Le molteplici sfumature dell’Ambiente di Condivisione dei Dati
L’Ambiente di Condivisione dei Dati, previsto a proposito della Gestione Informativa Digitale dal Codice dei Contratti Pubblici a carico delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti, è una componente fondamentale dell’Ecosistema Digitale della Gestione del Contratto Pubblico, unitamente alla Piattaforma di Approvvigionamento Digitale. Esso è definito «ecosistema digitale di piattaforme interoperabili di raccolta organizzata e condivisione di dati relativi ad un intervento, gestiti attraverso specifici flussi di lavoro e strutturati in informazioni a supporto delle decisioni, basato su un’infrastruttura informatica la cui condivisione è regolata da specifici sistemi di sicurezza per l’accesso, di tracciabilità e successione storica delle variazioni apportate ai contenuti informativi, di conservazione nel tempo e relativa accessibilità del patrimonio informativo contenuto, di definizione delle responsabilità nell’elaborazione dei contenuti informativi e di tutela della proprietà intellettuale». In prospettiva, esso dovrebbe divenire interoperabile anche con i sistemi informativi di carattere economico-finanziario, previsionali e rendicontativi, oltre che con il sistema informativo relativo al controllo di gestione.
In altre parole, il fine ultimo sarebbe costituito dalla realizzazione di un sistema informativo unitario a supporto delle decisioni che garantisca continuità e coerenza della trasmissione dei dati o delle informazioni tra le diverse unità organizzative di una stazione appaltante o di un ente concedente. L’Ambiente di Condivisione dei Dati diverrebbe, quindi, lo strumento operativo dell’implementazione del Sistema di Gestione dei Processi Digitalizzati, descritto nella imminente norma UNI 11337-8, e definito dall’Atto dell’Organizzazione contemplato all’interno del Codice. Il tema assurge a ulteriore centralità con riferimento alla possibile conformità al Regolamento adottato dall’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) in materia di infrastrutture digitali e di servizi cloud destinati agli enti pubblici, argomento di stretta attualità, di competenza degli esperti delle materie giuridiche. Tale conformità implica che, allo stato attuale, si crei una selezione relativa alle soluzioni offerte dal mercato, nell’attesa che tutte possano conformarsi alle regole predefinite.
La nozione di Ambiente di Condivisione dei Dati è stata originariamente presentata nella norma britannica BS 67079, oggi non più in vigore, che ne descriveva l’articolazione, ancorché non ne desse una definizione, con l’intenzione di oltrepassare il concetto di sistema di gestione documentale. Quest’ultima definizione è stata successivamente offerta dalle norme della serie internazionale UNI EN ISO 19650, ora in fase di revisione: «fonte informativa concordata per una determinata commessa o cespite immobile, per raccogliere, per gestire e per inoltrare ciascun contenitore informativo per tutta la durata della gestione di una commessa». Al contrario della versione in predisposizione, che entra profondamente nel merito, la versione attuale ha la caratteristica, appunto, di darne una definizione precisa, in precedenza assente, operando una distinzione tra il livello superiore di gestione dei flussi informativi e quello inferiore di inclusione e di scambio (se non anche di elaborazione) dei dati e delle informazioni o, meglio, dei contenitori informativi: senza ulteriori specificazioni.
L’approccio contenuto nella serie normativa limita, tuttavia, a ora l’adozione dell’Ambiente di Condivisione dei Dati al singolo intervento, o investimento pubblico, mentre l’attuale Codice dei Contratti Pubblici, nonché la prossima versione delle norme internazionali della serie UNI EN 19650, ne estendono l’applicazione a tutti gli interventi promossi da una organizzazione.
L’articolazione dell’Ambiente di Condivisione dei Dati, a seguito della pubblicazione di una norma pre-norma tedesca (DIN SPEC) e di una pubblicazione dello UK BIM Framework britannico, è stata notevolmente poi approfondita dal Rapporto tecnico del CEN, a livello europeo, CEN/TR 18093:2024 (Framework and Implementation of Common Data Environment solutions and workflow, in accordance with EN ISO 19650), a cui seguirà prossimamente un ulteriore documento, intitolato Common Data Environment (CDE) solution and workflow – Application framework, che dovrebbe completare la disamina sul piano più strettamente tecnologico rispetto alla prima trattazione, maggiormente processuale.
Ciò che si evince da queste attività è che l’Ambiente di Condivisione dei Dati, dovrebbe, nel prosieguo, essere caratterizzato da tre aspetti precipui: il divenire uno dei luoghi in cui gli attori coinvolti in esecuzione del contratto operino con valenza piena e tracciabile; l’ospitare processi decisionali che, sulla scorta della configurazione di mappe di processo predefinite, sia ormai semi automatizzati; il collegare e l’interrogare tutti i dati presenti nei diversi contenitori informativi secondo semantiche precise, ben oltre i modelli informativi. Una prima elencazione delle funzionalità avanzate che dovrebbero essere presenti nella nuova generazione di Ambienti di Condivisione dei Dati, sarà contenuta nella futura norma UNI 11337-8, dedicata ai Sistemi di Gestione dei Processi Digitalizzati delle Organizzazioni. Di fatto, l’Ambiente di Condivisione deve, ad esempio, ora essere riorganizzato non solo nelle canoniche quattro aree (elaborazione, condivisione, consegna/pubblicazione, archiviazione/collaudo), ma pure nelle diverse fasi temporali dell’investimento pubblico (almeno committenza, progettazione, realizzazione, se non anche gestione).
Oltre al tema della sicurezza e della riservatezza dei dati, in questa sede si gioca la protezione della proprietà intellettuale e i limiti ponibili ad azioni di Business Intelligence. A corollario, l’Ambiente di Condivisione dei Dati, anche nell’ottica della gestione patrimoniale dell’edificio, dell’infrastruttura e della rete, dovrà assumere modi di uso legati alla dimensione geo-spaziale, anche in rapporto ai cosiddetti Digital Twin. Da ciò deriva anche il fatto che il cosiddetto Gestore dell’Ambiente di Condivisione dei Dati ovvero il CDE Manager sia destinato a possedere le competenze di un Data Scientist, ovviamente anche sotto il profilo del ricorso alle soluzioni di Artificial Intelligence. Altro elemento distintivo di un Ambiente di Condivisione dei Dati esteso all’intera organizzazione committente, con riferimento, per le stazioni appaltanti e per gli enti concedenti, al programma pluriennale degli investimenti pubblici.
Ecco, allora, che, accanto alle preoccupazioni relative all’assunzione di responsabilità relativa alla legittimità dell’azione amministrativa e contabile, molti altri tratti ne fanno un dispositivo fondamentale. Non a caso, su di esso, ad esempio sui diritti di accesso, si incentra anche la scarna giurisprudenza internazionale sulla Gestione Informativa Digitale.
Sul piano strategico, è rilevante l’azione di amministrazione regionali e provinciali autonome che hanno promosso la configurazione di Ambienti di Condivisione dei Dati anche al servizio degli enti locali territoriali. Naturalmente, mettere a disposizione delle altre stazioni appaltanti e degli altri enti concedenti un dispositivo simile, significa porre loro la questione relativa alla ridefinizione dei propri processi di gestione del contratto pubblico e ragionare assieme sul miglior uso prospettico, in termini predittivi, dei data set accumulati. Si tenga, infatti, presente che, laddove si accenna al Workflow Management si rimanda al Programme Portfolio & Project Management e al Risk Management.
A questo punto, è immaginabile che la natura degli Ambienti di Condivisione dei Dati, pur in divenire, si consolidi e che, per essi, si renda necessario definire regole tecniche specifiche a livello di AGID, di ACN e di ANAC, oltreché istituire un registro, a parte la questione relativa ai servizi in cloud per la Pubblica Amministrazione. In ogni caso, le iniziative adottare da alcune amministrazioni regionali, come la Provincia Autonoma di Trento, la Regione Friuli-Venezia Giulia, la Regione Marche, la Regione Umbria, evidenziano l’intento di creare questi ecosistemi digitali territoriali, potenzialmente contestualizzabili nello Spazio Europeo dei Dati? È questa una partita strategica, meritevole di essere seguita negli sviluppi prospettici.