CONFINDUSTRIA

Csc: “Dalla manovra impatto zero sul Pil. Segnali positivi per gli investimenti, industria in saliscendi ma in recupero a settembre”

21 Ott 2025 di Maria Cristina Carlini

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Csc: “Dalla manovra impatto zero sul Pil. Segnali positivi per gli investimenti, industria in saliscendi ma in recupero a settembre”

Alessandro Fontana, direttore del Centro studi Confindustria

Alessandro Fontana, direttore del Centro studi Confindustria

Una manovra che non alza il Pil e sarà a saldo zero.  A pochi giorni dal varo della legge di Bilancio 2026 e in attesa dell’invio in Parlamento dell’articolare definitivo, è questa la valutazione di Congiuntura Flash del Centro Studi di Confindustria.  “La manovra non alza il Pil. Il Governo conferma un deficit in calo a 2,8% nel 2026 e 2,6% nel 2027, quindi l’uscita dell’Italia dalla procedura per disavanzi eccessivi già il prossimo anno. La manovra per il 2026 di circa 18 miliardi sarà quasi a saldo zero e, secondo il Governo, non avrà impatto sul PIL”, rileva il Csc sottolineando che “gli interventi saranno focalizzati su: taglio aliquote Irpef, sanità, investimenti, politiche per la famiglia”. La legge di bilancio si colloca in un contesto macroeconomico internazionale dove è evidente  l’impatto dei dazi Usa e del deprezzamento del dollaro che continuano a erodere l’export mentre il risparmio precauzionale frena i consumi. La recente tregua tra Israele e Palestina attenua l’incertezza e il rientro del prezzo del petrolio abbassa i costi. In Italia c’è qualche segnale positivo per gli investimenti, ma nel terzo  trimestre l’industria è ancora in difficoltà e i servizi continuano a crescere poco.

Per la voce investimenti, il Csc sottolinea l’ottimo secondo trimestre che ha registrato un aumento dell’1,6% e gli indicatori confermano la fase positiva nel terzo. A settembre aumenta la fiducia dei produttori di beni strumentali, specie le attese su ordini e produzione. Si attenua invece la fiducia nelle costruzioni, per i giudizi negativi sugli ordini, anche se i piani di costruzione recuperano. Ieri l’Istat ha diffuso i dati sulla produzione nelle costruzioni di agosto. Dopo il lieve incremento rilevato a luglio, ad agosto 2025 l’indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni registra una flessione su base mensile, – 1,6%, raggiungendo i livelli più bassi dallo scorso marzo. La dinamica congiunturale si mantiene debolmente positiva nel confronto degli ultimi tre mesi rispetto ai tre mesi precedenti. Nella media del trimestre giugno – agosto 2025 la produzione nelle costruzioni aumenta dello 0,4% nel confronto con il trimestre precedente. Su base tendenziale e al netto degli effetti di calendario la crescita, seppure in rallentamento, resta sostenuta (+4,0% nel confronto con
agosto 2024) mentre l’indice grezzo cresce dello 0,4%. Nell’area euro, secondo la prima stima di Eurostat, sempre ad agosto rispetto a luglio la produzione nel settore delle costruzioni è calata dello 0,1% nell’area euro e dello 0,9% nella Ue. A luglio era aumentata dello 0,5% e dello 0,9%. Rispetto ad agosto 2024 +0,1% nell’area euro, stabile nella Ue.

L’industria, invece, rimane di fronte al dilemma: caduta o risalita? Ad agosto la produzione è scivolata in Italia (-2,4%), dopo il +0,4% di luglio, portando la variazione acquisita per il 3° trimestre a -1,4%; erano positivi i dati nella prima metà dell’anno (+0,3% a trimestre). L’indice RTT (Real Time Turnover) ha anticipato il saliscendi di luglio-agosto, in termini di fatturato, e l’indagine CSC suggerisce già a settembre un recupero, avallato dalla fiducia delle imprese industriali stabilizzata, grazie a ordini meno negativi; meno dal PMI, di poco in area recessiva (49,0). Allargando lo sguardo all’Europa, il Css segnala la contrazione della produzione industriale in tutta l’area, specie in Germania (-5,2%); nel secondo trimestre in Spagna e Francia era cresciuta, mentre in Germania già calava. A settembre, i PMI manifatturieri sono in contrazione, tranne che in Spagna. Per i servizi, invece, i PMI sono positivi anche in Germania, non in Francia. La fiducia migliora marginalmente nell’Eurozona. Sul versante dei consumi si registra un miglioramento. Nel secondo trimestre il reddito reale totale delle famiglie è cresciuto (+0,3%), ma, come si è accennato, l’aumento del tasso di risparmio (al 9,5%), legato all’incertezza, ha frenato la spesa. Sembra meglio il  terzo: l’occupazione registra una pausa in agosto, come le vendite al dettaglio, ma per entrambe la variazione acquisita trimestrale è positiva (+0,1% e +0,3%); a settembre la fiducia delle famiglie recupera in parte (96,8 da 96,2) e le vendite di autoveicoli tornano infine a crescere in termini annui (+0,4%). Servizi deboli. Per il terzo trimestre gli indicatori sui servizi sono misti. Il turismo cresce, anche se poco (+3,5% annuo a luglio la spesa di stranieri). RTT (CSC-TeamSystem) stima un fatturato in calo in agosto, dopo l’aumento del mese precedente. A settembre, l’HCOB-PMI sale, indicando maggior espansione (52,5 da 51,5); la fiducia delle imprese recupera da due mesi, ma ancora ai livelli di giugno.

All’impatto dei dazi, Congiuntura Flash di Confindustria dedica un ampio focus. L’export italiano di beni verso gli USA è crollato in agosto (-21,1% su
agosto 2024), dopo un forte aumento nella prima parte dell’anno dovuto al frontloading pre-dazi. Ciò ha contribuito per più di due terzi alla caduta dell’export extra-UE (-7,0% tendenziale; -1,1% il totale mondo). L’effetto dei dazi sull’export nel medio-lungo. Nel medio periodo secondo stime CSC i nuovi dazi potrebbero ridurre le vendite italiane negli USA di circa 16,5 miliardi (rispetto a uno scenario senza tariffe), pari al 2,7% dell’export totale. L’impatto è maggiore per settori centrali del manifatturiero: autoveicoli (il più colpito in % dell’export settoriale), alimentari e bevande, macchinari, pelli e calzature, altre attività manifatturiere. Inoltre, le perdite si amplificano se si considerano gli effetti indiretti, lungo le catene di produzione europee, del calo dell’export negli USA degli altri paesi UE sulla domanda di input italiani. L’impatto complessivo tocca il -3,8% dell’export manifatturiero, -1,8% della produzione. Nel lungo periodo, è forte l’incentivo a rilocalizzare alcune produzioni nel mercato USA: il rischio per l’industria europea è di perdere parti vitali del tessuto produttivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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