabbricati, le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
- nelle zone A, per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali
ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale; - per i nuovi edifici ricadenti in altre zone è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
- nelle zone C è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.
Il comma 2 e 3 dell’art. 9 relativo ai limiti di distanza si interpretano, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettere b-bis della legge n. 55 del 2019 nel senso che i limiti di distanza tra fabbricati ivi stabiliti si considerano riferiti esclusivamente alla zona C.
Tali limiti sono quelli appresso descritti:
- le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti)– debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di: ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7; ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15; ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15;
- qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planivolumetriche.
Conclusioni
Dopo aver illustrato, la storia degli standard urbanistici in Italia dal 1942 ad oggi, evidenziandone i criteri e le modalità per la pianificazione e lo sviluppo delle aree urbane, analizzando il loro contenuto, le finalità e le implicazioni pratiche, nel prossimo articolo invece ricostruirò la storia della legislazione che ha dettato le norme sulla pianificazione di dettaglio ed in particolare dei piani attuativi, particolareggiati e di lottizzazione che hanno determinato lo sviluppo armonico e sostenibile delle nostre città.
Leggi gli altri articoli della rubrica "Il labirinto oscuro dell'edilizia"