La natura digitale del prodotto immobiliare nella rigenerazione urbana
A prescindere dalle vertenze tecniche e giuridiche che riguardano l’urbanistica e l’edilizia del Comune di Milano, sarebbe interessante domandarsi in che modo lo sviluppo immobiliare che ha contraddistinto quelle note vicende possa dirsi digitalizzato e in quale eventuale misura la generazione e l’estrazione di valore siano state generate anche da soluzioni digitalizzate.
Questo interrogativo presenta, in realtà, un significato prospettico, relativo alle evoluzioni che, dopo il caso ambrosiano, la rigenerazione urbana debba presentare in futuro.
Il primo quesito concerne, almeno per l’edilizia residenziale, il ricorso alla Modellazione Informativa, al BIM, per semplificare, attuato dai promotori immobiliari milanesi.
Sarebbe, infatti, interessante poter analizzarne il tasso di adozione del tema nei numerosi investimenti attuati in corso sia nel corso della progettazione sia in quello della realizzazione dei lavori.
Sarebbe, soprattutto, utile comprendere con quale grado di analiticità i promotori abbiano formulato ai progettisti i propri requisiti informativi e, specialmente, che cosa ne sia stato di quei modelli informativi, una volta costituitisi i diversi condominî, dopo la vendita (al netto dei casi di locazione) e che uso ne abbiano fatto gli amministratori condominiali.
Tanto per l’edilizia residenziale, nei termini, ad esempio, di rilevazione della qualità dell’aria negli ambienti confinati o di presenza degli utenti, quanto per l’edilizia terziaria, attraverso i Building Management System, sarebbe altresì non banale capire quale utilizzo dei dati prodotti sia stato eventualmente fatto, al confronto con la legislazione sulla tutela del dato personale, ma, soprattutto, rispetto alla nozione di dato come bene economico.
La domanda da porsi è, dunque, se lo sviluppo immobiliare, specialmente quello supportato dalle asset management company, sia oggi, in Italia, in grado di generare valore dai dati sotto il profilo delle Operations & Maintenance, ma pure nell’ottica della comprensione dei comportamenti dei fruitori o degli utenti.
Se è risaputo che, ad esempio, i data set derivanti dallo smart metering possono alimentare metriche e indicatori attinenti alla conformità a criteri ESG per la gestione immobiliare, non è chiaro se altre soluzioni relative alla sensorizzazione degli edifici sostenuta da modelli di simulazione, come per i Digital Twin ovvero Gemelli Digitali, siano già state messe in atto.
Ancora meglio, sarebbe opportuno, tenendo conto delle avvertenze rivelate da casi come quello del cosiddetto waterfront di Toronto, valutare come soluzioni avanzate basate sull’analisi dei dati nella rigenerazione urbana di grande scala possano generare valore aggiunto (oltreché minacce) su un piano immateriale, alla luce dell’esigenza di incrementare l’impatto sociale nelle comunità investite da questi processi trasformativi.
Ovviamente, proprio alla luce dei casi come quello canadese, oltre che ricordando la situazione degli abitanti di alcuni quartieri milanesi e di coloro che abbiamo acquisito il prodotto immobiliare nei contesti oggetto delle cronache, questa annotazione potrebbe apparire provocatoria.
Resta, tuttavia, la considerazione secondo la quale vi sia stato un recente periodo, legato alle fortune delle smart city, in cui si sia parlato di edifici cognitivi, come ecosistemi digitali alla stregua di piattaforme tecnologiche, in cui analizzare i comportamenti degli utenti.
Apparentemente, forse per fortuna, questi scenari si sono dissolti, ma rimane sensato chiedersi quanto avanzati digitalmente siano i progetti e gli edifici realizzati a Milano e in che modo, virtuoso essi abbiano potuto, per la capacità di abilitare digitalmente la sostenibilità, giovarsi di migliori condizioni di finanziamento e di investimento da parte della cosiddetta Finanza Sostenibile.
La qual cosa ha senso anche allo scopo di distinguere le buone pratiche pure nel caso ambrosiano.